La carica delle gamer: “Vogliamo la gender equality anche nel mondo dei videogiochi”

Quasi la metà dei gamer in Europa è donna, eppure le donne sono ancora scarsamente rappresentate nel settore a livello lavorativo e anche nei videogiochi stessi. La community di giocatrici però aumenta, ed è arrivato il momento di un cambio culturale

I videogiochi sono roba da maschi”. È soltanto una delle tante, troppe affermazioni che si basano su preconcetti, pregiudizi e stereotipi, e su cui negli ultimi tempi si è aperto un dibattito che potrebbe (o meglio, dovrebbe) portare finalmente a una svolta culturale che azzeri, o almeno diminuisca, il gender gap anche in questo settore.

La premessa d’obbligo è che a dimostrare la necessità di un cambio di prospettiva sono i numeri. Oggi circa la metà di chi gioca ai videogame è donna, e quella femminile, in particolare quella che comprende le giovani donne della Gen Z, è una fetta di mercato fondamentale per il settore

Secondo un’indagine di Ipsos Mori del 2021, nel 2020, anno dello scoppio della pandemia - e anno in cui l’uso dei videogiochi è aumentato esponenzialmente a causa di lockdown e restrizioni - le donne hanno rivestito un ruolo fondamentale nel successo dell’industria, contribuendo in maniera significativa come giocatrici, clienti e creatrici

Lo studio: in Europa il 40% di chi gioca è donna

Lo studio rientra nel progetto Women Played. Women Paid. Women Main, e testimonia attraverso i dati come in Europa, nel 2020, circa la metà dei gamer totali fossero donne, con un contributo al mercato di circa il 40%.

Dei 3,2 miliardi di euro di crescita osservata nella spesa per i videogiochi, poco meno della metà proveniva da donne, eppure la loro presenza è molto poco rappresentativa nel settore: solo il 17% lavora nell’industria, e agli eventi mondiali dedicati ai videogiochi soltanto il 20% dei protagonisti dei titoli annunciati erano donne. 

Fonte dati: www.ipsos.com
Fonte dati: www.ipsos.com

Ancora più ridotta è la percentuale di donne che partecipano a competizioni di gaming. Un recente sondaggio dell’Osservatorio Italiano ESports, dedicato ai videogiochi competitivi, conferma la discriminazione con cui le donne devono fare i conti se decidono di giocare a livello agonistico. Per il 44% delle donne intervistate il motivo principale è legato al fatto che mancano sponsor che puntano su gamer di sesso femminile.

Un gap che non dipende quindi dall’offerta né della abitudini di gioco delle ragazze, visto che ai primi quattro posti nella classifica dei videogiochi preferiti dal campione di giovani donne intervistate se ne sono classificati quattro tradizionalmente e tendenzialmente di pratica maschile: Fifa, MotoGp, Call of Duty e Formula 1.

Il problema non è dunque né di capacità né di interesse, ma è culturale e di approccio.

Le donne gamer faticano a ritagliarsi uno spazio concepito tradizionalmente come maschile, non si sentono prese sul serio né dagli sponsor né dai gamer uomini, e non si sentono rappresentate nel mondo del gaming a livello lavorativo o di contesto

Se è vero infatti - sempre secondo Ipsos - che nel 2020 il numero di donne protagoniste dei videogiochi è salito rispetto al 2019, la crescita è ancora troppo lenta e poco proporzionata: dal 9% al 20%, contro una spesa che è aumentata del 31% rispetto al 2019, mentre quella degli uomini è salita solo del 17%.

I pregiudizi su giocatrici e protagoniste dei videogame

Le donne vogliono giocare, insomma, e investono tempo e denaro per farlo, ma di titoli che le vedono protagoniste ce ne sono ancora troppo pochi. E la loro rappresentazione si basa sempre su preconcetti, così come su preconcetti e pregiudizi si basa l’immaginario collettivo della donna gamer.

Se la protagonista del videogioco ha quasi sempre un fisico da pin-up e combatte, esplora e porta a termine missioni in abiti succinti (tanto per fare un esempio, l’archeologa Lara Croft, eroina di Tomb Raider), la donna che ne controlla i movimenti è vista spesso coma una timida “nerd”, un maschiaccio poco femminile o una "bad girl", sexy nel suo essere anticonformista.

Eppure parte del problema sta anche qui, nel ritenere che una donna che gioca ai videogame sia anticonformista

Qualcosa però, come detto, sta cambiando. Diverse aziende hanno deciso di cambiare le loro policy e investire sull’assunzione di donne nel settore dello sviluppo dei videogame, e nel mondo del gaming competitivo iniziano ad affermarsi nomi femminili.

https://www.instagram.com/p/CTCIn9QM79N/

Uno tra tutti quello di Kurolily, all’anagrafe Sara Stefanizzi, veterana dello streaming di videogiochi e stella di Twitch, oltre che capitana del team Fordzilla, la squadra italiana che Ford ha creato per il debutto del gaming e degli esporta. 

Una statua per Aloy, l'eroina che incarna la "perfetta imperfezione"

Un colosso come Sony, inoltre, ha affidato proprio a una protagonista femminile la campagna di lancio di Horizon 2 Forbidden West: lei è Aloy, Cercatrice della tribù Nora, guerriera ed esploratrice impegnata a salvare la Terra da un male misterioso.

Guerrilla Games, che ha sviluppato sia il primo sia il secondo capitolo, ha puntato su di lei per entrare nei cuori di tutti i giocatori, e ha voluto superare lo stereotipo dell’eroina statuaria costruendo in modo iper realistico il personaggio di una giovane donna con una storia e una personalità.

Niente mise super sexy a mettere in evidenzia vita sottile, seno procace e gambe chilometriche, nessuna protagonista che sembrasse appena uscita da un catalogo di costumi da bagno. L'ambizione era quella di mettere in primo piano la forza, l’intelligenza e anche le fragilità di Aloy, il cui aspetto è stato tra l’altro modellato su quello dell’attrice olandese Hannah Hoekstra

E poco importa che proprio l’aspettò fisico di Aloy abbia suscitato critiche - ovviamente da parte di uomini - nella community dei gamer: la scelta di Sony di puntare su un’eroina donna ben poco patinata è piaciuta non solo alle tantissime donne gamer, ma anche alla maggior parte degli uomini. Tanto che per celebrare Aloy, a Firenze, in piazza Madonna della Neve, è comparsa una statua a lei dedicata: intitolata “Placeholder”, è rimasta in esposizione sino al 25 febbraio per lanciare un messaggio.

https://www.instagram.com/p/CaVAfz2M3Sy/

Un'icona di coraggio, tenacia e intraprendenza tiene il posto per tutte le donne della storia che hanno condotto questi valori e meriterebbero una statua”, ha spiegato Sony, che ha lavorato per l’iniziativa con l’associazione Toponomastica femminile, impegnata nel mettere sotto i riflettori la scarsità di strade e statue intitolate a donne.

"Il potere più grande della toponomastica - ha detto Maria Pia Ercolini, presidente di Toponomastica femminile - è creare modelli, rimandare a immaginari, oltre a rappresentare una volontà. L'iniziativa di Sony Interactive Entertainment Italia apre un canale di comunicazione preferenziale con le giovani generazioni sull'importanza di modelli culturali, una riflessione alla quale vogliamo dare valore".

Riproduzione riservata