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Come imparare a comprendere il dolore degli altri (ma conservando i nostri confini)

comprendere il dolore degli altri
23-01-2024
Comprendere il dolore altrui mantenendosi a una distanza genuina è un passo fondamentale che porta all’empatia e alla comprensione di chi abbiamo intorno. È un’empatia che riserviamo agli altri, e che vorremmo gli altri esercitassero su di noi

Che cosa significa esattamente comprendere il dolore degli altri, e perché è così importante nella crescita di ognuna di noi? L’empatia è una parola semplice con implicazioni complesse: sei capace di metterti nei panni di chi hai di fronte, anche quando non hai mai vissuto niente di simile?

Una persona empatica, e capace di riconoscere il dolore quando lo vede, è molto sensibile al vissuto altrui e tende a comprendere le dinamiche di comportamento di chi ha davanti, anche quando non sono chiarissime al resto del mondo. Vedere attraverso il dolore, però, non significa caricarselo addosso e farsene un fardello.

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Comprendere il dolore o provare pietà?

Due facce della stessa medaglia, o una linea sottile e difficile da percorrere? La parola pietà viene spesso utilizzata come sinonimo di condiscendenza, come una concessione da un essere superiore verso un’entità subordinata. Non è così: la pietà nel suo senso originale non ha accezioni dispregiative o qualificative dell’individuo che la prova (o che la subisce), ma è una forma di amore e di rispetto verso gli altri.

Scollegando la pietà dalla religione, a cui spesso l’abbiamo associata, la pietà ci aiuta a vedere attraverso il velo delle scelte, del dolore, delle decisioni altrui spesso non lineari, ma evolute in un contesto ambientale non per forza facile. La pietà, diciamocelo, ce la siamo un po’ dimenticata insieme ai libri del catechismo, ma è una forma importante di espressione della propria sensibilità.

Spogliamo la parola pietà dall’accezione negativa con la quale l’abbiamo sempre vista, e ci troviamo davanti a un termine bellissimo: un atto d’amore attraverso il quale si sceglie scientemente di rimanere nella circoscrizione del dolore altrui, con lucidità, e aiutarla al meglio delle proprie possibilità.

Comprendere il dolore non significa darlo per scontato, e neanche sviluppare una forma di tolleranza nei suoi confronti.

Comprendere il dolore degli altri senza sprofondare in esso

Entrare nel dolore altrui e sforzarsi di comprenderlo, dargli un punto di vista, accoglierlo nei propri pensieri, non è una forma di pietà con accezione negativa, ma è pietà vera. È davvero un atto di coraggio: poche persone hanno la forza di farsi carico del dolore altrui sapendo che comunque la loro vita sarà aggravata da esso, più il loro stesso fardello. Insomma: un atto non da poco, ma sicuramente per pochi.

Comprendere il dolore non significa imparare a conoscerlo profondamente, di prima mano, ma imparare a rispettarlo come una forma di reazione alla vita, anche se ci sembra lì per lì il modo sbagliato di viverla. Al tempo stesso, quando la comprensione del dolore diventa empatia, o pietà nel senso in cui l’abbiamo intesa, si trasforma in alcuni elementi fondamentali del percorso di aiuto:

  • Un ascolto sincero
  • Presenza emotiva

Sembrano due competenze pensate per formare un professionista della salute mentale, ma in realtà si tratta di soft skills che possono aiutare chiunque a vedere meglio le persone che lo circondano.

Comprendere il dolore non significa assorbirlo, farsene carico senza discuterlo, e soprattutto sgravarlo dalle spalle altrui. Significa vederlo per quello che è, senza impantanarsi in esso, e affrontare la vita un passetto alla volta.

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Empatia e contagio emotivo

Provare empatia per il dolore non significa imparare ad evitarlo per sé, riconoscerlo e rifuggirne, ma affrontarlo per quello che è: un processo naturale. Provare empatia per qualcuno che soffre è una forma di sensibilità, ma anche la capacità di immaginare per sé il dolore degli altri, talvolta dovendo lavorare di fantasia perché la nostra vita non ci ha reso il fardello di alcune esperienze. Mettersi nei panni di una persona non è facile, specie quando il vissuto è molto diverso, per generazione, identità di genere, possibilità economiche, religione, etnia e tanti altri fattori molto importanti e che inficiano in maniera molto profonda la nostra capacità di capire.

Al tempo stesso, l’empatia non dev’essere confusa con quello che gli psicologi definiscono contagio emotivo, ovvero una forma di trasmissione del dolore (o di altre emozioni) per cui veniamo travolti da quello che provano gli altri, e restiamo vittime di quello che vivono tanto quanto lo sono loro.

L’empatia sta alla base delle abilità sociali, in virtù delle quali riusciamo a vivere e prosperare in un contesto nel quale siamo circondati da persone. Oltre ad essere una competenza necessaria a chi vuole veramente comunicare con gli altri, è uno strumento di negoziazione ideale per risolvere conflitti e favorire l’armonia all’interno dei gruppi.

In linea teorica, alla base di una buona leadership vi è una solida empatia nei confronti degli altri. Per essere dei buoni leader, e in generale per essere persone migliori, è necessario utilizzare le proprie risorse e competenze, le proprie esperienze, per aiutare gli altri a vivere meglio la loro vita.

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