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In Afghanistan, stop allo sport per le donne e studentesse divise dai maschi

Un gruppo di donne pratica il tae kwon do a Kabul, nel 2004
Mentre per le strade di Kabul decine di (coraggiose) donne manifestano contro la repressione dei loro diritti, i Talebani annunciano lo stop dello sport femminile. L'ennesima dimostrazione che il nuovo volto dei Talebani non è affatto nuovo.

Ad annunciarlo è stato il vicecapo della Commissione cultura Ahmadullah Wasiq, confermando ancora una volta i timori di chi non crede nell'immagine di tolleranza che i Talebani vogliono diffondere soprattutto all'estero. «Le donne non potranno giocare a cricket, né praticare alcun altro sport che esponga i loro corpi. Ma in realtà, che necessità c’è che le donne facciano sport? L’Islam vieta che il corpo della donna sia visto in pubblico», ha spiegato Wasiq.

Una dichiarazione che - alla luce della nuova composizione del governo - non sorprende neanche un po'. Perché a ricoprire le cariche più importanti sono proprio gli esponenti più estremisti dei Talebani, come il premier Hasan Akhund, nella lista nera dei terroristi internazionali, il figlio del Mullah Omar alla Difesa e il ricercato dall’Fbi Haqqani al Ministero dell’Interno. Un terzetto che spegne qualsiasi illusione di accondiscendenza da parte dei Talebani, riportando il Paese al 1996, quando gli studenti del Corano instaurarono il regime che venne poi smantellato dagli americani nel 2001.

A testimoniare quanto la vita delle donne stia diventando sempre più dura è anche l'immagine delle studentesse universitarie separate dai loro compagni maschi da una tenda. Le nuove leggi impongono infatti che se tra gli iscritti a un corso ci sono più di 15 studentesse è necessario organizzare classi separate. Se sono un numero inferiore, invece, si ricorre alle tende per dividere maschi e femmine. Le studentesse devono inoltre entrare e uscire dall'aula 5 minuti dopo i loro compagni per evitare occasioni di incontro. Una regola che riporta le donne afghane indietro di oltre vent'anni, cancellando i progressi della società dall'intervento americano a oggi. "Per noi studiare diventa inutile, dato che poi non potremo lavorare", spiegano le studentesse.

Una lezione in un'università privata di Kabul, 7 settembre 2021
Una lezione in un'università privata di Kabul, 7 settembre 2021

Ma se l'Afghanistan sembra sprofondare sempre più velocemente verso l'incubo talebano di vent'anni fa, c'è una grande differenza rispetto al 1996: una coscienza civile che è determinata a non lasciarsi schiacciare. Ed è proprio con questa coscienza civile che devono fare i conti i Talebani, se vogliono ottenere il riconoscimento internazionale. E gli occhi del mondo sono puntati proprio lì, verso le donne afghane.

Negli ultimi giorni sono state numerose le donne (e non solo) che stanno facendo sentire la propria voce per le strade di Kabul. Sui loro striscioni c'è il volto di Banu Negar Masoomi, agente di polizia afghana barbaramente assassinata pochi giorni fa da un gruppo di sicari inviato dai Talebani. La donna, giustiziata sotto gli occhi dei figli, era all'ottavo mese di gravidanza e aveva collaborato con l'ex governo guidato da Ashraf Ghani. I Talebani hanno negato di essere coinvolti nel suo omicidio rassicurando l'opinione pubblica occidentale che le donne avranno un ruolo di primo piano nel nuovo Afghanistan. Per ora tutto dice il contrario. E l'impressione è che la situazione precipiti di giorno in giorno.

Una protesta a Kabul, 8 settembre 2021
Una protesta a Kabul, 8 settembre 2021

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