Studi di genere: cosa sono e perché in Italia sono poco diffusi



Gli studi di genere o «gender studies», come vengono chiamati nel mondo anglosassone, rappresentano un approccio multidisciplinare e interdisciplinare allo studio dei significati socio-culturali della sessualità e dell’identità di genere. In Italia se ne parla poco e non sono molti i corsi di laurea che si occupano di questo filone accademico. Vediamo perché

Per colmare questo vuoto, l’università La Sapienza di Roma ha deciso di avviare dallo scorso settembre il corso di laurea magistrale Gender studies, culture e politiche per i media e la comunicazione: adottando un approccio multidisciplinare, il percorso di laurea vuole offrire conoscenze e competenze utili per formare professionisti dei media e delle industrie culturali, capaci di promuovere rappresentazioni e narrazioni di genere inclusive e non discriminatorie.

Prima ancora di iniziare, il corso è stato preso di mira dai contestatori. In generale in Italia la situazione sui gender studies è frammentaria e poco approfondita: perché accade? Ripercorrere la storia e i motivi che portano alla nascita degli studi di genere lo spiega meglio e permette di comprendere perché i gender studies – consolidati all’estero - siano fondamentali per ribaltare il paradigma culturale patriarcale e raggiungere concretamente la parità di genere.

Studi di genere: come e quando nascono

Gli studi di genere rappresentano un approccio multidisciplinare e interdisciplinare allo studio dei significati socio-culturali della sessualità e dell’identità di genere.

Il nome Gender Studies è relativamente nuovo: fino agli anni Ottanta la denominazione usata infatti era Women’s Studies, nati come diretta conseguenza del movimento femminista degli anni ‘70. Le femministe dell’epoca, infatti, criticavano il fatto che l’istruzione fosse ancora in gran parte di stampo maschile e ignorasse il contributo e l’esperienza femminile: era quindi parte dell’agenda femminista “riappropriarsi della conoscenza” introducendo nei principali “centri del sapere” una prospettiva che tenesse conto del punto di vista delle donne.

Per questo motivo molte attiviste docenti universitarie iniziarono a premere per la creazione di corsi di studio e dipartimenti, portando le teorie femministe dall’ambito del puro attivismo a quello accademico

L’approccio di analisi dei gender studies combina metodologie diverse con l’obiettivo comune di studiare tutti gli aspetti della vita umana che contribuiscono alla formazione dell’identità: per questo, di lettura “gender sensitive” si può parlare in riferimento a qualunque branca delle scienze umane, dalla sociologia, alla psicologia fino alle scienze etno-antropologiche, includendo anche letteratura, politica, filosofia o teologia.

Se volessimo collocarli nella storia, dovremmo andare indietro nel tempo e spostarci a cavallo fra gli anni ’70 e ’80 in America del Nord: da qui si estendono all’Europa occidentale e il loro sviluppo parte soprattutto da una determinata corrente del pensiero femminista che trae spunti dalle teorie del post-strutturalismo e del decostruzionismo, secondo cui: "la differenza è uno degli elementi più potenti che le donne possiedono nella loro lotta contro la dominazione patriarcale e interpretare il movimento femminista solo con l'uguaglianza significa negare alle donne tutta una pletora di opzioni, poiché l'uguaglianza sarebbe ancora definita dalla prospettiva patriarcale o della mascolinità".

Judith Butler è una filosofa post-strutturalista che ha profondamente segnato gli studi di genere e ha dato loro nuovo slancio: Questione di genere è il libro con cui la filosofa americana propone una nuova modalità di pensiero del genere, della sessualità, del corpo e del linguaggio.

Nei suoi scritti, l’autrice sostiene che il genere non è legato alla biologia, ma è la ripetizione di norme o l’incarnazione di un ruolo che siamo continuamente costretti a interpretare: in questo senso, per Butler il genere è una performance

Per demolire la “costruzione” di tale normalità Butler propone di destabilizzare quelle categorie dell’identità indicate dal sistema binario uomo/donna: l’identità, per la filosofa, non è stabilita da categorie fisse e fondative. Al contrario, è in continua costruzione e aperta alla possibilità. Sulla ri-concettualizzazione di sesso e genere si muovono gli studi di genere:

se il sesso rappresenta l’insieme di caratteri biologici, fisici e anatomici responsabili del binarismo maschio/femmina, il genere si costruisce mediante la cultura, le abitudini sociali, le tradizioni, la storia

Analizzare queste componenti in prospettiva di genere significa saper cogliere ed evidenziare gli stereotipi che nascono proprio in relazione al genere e riuscire a ripensare il mondo attraverso nuove chiavi interpretative, più inclusive e paritarie.

