Bioaccumulo e Biomagnificazione: cosa sono e perché dovremmo preoccuparcene

La plastica è troppa, la plastica è cattiva, le sostanze nocive sono ovunque. Ma pensare che utilizzare solo sacchetti biodegradabili e mangiare biologico sia la soluzione è un errore. Vi spiego perché

Quando si parla di avere uno stile di vita sostenibile ci sono due miti da sfatare: il primo riguarda l’essere perfetti e il secondo riguarda la convinzione che basti qualche accortezza per diventare esenti da pesticidi e microplastiche.

Nessuno è perfettamente sostenibile in un mondo perfettamente insostenibile, quindi anche gli attivisti e tutti coloro che fanno la propria parte non possono esserlo

Essere sostenibili non è una gara a chi è più bravo. Quanto al secondo punto, purtroppo siamo ben lontani dall’essere salvi dal cibarci di prodotti tutt’altro che sani.

Come sempre, però, facciamo un passo indietro per capire un paio di concetti che ci chiariranno tante cose: il Bioaccumulo e la Biomagnificazione.

La parola "bioaccumulo" venne usata per la prima volta intorno agli anni Sessanta, quando alcuni naturalisti scoprirono alte concentrazioni di DDT all’interno di alcune specie di volatili oggetto del loro studio.

Come suggerisce il termine stesso, il bioaccumulo indica il processo per cui le sostanze tossiche (generalmente persistenti, cioè che una volta inserite nell’ambiente non scompariranno mai più) si concentrano principalmente nei tessuti adiposi e nervosi degli organismi animali

L’accumulo avviene a un ritmo superiore rispetto a quello in cui vengono smaltiti e di solito i livelli superano quelli registrati nell’ambiente.

Come tutti sappiamo però, in natura esistono le catene trofiche, anche dette catene alimentari o piramidi alimentari. La regola principale di questa dinamica è che c’è sempre qualcuno che mangerà qualcun altro e così via salendo sempre di più verso l’apice della piramide.

Ora il punto è che, se l’organismo che si trova alla base della stessa piramide (per esempio il Krill) per qualche motivo assorbe un inquinante “x” e successivamente viene predato da un salmone che a sua volta verrà predato da un tonno e infine da uno squalo, risulta facile pensare che l’inquinante in questione si accumulerà sempre di più man mano che si sale al livello trofico successivo.

Sfortunatamente però all’apice di questa piramide di solito ci siamo anche noi umani

Questo fenomeno ha un nome, ed è quello di Biomagnificazione. In altre parole, se i pesci hanno “mangiato” microplastiche, quando questi finiranno nei nostri piatti conterranno una quantità di sostanze tossiche nettamente superiori a quelle che aveva il primo organismo della catena.

Sono varie le sostanze bioaccumulabili, tra cui i POPs (inquinanti organici persistenti), e tra questi abbiamo mercurio, piombo e metalli pesanti. Le loro ripercussioni sulla salute vanno dai problemi di riproduzione ai disordini neurologici, passando per le disfunzioni del sistema immunitario.

Moltissimi vestiti e abiti provenienti dall’industria della moda low cost contengono sostanze tossiche e soprattutto microplastiche e queste si trovano principalmente nei vestiti sintetici e realizzati con materiali derivanti da petrolio

L’Università di Plymouth è stata la prima a dimostrare la presenza diffusa di microplastiche nell’ambiente dimostrando anche che un carico di 6 chili di lavatrici, ad una temperatura standard di trenta/quaranta gradi, può rilasciare fino a 700.000 microplastiche che sfuggono ai filtri dell’elettrodomestico. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Marine Pollution Bulletin.

Proprio a questo proposito vi consiglio di leggere questo articolo del The Guardian, che parla di come i nostri abiti sintetici stiano inquinando i nostri mari.

Purtroppo, microplastiche ed altre sostanze sono ormai ovunque nell’ambiente. Quindi, come uscirne?

Nel caso dei pesci è ben noto che quelli di grossa taglia contengano più mercurio di quelli piccoli (per i motivi visti sopra) ed è bene sempre prediligere quelli che non sono predatori

Altra buona pratica è leggere la provenienza. Quanto alla moda una soluzione è affidarsi al Made in Italy o comunque a cose che pur costando un po’ di più garantiscono una qualità proporzionale.

Tu conoscevi il fenomeno del Bioaccumulo?


Federica Gasbarro collabora con The Wom in modo indipendente e non è in alcun modo collegata alle inserzioni pubblicitarie chepossono apparire all'interno di questo contenuto.

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