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Vincenzo Pirrotta: “Spaccaossa racconta il ventre di ogni grande città” – Intervista esclusiva al regista e attore

Vincenzo Pirrotta esordisce dietro la macchina da presa con il film Spaccaossa, ispirato a una vicenda intrisa di cinismo e miseria accaduta a Palermo.

Spaccaossa di Vincenzo Pirrotta è sicuramente uno dei film rivelazione del Festival di Venezia 2022. In un concorso segnato da tanti film che si sono rivelati fallimentari, Spaccaossa di Vincenzo Pirrotta è relegato ingiustamente nella sezione Notti veneziane delle Giornate degli Autori quando avrebbe potuto competere per il Leone d’Oro. Ci troviamo infatti davanti sì a un film con aspirazioni pasoliniane ben accontentate e di difficile metabolizzazione, per via della storia raccontata. Una storia che prende spunto da un fatto di cronaca accaduto a Palermo qualche anno fa ma che riguarda un’Italia intera a giudicare da quanto scoperto di recente anche in Lombardia.

“Quella degli Spaccaossa è una vicenda che racconta il ventre di ogni grande città”, ha esordito Vincenzo Pirrotta, il regista, sceneggiatore e interprete del film da noi incontrato in esclusiva. La vera vicenda degli spaccaossa siciliani da cui il film di Vincenzo Pirrotta trae spunto è complessa da raccontare e questa non è la sede per scendere nei dettagli. Basta ricordare semplicemente che riguarda un gruppo di criminali che, per frodare le assicurazioni, convinceva i disperati dei quartieri più poveri di Palermo. Un contesto, come si evince, di cinismo e miseria, un connubio difficile da separare.

Eppure, come dimostra il film di Vincenzo Pirrotta, né spaccaossaossa spaccate ne escono vincenti. Sono tutti perdenti. Né vincitori né vinti, in una storia che non lascia speranza se non quella di un riscatto cristologico sul finale. Un riscatto che appartiene a uno dei tre personaggi femminili forti disegnati dall’autore, aiutato in fase di sceneggiatura da Salvo Ficarra, Valentino Picone e Ignazio Rosato. In un contesto fortemente maschile, spiccano infatti Luisa (un’irriconoscibile e bravissima Selene Caramazza), Giovanna (interpretata dal mostro sacro Aurora Quattrocchi) e Maria (la sorprendente Simona Malato). E di loro abbiamo parlato a lungo con il regista.

Spaccaossa di Vincenzo Pirrotta è un film prodotto da Attilio De Razza e Nicola Picone per Tramp Limited (con Rai Cinema) e uscirà prossimamente in sala (si parla al momento di metà ottobre, dopo la partecipazione ad altri festival) grazie a Cinecittà Luce. Ed è lodevole l’impegno della casa di produzione nel raccontare vicende che hanno tutto il diritto di indignare fotografando un Paese che nelle sue pieghe nasconde tante piaghe, come già fatto con Una femmina di Francesco Costabile.

LEGGI ANCHE: SPACCAOSSA, IL FILM DI VINCENZO PIRROTTA - UNA CLIP IN ESCLUSIVA

Vincenzo Pirrotta, regista, interprete e sceneggiatore di Spaccaossa.
Vincenzo Pirrotta, regista, interprete e sceneggiatore di Spaccaossa.

Intervista esclusiva a Vincenzo Pirrotta

Spaccaossa racconta una storia di cruda realtà. Si ispira a un fatto occorso a Palermo ma le cronache recenti ci parlano di casi simili anche in Lombardia. Cosa ti ha colpito della vicenda?

Quella di Spaccaossa è una storia ancora nelle viscere di ogni grande città. Si tratta di una storia complessa e universale. Ciò che mi ha colpito è la doppia miseria che porta con sé, sia la miseria ammantata di cinismo dei delinquenti sia la miseria dei disperati. Mi occupo da sempre di teatro civile e pensavo di farne un’opera teatrale: è stato poi Salvo Ficarra a convincermi che la storia aveva tutti i crismi per diventare un film. E ho cercato di farne un film pasoliniano, con la speranza che questa caratteristica venga fuori.

Nell’ottica pasoliniana, Spaccaossa è un film di vinti. O, come preferisco dire io, di perdenti. Non ci sono vincitori nemmeno tra le fila di coloro che le ossa le spaccano o non solo di chi se le fa spaccare. Come ti sei mosso per la costruzione dei personaggi?