Gender studies in Italia: a che punto siamo

L’Italia è innegabilmente molto indietro nell’ambito degli studi di genere: mentre nel Regno Unito i dipartimenti di Women’s Studies o Gender Studies sono presenti in moltissime università con una vasta offerta di corsi in materia, in Italia non esistono dipartimenti di Studi di Genere, ma solo centri interdisciplinari di ricerca.

Secondo un’indagine presentata all’Università di Roma Tre, nel 2012 solo 16 università pubbliche su 57 mettevano a disposizione almeno un corso in Studi di Genere ed erano 6 i master di secondo livello legati a queste materie.

Eppure, la stessa Unione Europea incentiva lo sviluppo dei Gender Studies come strumento di miglioramento sociale, dando così un ruolo fondamentale all’istruzione per promuovere la parità di genere. 

Nei fatti attuali, le tematiche legate al genere sono all’ordine del giorno e in continua evoluzione anche in Italia: da questa consapevolezza prende avvio la prima laurea magistrale in Gender studies, culture e politiche per i media e la comunicazione, nuovo percorso istituito dalla Sapienza Università di Roma nell'ambito dell'offerta formativa dell'anno accademico 2022/23.

Promosso dai Dipartimenti di Comunicazione e ricerca sociale, di Lettere e culture moderne e di Psicologia della Sapienza, la nuova laurea è la prima nel contesto nazionale a unire lo studio dei processi culturali, sociali, politici ed economici, sulla base dei quali si producono squilibri e disuguaglianze fondate sul genere, all'analisi e allo sviluppo di contenuti comunicativi inclusivi e non discriminatori. Analisi sociale del gender equality, gender sensitive journalism, sociologia dei media digitali, discriminazioni e tutele nel linguaggio giuridico: sono alcune delle materie di studio del primo corso di laurea magistrale in studi di genere.

«C’è ancora molto da fare, ma tanto è già stato fatto» – ha detto la rettrice Antonella Polimeni- «abbiamo approvato un codice di condotta contro le molestie. Stiamo lavorando per garantire il rispetto delle norme a tutela della maternità per il personale tecnico amministrativo e di ricerca. E poi abbiamo varato il gender quality plan, con un comitato tecnico scientifico sulla diversità e l’inclusione. A luglio abbiamo aperto un centro antiviolenza di ateneo gestito dal telefono rosa. Non è detto che queste azioni diano risultati immediati ma questo non ci deve scoraggiare e non può essere un alibi. Se le università sono il modello più alto della formazione, devono emanciparsi dagli stereotipi».

A inizio agosto il corso aveva subito degli attacchi da alcuni gruppi Telegram: violenze verbali marginali rispetto ai riscontri positivi avuti su ampia scala, sottolinea Paola Panarese, Presidente del corso di laurea: «qui facciamo cultura. Il tema è usato come strumento politico, ma qui non dovrebbe esserlo. Siamo un’accademia», ha detto.

Sulla questione relativa agli attacchi Telgram, era già intervenuta lo scorso agosto – a comunicazione del corso avvenuta - anche Eleonora Mattia, Presidente della Commissione Regionale Lavoro, formazione, politiche giovanili, pari opportunità, istruzione, diritto allo studio: «trovo assurde e inaccettabili le minacce rivolte alla Sapienza per via dell'attivazione del corso Gender studies, culture e politiche per i media e la comunicazione».

«A distruggere la società non è il femminismo» dice Mattia «ma l'ignoranza e la violenza, verbale e virtuale, tanto quanto quella fisica, di chi non riconosce nel sapere, nella valorizzazione delle differenze e nella cultura valori fondanti della democrazia e della convivenza sociale».

Per questo motivo, come ha sottolineato la consigliera Agcom Elisa Giomi durante la conferenza stampa che ha presentato al pubblico il corso:

è necessario decostruire la marginalizzazione degli studi di genere: oggi le cose stanno cambiando e l’offerta di master e corsi è aumentata

 «Sui nostri media è molto difficile sentire la parola delle donne. Eppure è fondamentale per la crescita di questo Paese che donne e uomini abbiano lo stesso spazio» ha aggiunto Silvia Garambois, Presidente dell’associazione GiULiA – Gornaliste Unite LIbere Autonome. E, come confermano le sue parole, «si può iniziare utilizzando in modo corretto l’italiano. E poi approfondire la storia delle donne»

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