(In)visibilità: qual è il posto delle donne in tv?

Gli stereotipi di genere in tv esistono dagli albori e non hanno risparmiato le signorine buonasera, rassicuranti e bravissime. Ma non bisogna incorrere nell’errore di appiattire dietro un’etichetta le storie personali. Nel corso del tempo, infatti, le forme di sessimo in tv hanno cambiato forma e sono diventate più sottili e ugualmente dannose per la visibilità delle donne nella sfera pubblica

Nel 2009 a denunciarlo è Il corpo delle donne, documentario realizzato da Lorella Zanardo che, come scrive lei stessa, «è stato il primo centrato sulla critica allo sfruttamento delle immagini delle donne a fini commerciali, ideologici e politici». Sembra che il sessismo in televisione faccia scalpore solo quando si riferisce a corpi femminili svestiti.

Oggi, in realtà, è meno esibito e più sottile: le donne sono vestite, certo, ma hanno quasi sempre un ruolo gregario

Il lavoro divulgativo di Zanardo mette in fila immagini di corpi esibiti a tutte le ore, vestiti o meno, sempre e comunque per lo sguardo maschile: questa rappresentazione ha trovato per anni collocazione in tv senza destare troppo scalpore e oggi si è decisamente affievolita. Tuttavia, per rendere la televisione un ambiente paritario, non basta nascondere i corpi delle donne.

La rappresentazione stereotipata delle donne in tv: gli approcci di analisi

Le ricerche finora condotte sulle donne in televisione hanno messo in evidenza la presenza di alcuni stereotipi femminili in televisione secondo due modalità principali: da un lato, la televisione contribuisce a diffondere molti stereotipi diffusi nell’opinione popolare, veicolandoli senza sfidarli o criticarli; dall’altro, la televisione concorre a rafforzare tali stereotipi attraverso rappresentazioni di genere di per sé non stereotipate ma che risultano tali nel flusso comunicativo che le reitera costantemente.

Ad esempio, gli spot che continuano a mettere in scena una prima colazione in cui è la mamma a preparare la tavola per tutta la famiglia, mentre il papà beve rapidamente un caffè per poi scappare in giacca e cravatta al lavoro, ventiquattrore alla mano, sono l’esempio di una comunicazione pubblicitaria che privilegia un ritratto familiare certo ancora esistente, ma in larga parte superato da modelli di famiglia sempre più complessi e diversificati.

Le ragioni per cui la televisione privilegia un certo tipo di rappresentazione chiamano direttamente in causa i meccanismi del fare televisione.

Proprio per questo, le indagini sulle donne in TV attraversano i diversi generi o macro-generi televisivi: molte ricerche sulle donne in televisione si concentrano su quella che viene considerata una rappresentazione stereotipica dell’universo femminile e che comprende diversi aspetti ritenuti deformanti rispetto alla realtà sociale

In particolare, sono i primi studi anglosassoni ad avere questo tipo di approccio. Gli studi sulle donne in televisione degli anni Sessanta e Settanta, invece, ponevano l’accento sulla minore visibilità delle donne rispetto agli uomini in TV e sulla diseguale immagine veicolata: più moderna e complessa quella maschile, più tradizionale e semplificata quella femminile.

A distanza di anni queste disparità appaiono resistenti, molte ricerche attuali continuano a condursi su questo modello. Altri studi, invece, trascurano gli stereotipi femminili per superarli in un approccio teorico incentrato sulla valorizzazione delle donne: si tratta di ricerche avviate verso gli anni Ottanta e Novanta e che pongono l’accento sulle differenze fra le donne e gli uomini, in una prospettiva rivolta con favore ai contenuti dei media che valorizzano l’universo femminile per le sue specificità, come per esempio, il primato della dimensione privata, la solidarietà e la complicità, la condivisione di un immaginario “rosa”, l’eccellenza di figure di donna forti o altro.

Infine, oltre gli stereotipi, si proiettano le ricerche che possono essere inquadrate nel cosiddetto “modello postgenere”: un orientamento teorico che cerca di superare la nozione binaria di gender, per allargare lo sguardo anche alle realtà transgender e dei diversi orientamenti sessuali.

Donne e informazione: un caso di mancata visibilità in tv

In ogni approccio di studio e indagine, emerge chiaramente un dato: il venir meno dell’oggettivazione esplicita del corpo delle donne in tv non significa automaticamente vedersi garantita una rappresentazione paritaria.