Spaccaossa, oltre a essere una storia di perdenti, è anche una vicenda di dolore. Il dolore accompagna tutto il film, nonostante non ci siano le scene di dolore di quando le persone si sottopongono alla spaccatura delle ossa. Il dolore è presente in ogni scena perché portato addosso dai personaggi. Nella loro costruzione, sono partito dalla differenza del dolore: per ognuno di loro è diverso. Quello di Mimmo, ad esempio, è un dolore quasi martiriologico. E tutta la sceneggiatura è puntellata di riferimenti ritualistici e/o religiosi. Vale lo stesso per il personaggio di Luisa, la protagonista, la cui parabola è quasi cristologica: il suo percorso è paragonabile a una via crucis fatta di stazioni che portano, tra disperazione, dolore e cupezza, verso un finale inevitabile.

E il finale, pur non spoilerandolo, è un pugno dello stomaco.

È metaforicamente una crocifissione laica. Il riferimento religioso è stato forte anche per la costruzione dei personaggi che si buttano tra le braccia dei carnefici. C’è chi lo fa perché ha un disperato bisogno di guadagnare soldi per coprire un vizio (come nel caso di Macchinetta, interpretato da Luigi Lo Cascio) o di chi necessita denaro per coprire le spese dei festeggiamenti della prima comunione di un figlio (come nel caso del fratello di Azzusa). Li ho immaginati tutti come i battenti di certe processioni del Venerdì Santo. Ho avuto davanti proprio l’immagine di diverse tipologie di disperati, di miserabili, che stanno ad aspettare che giunga loro qualcosa dall’alto.  Quindi, per rispondere in maniera sintetica alla tua domanda, i personaggi sono ispirati a immagini che hanno a che fare con un certo tipo di religione, di rituale o di iconografia.

Vincenzo Pirrotta in una scena di Spaccaossa.
Vincenzo Pirrotta in una scena di Spaccaossa.

Quindi, potremmo paragonare il personaggio di Giovanna, impersonata da Aurora Quattrocchi, a una sorta di Giuda della situazione. O sbaglio?

Giovanna è uno dei personaggi a cui sono molto legato. Mi piacciono molto i personaggi oscuri, con una doppia connotazione e un’ambivalenza di fondo. Nel caso di Giovanna ho cercato di portare fino in fondo il suo doppio colore, fino al momento in cui dice al figlio Vincenzo di “rompere” Luisa, la ragazza che avevano accolto in casa. È quello il momento in cui si ha il cambio di colore o, come dici tu, il tradimento. Onestamente, non ci avevo pensato ma potrebbe rappresentare benissimo Giuda.

Il momento del tradimento avviene subito dopo che Giovanna ha sentito, da dietro una porta, la notte di passione tra Vincenzo e Luisa. Anche in questo caso la religione potrebbe giocare un ruolo. Da un lato, Giovanna potrebbe vedere in Luisa la nemica che le sta portando via il figlio, mentre dall’altro lato Luisa è colei che rompe un tabù che nella mentalità di Giovanna potrebbe essere forte: due persone non sposate stanno consumando alle sue spalle.

Hai letto molto bene quella scena. È come se ci fosse la violazione di un tempio sacro, il tempio dell’amore che lega il figlio alla madre in maniera quasi morbosa (e qui potremmo tirare in ballo anche la tragedia greca). La dissacrazione del tempio non viene mostrata: non vediamo mai Luisa e Vincenzo a letto ma sentiamo l’audio e i gemiti. Quello che vediamo è semmai lo sguardo di Giovanna, su cui ho voluto concentrarmi. Alle sue spalle, se notate, c’è anche un’immagine della Madonna. Quindi, è come se in scena ci fosse una doppia maternità ma anche l’immagine della femminilità declinata in tre modi diversi: la Madonna, Giovanna e Luisa.

Vincenzo e Luisa non sono così dissimili tra loro. Nessuno dei due ha mai avuto la possibilità di fare ciò che avrebbe voluto. Forse l’unica volta che Vincenzo fa qualcosa che vuole veramente fare è quando compra un nuovo televisore.

Sono entrambi prigionieri di un mondo che ha deciso per loro. Vincenzo avrebbe la possibilità di vivere un grande amore con Luisa ma quello che è il disvelamento del sentimento non si concretizzerà mai. C’è una scena che spiega molto della psicologia di Vincenzo. È stata girata è stata molto importante per me come interprete ma anche per Giovanni Calcagno che era al mio fianco.

Nel momento in cui arrivano i soldi per il risarcimento della rottura delle ossa di Luisa e Michele consegna a Vincenzo la sua parte, Vincenzo avrebbe la possibilità di mandare a fanculo Michele e liberarsi della banda di spaccaossa che lo aveva messo un po’ ai margini. Potrebbe riscattarsi e scegliere un futuro diverso ma non lo fa. Non lo fa perché ho voluto che fosse un uomo senza alcuna qualità. Vincenzo, ancor più di Luisa, è un personaggio tragico: è l’emblema della banalità, della pochezza d’animo.

Il poster di Spaccaossa.
Il poster di Spaccaossa.

