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Referendum sull’aborto, San Marino dice “sì” alla depenalizzazione

I cittadini del Titano sono stati chiamati a votare domenica 26 settembre per decidere se rendere legale l'interruzione di gravidanza entro le 12 settimane di gestazione: il 77% ha votato sì, avviando una rivoluzione finalizzata a cambiare una legge vecchia 150 anni

“77%. Le Gambe delle donne portano lontano”: è con una citazione della Smorfia con cui l’Unione Donne Sammarinesi, storica associazione che si batte per i diritti civili, ha annunciato un momento storico: la vittoria del “sì” al referendum sulla depenalizzazione dell’aborto con il 77% dei voti.

Nel microstato incuneato tra Emilia Romagna e Marche i cittadini, circa 30.000 quelli effettivamente residenti, sono andati alle urne domenica 26 settembre per cambiare una legge vecchia di 150 anni, quella che vieta alle donne di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza pena il carcere. Nello specifico, stando al Codice Penale di San Marino, la legge prevedeva la prigionia di secondo grado (da sei mesi a tre anni) sia per la donna che si procura l’aborto, sia per chi vi concorre o chi lo procura senza il suo consenso (all’articolo 153). Pene più “lievi” per il cosiddetto “aborto per motivo d’onore”, disciplinato dall’articolo 154, che punisce con la prigionia di primo grado (da tre mesi ad un anno) la donna libera dal vincolo matrimoniale. Leggi che risalgono al 1865, e che sono arrivate più o meno invariate sino a oggi.

Referendum sull'aborto, la storia

Domenica è stato il giorno della rivoluzione avviata sulla carta a inizio anno, quando l’Unione Donne Sammarinesi ha avviato il percorso per arrivare al referendum. L’assemblea dell’Uds aveva deliberato il 7 gennaio in favore del referendum, a marzo del 2021 il Collegio Garante di San Marino aveva emesso la sentenza di ammissibilità del quesito referendario, e a maggio erano state consegnate le firme: il bilancio è stato di 3.028 firme autenticate e 251 firme di residenti e sostenitori. La battaglia però era iniziata molto prima: da anni l’Uds si batte perché le donne sammarinesi non siano costrette a lasciare il territorio per ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza, e affinché sia consentito abortire entro le 12 settimane di gestazione senza rischiare il carcere. Una rivoluzione partita, come detto, da molto lontano, attraverso campagne di sensibilizzazione e informative culminate con il referendum che chiedeva:

“Volete che sia consentito alla donna di interrompere volontariamente la gravidanza entro la dodicesima settimana di gestazione, e anche successivamente se vi sia pericolo per la vita della donna o se vi siano anomalie e malformazioni del feto che comportino grave rischio per la salute fisica o psicologica della donna?”.

I seggi hanno chiuso alle 22, e stando ai dati diffusi dalla Segreteria di Stato per gli Affari Interni ha stravinto il “sì”. Al termine dello scrutinio delle 37 sezioni, il 77,30% dei votanti ha approvato la legalizzazione dell'aborto con 11.119 voti favorevoli contro i 3.265 contrari: dati in linea con altre consultazioni, anche alla luce del fatto che non è richiesto il quorum, abolito proprio con un referendum nel 2016, ma schiaccianti nella proporzione tra "sì" e "no".

Una battaglia lunga decenni: e ora cosa succede?

Un voto storico, quello del 26 settembre, arrivato dopo due settimane di campagna referendaria in cui l’Unione Donne Sammarinesi e le associazioni pro-vita e anti aborto hanno “combattuto” a colpi di incontri, dibattiti e manifesti, alcuni con immagini esplicite come feti ricoperti di sangue. 

Con la vittoria del “sì”, San Marino si prepara dunque a una rivoluzione legale e culturale che dovrebbe culminare con una nuova legge. La proposta dell’Unione Donne Sammarinesi, associazione attiva sin dagli anni ’70, chiede in particolare una legge che “attui nella maniera più efficace ed estesa la prevenzione delle gravidanze indesiderate, per ridurre quanto più possibile il ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza”, con “accesso facile e gratuito ai più moderni contraccettivi femminili e maschili, anche quelli d’emergenza, la spirale gratuita, l’educazione sessuale nelle scuole, campagne informative anche per la prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili”, e che preveda una regolamentazione precisa dell’interruzione volontaria della gravidanza chiedendo la piena collaborazione della classe medica nella stesura del testo e che preveda sì l’obiezione di coscienza, a patto però che non ostacoli l’accesso all’aborto “a chi faccia richiesta nei termini previsti dalla legge, evitando le storture che si verificano oggi in Italia e che hanno reintrodotto l’aborto clandestino”.

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