Il divario di visibilità tra uomini e donne in tv è particolarmente emblematico nell’ambito dell’informazione: nonostante il massiccio ingresso delle donne nel mondo dell’informazione come professioniste, le donne di cui si parla o a cui si dà la parola in televisione sono ancora molto poche

 La giornalista Lilli Gruber è stata la prima donna in Italia a condurre un telegiornale di pri
 La giornalista Lilli Gruber è stata la prima donna in Italia a condurre un telegiornale di prima serata nel 1987

Secondo i dati del Global media monitoring project, in Italia le voci delle donne sono marginalizzate nelle news quotidiane: non sono al centro delle storie e neppure vengono interpellate per le loro competenze professionali. In totale sono state considerate 10691 news da 32 Paesi: 2387 dalla stampa, 2279 dalla tv, 2094 dalla radio e 1654 post da Twitter.

Nei Paesi Ue, dal 2015, i servizi che si sono occupati delle donne sono cresciuti solo del 2%. Va peggio in Italia, dove sono il 26% e quasi mai si occupano di contrastare gli stereotipi (meno del 4%) o di parlare delle disuguaglianze (meno del 3%).

Inoltre, nel nostro Paese, le già pochissime donne interpellate sui giornali o in televisione come “esperte” non solo sono nettamente meno rispetto ai loro colleghi uomini, ma sono anche in calo rispetto a cinque anni fa (-4%)

Eppure, si osserva nel report, dare più spazio alle donne sui media non è solo una questione di giustizia sociale. Ma porterebbe a una lunga serie di benefici: una prospettiva più ampia su istruzione, ambiente e società; maggiore attenzione alle questioni di genere e all’uso di un linguaggio inclusivo; un racconto più eterogeno della realtà e, di conseguenza, più esempi a cui appellarsi in altri campi per innescare un circolo virtuoso di rappresentanza e cambiamento. Vantaggi importanti, anche dal punto di vista economico:

entro il 2050 – secondo uno studio dell’European Institute for Gender Equality del 2017 – una maggiore attenzione alla parità di genere potrebbe portare gli Stati a incrementare il loro Pil fino al 12% in più, con circa 10 milioni di posti di lavoro aggiuntivi e una crescita più sostenibile del 75%

Invisibilità delle donne nei programmi informativi: perché accade

Dalle indagini svolte negli ultimi anni sulla rappresentanza delle donne nei programmi informativi è possibile desumere che la visibilità (o l’invisibilità) delle donne nei programmi di informazione è riconducibile almeno a due motivi: i criteri di agenda che stabiliscono le priorità delle notizie e i criteri di selezione degli intervistati.

Le donne sono generalmente sfavorite dalla centralità che riveste nell’agenda dei programmi d’informazione la sfera dell’agire pubblico, in particolare la politica, per la loro minor presenza “reale” in questo ambito:

le notizie che parlano di politica o di affari pubblici danno visibilità ai protagonisti della vita pubblica di un paese e le donne che partecipano al mondo della politica o delle professioni in Italia sono molto meno numerose rispetto agli uomini

Le donne risultano altresì sfavorite dalla rilevanza che viene data nell’informazione soprattutto alla leadership di un paese, in Italia generalmente rappresentata da uomini. Anche per quanto riguarda le figure esperte interpellate, la predominanza è maschile: quando si tratta di intervistare una persona competente in materia di un argomento sviluppato in qualche notizia, preferibilmente si scelgono uomini.

Le ragioni per cui ciò avviene trovano le loro radici, da un lato, nella tendenza a intervistare persone ai vertici di un settore che, come emerge dai dati, sono ricoperti maggiormente da uomini e, dall’altro, nella tendenza a reiterare abitudini fondate agli albori della TV, quando negli anni Cinquanta le donne professioniste esperte in qualche materia erano poche.

Il termine manels nasce proprio per indicare convegni e manifestazioni dove vengono invitati a parlare solo uomini. Il Memorandum No Women No Panel–Senza Donne non se ne Parlalanciato dalla Commissione europea nel 2018, punta ad arginare l divario di rappresentazione e conferma un’evidenza: la tv, per diventare un luogo paritario, non deve limitarsi a censurare i corpi delle donne. Ma dare spazio alle loro voci.

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