Il riscatto è qualcosa che manca in tutti i personaggi. Forse solo Maria, interpretata da Simona Malato, accenna per un momento a rendersi libera dal giogo degli ordini del marito (un eccellente Ninni Bruschetta).

Eh, però immaginiamo cosa succederà dopo quando il marito, finito tutto il caos per la morte di Mimmo, scoprirà cosa è accaduto a Luisa. Mi fa piacere che dal mio film, seppur maschile, emergano così tanto i personaggi femminili, tutti forti ognuno a proprio modo. Abbiamo parlato di Luisa e del suo percorso cristologico, di Giovanna come matrona, deus ex machina dalla sua poltrona, e ora di Maria.

Maria è quella che con un semplice gesto si rivela essere uno dei pochi personaggi minimamente buoni: se dovessimo trovare un’eroina della storia, sarebbe lei. È l’unica che abbraccia Luisa in una scena che ricorda una specie di deposizione e lo fa in un frangente in cui la tragedia incombe, in cui è inconsapevole anche delle conseguenze che provocherà il suo gesto successivo.

A questi tre personaggi femminili, ne aggiungerei un quarto: Patrizia, la moglie di Mimmo portata in scena da Rossella Leone. Patrizia, nel suo piccolo, è l’unica che qualche dubbio sulla spaccatura delle ossa. Tant’è che dice al marito che non deve necessariamente arrivare a quel punto, come se avesse una sorta di sesto senso.

Patrizia rappresenta la voce di Dio, una voce sola che, come il coro delle tragedie greche, comprende prima di tutti come andrà la vicenda. Forse non immagina il grande dolore che attende Mimmo (il bravissimo Filippo Luna) ma le sue preoccupazioni rimangono inascoltate. È come una specie di sacerdotessa o di Cassandra che, senza arrivare alla profezia, ha la consapevolezza del costo che tutto ciò comporterà.

Selene Caramazza, Filippo Luna, Vincenzo Pirrotta e Maurizio Bologna in una scena di Spaccaossa.
Selene Caramazza, Filippo Luna, Vincenzo Pirrotta e Maurizio Bologna in una scena di Spaccaossa.

Passando al comparto dei personaggi maschili, il Michele di Giovanni Calcagno rappresenta il potere o, meglio, colui che detiene il potere semplicemente perché ha un minimo di studio alle spalle.

Michele è studiato. Sbaglio appositamente ausiliare perché chi è palermitano sa quale significato si cela dietro all’espressione “è studiato”. È uno che sa leggere e maneggiare “le carte” e proprio per questo gode del rispetto di tutta la banda di spaccaossa: riesce a districarsi nella burocrazia in un Paese, come il nostro, in cui la burocrazia è un cancro. Il suo è un piccolo regno che pian piano diventa sempre più piccolo: lo si denota da come ho voluto rappresentare anche il suo studio. Da grande che è nelle prime scene diventa sempre più piccolo.

E di regni pieni di sudditi come il suo ce ne sono tanti nella società. Sono regni anche della conoscenza, caratterizzati da una rete impressionante. La banda di spaccaossa ha ramificazioni ovunque, persino all’interno dell’ospedale, tra medici e infermieri. Il povero Mimmo, anche se morto, viene riportato a casa in ambulanza con la maschera dell’ossigeno attaccata. Quando arriva davanti la porta della sua abitazione, c’è una donna al balcone che esclama una battuta che sembra quasi di servizio, aperta da una parola palermitana: “mischino”. In realtà, è una battuta che cela una grande profondità: sottolinea il cinismo del “regno” e della sua rete ma anche la compenetrazione e la partecipazione del popolo al dolore altrui, una caratteristica che è molto forte in alcuni quartieri palermitani e meridionali in genere.

Compartecipazione al dolore che vediamo anche nel casolare in cui gli “spaccati” sono rinchiusi nella clip che abbiamo noi di TheWom.it mostrato in anteprima esclusiva.

Quella del casolare è l’immagine da cui sono partito. Parlando della storia degli spaccaossa con Renato Cortese, che allora era questore di Palermo, e Rodolfo Ruperti, il capo della squadra mobile della città, che gli spaccati venivano ospitati nelle diverse stanze di un appartamento al centro del capoluogo. L’immagine degli spaccati mi ha accompagnato per tutta una notte: li immaginavo come zombie che, con uno sguardo pieno di disperazione, pian piano venivano fuori, come testimoni della tragedia in corso. Nella scena da voi mostrata, la morte è entrata in quel casolare ed è vicina a loro, possono quasi toccarla con mano.

La Palermo raccontata da Spaccaossa è un luogo non luogo. Non vengono mai specificati i quartieri o le vie. Dal racconto non si evince nessun riferimento geografico o toponomastico preciso.

L’unico riferimento è nella scena finale, quando con un drone mostro Monte Pellegrino. La Palermo di Spaccaossa è una Palermo non vista in altri film: non c’è Mondello, non ci sono i monumenti e non c’è nessun segno riconoscibile. Ho girato anche in quartieri poco raccontati come Danisinni o Falsomiele. Il mio intento è che venisse fuori una Palermo diversa, più cupa e non solare. In tutto il mio film, tranne che in un’unica scena, non c’è mai il sole.

Si tratta questa di una scelta interessante, considerando il superbo lavoro fatto dal direttore della fotografia, Daniele Ciprì.

Ho chiesto a Daniele di dare a Palermo una luce diversa da quella che è nell’immaginario comune. È come se la città fosse ricoperta dal manto nero dell’Addolorata. C’era un’immagine della mia infanzia che ho dato come riferimento a Ciprì. Nel paese di cui sono originario, Partinico, per il Venerdì Santo si celebrava una processione con la bara del Cristo Morto e la statua della Vergine Addolorata coperta da un manto nero. L’uscita dalla chiesa avveniva sempre in un momento particolare della giornata, in cui il sole si trovava quasi in asse con il manto. Ciò faceva sì che il manto coprisse il sole e lo oscurasse, se non tutto in parte.

A proposito di Palermo, Spaccaossa è tutto girato in siciliano. Una scelta che potremmo definire quasi non commerciale.

Si, è una scelta certamente anti commerciale. Ho convinto sia Rai Cinema sia Tramp dell’importanza della lingua: la storia non poteva essere raccontata diversamente. La lingua siciliana, il palermitano in particolare, è piena di asperità nella fonetica e descrive bene la verità di ciò che sta accadendo. Quindi, è stata una scelta dettata sia dal suono della lingua in sé sia dalla dolorosa verità raccontata.

E Palermo è presente anche nella colonna sonora del film, in cui hai volutamente inserito O vos omnes di Giuni Russo, artista palermitana vergognosamente dimenticata dalla città.

Trovo scandaloso che a Palermo non ci sia anche solo una strada a lei dedicata. E lo trovo ancor più vergognoso se fosse vero il sospetto per cui dipenda da quella che è stata la sua apertura mentale in anni in cui il pregiudizio era ancora forte. Nella scena in cui è stato inserito il pezzo, è come se stessi chiamando in causa gli spettatori invitandoli a vedere il dolore rappresentato. La voce di Giuni Russo, con la sua potenza e la sua drammaticità, si sposava perfettamente con quanto mostrato: non mi vergogno a dire che in fase di montaggio, ho pianto diverse volte nel rivedere la sequenza. Avevo e continuo ad avere la pelle d’oca: tutto è portato naturalmente verso la commozione e la Passione, per rimanere nei termini religiosi di cui si parlava prima.

Viviamo in un’epoca di politically correct a tutti i costi. Nel tuo film, c’è una battuta che potrebbe prestarsi a interpretazioni sbagliate. Chiariamo subito che non c’è nessun intento razzista nel chiamare “cioccolatino” il pusher che all’inizio del film molesta Luisa?

Sono lontano anni luce da qualsiasi posizione razzista. Quando facevo le ricerche per il film, sono andato in una zona di spaccio della città, in cui lo smercio del crack è in mano ai nigeriani. Uno di loro veniva chiamato anche da tutti i connazionali Pocket Coffee. Ovviamente, per questioni di product placement, non avevo il permesso di usare quel nome, che è anche un marchio registrato e di conseguenza l’abbiamo tramutato in “cioccolatino”. Ma è soltanto un riferimento a qualcosa che esiste già e che descrive il modo di pensare della banda di criminali che voglio denunciare.

Ti sei circondato in Spaccaossa di alcuni dei più grandi attori siciliani, da Giovanni Calcagno a Filippo Luna, da Aurora Quattrocchi a Simona Malato. Ma chi hai reso più irriconoscibile, valorizzandone il talento, è Selene Caramazza con il personaggio di Luisa.

Come spesso accade, le cose più belle avvengono quasi per caso. Ho conosciuto Selene sul set di The Bad Guy, la serie che abbiamo girato per una piattaforma e che uscirà prossimamente. Quando l’ho vista, ho subito visto Luisa in lei. Ha anche sostenuto un provino ma, sebbene l’avessi già scelta, non ho voluto dirglielo subito. Avevo deciso senza esitazioni, mi ero confrontato anche con mia moglie e con Filippo Luna, che ha fatto da sparring partner durante il provino. A Selene l’ho rivelato tre giorni dopo durante una cena con i registi della serie, Luigi Lo Cascio e Claudia Pandolfi, a casa mia. Tre giorni durante i quali lei pensava di non essere stata scelta!

Spaccaossa: Le foto del film

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