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Cos’è la JOMO e perché può aiutarci a vivere meglio

Jomo
Un atteggiamento in controtendenza che celebra il godersi la vita senza l’ansia di perdersi qualcosa di meglio. Ecco cos’è la JOMO e perché può aiutarci ad essere felici in un mondo sempre più iperconnesso

Non è difficile oggi percepire di tanto in tanto la sensazione di essere fuori tempo. La ruota infinita di informazioni e stimoli da cui siamo bombardati quotidianamente in un mondo sempre più social e iperconnesso ci mette spesso di fronte al dubbio di non essere saliti sulla giostra, di non fare parte del giro giusto, di essere rimasti indietro.

Questa sensazione, che possiamo tradurre come un mix di ansia di prestazione, un senso costante di frustrazione e un continuo complesso di inferiorità, è stata definita FOMO, fear of missing out, la paura cioè di perdersi qualcosa e l’affannosa ricerca di essere sempre sul pezzo. Figlia dell’era tecnologica, del mondo dominato dai social network e dall’iperconnessione senza freni, la FOMO è diventata negli anni un atteggiamento sempre più interiorizzato, uno stato mentale che condiziona e distorce la percezione delle nostre vite, con influenze notevoli sul nostro grado di soddisfazione e felicità.

È proprio in questo contesto che negli ultimi anni si è fatta strada una nuova filosofia di vita, anch’essa figlia dell’era moderna e iperconnessa, che non ne nega i progressi e i vantaggi, ma che sa bene riconoscerne i limiti e conviverci, senza farsi risucchiare. Il suo nome è JOMO.

JOMO, cosa significa

Acronimo di di Joy of Missing Out, la JOMO nasce proprio come antidoto alla FOMO, e indica la gioia di perdersi qualcosa, di vivere e godere del quotidiano, senza l’ossessione di essere sempre sul pezzo.
Esattamente come il suo contrario, la JOMO non può che essere un prodotto dell’era moderna: non possiamo negare, infatti, che il trionfo dei social network nell’ultimo decennio abbia dotato ciascuno di un palcoscenico virtuale, affascinante ma pericolosissimo. Così, vedere ed essere visti, esibirsi ed essere al tempo stesso spettatori affamati, spiare e pretendere di essere spiati sono diventati degli atteggiamenti legittimi, quasi ovvi, istintivi.

Eppure, in questa spirale senza fine di compiacimento, morbosa curiosità e bisogno di non restare indietro, il meccanismo ha mostrato le sue falle. E alla voglia di esibirsi sotto le luci di quel palcoscenico, si è aggiunto anche il desiderio di spegnerle quelle luci.

In questo senso la JOMO diventa più che un modo di vivere e un atteggiamento pratico, uno stato mentale. È la consapevolezza di potersi permettere di godere del momento presente, senza pensare di perdersi qualcosa perché lontani da quel palcoscenico, dove, erroneamente, si pensa che tutto succeda.

È essere altrove ed esserne felici. È stare bene dove si è, senza essere ossessionati da quel che succede alla festa. È, in definitiva, pensare e credere che a quella festa sia bene farci ritorno ogni tanto, senza pensare che solo lì succeda tutto, che solo lì ci sia la vita vera.
Accogliere la filosofia della JOMO non significa infatti demonizzare il digitale, né starci alla larga o praticare del detox digitale, vuol dire invece convivere in modo saggio ed equilibrato con la frenetica era dell’iperconnessione, senza lasciarsi risucchiare da questa e concedersi il lusso di vivere e godere dei momenti presenti, indipendentemente da ciò che succede là fuori, senza farsi stordire dal canto ammaliante delle sirene “digitali”.

Come nasce la JOMO

Il termine JOMO appare per la prima volta nel 2012 sul blog dello scrittore e imprenditore Anil Dash, che lo identifica come un antidoto alla pressione che molti giovani avvertono, stanchi di dover presenziare ovunque, nel mondo digitale e reale, per non perdersi nulla ed essere sempre sul pezzo.

È però nel 2018 che la JOMO diventa effettivamente una tendenza riconosciuta. A battezzarla è il New York Times, attraverso un articolo che consente a questa nuova filosofia di vita di raggiungere una platea ben più ampia, diventando a tutti gli effetti una realtà.

Il fenomeno appare subito di un certo rilievo, tanto che la filosofia di cui si fa portavoce la JOMO comincia ad essere abbracciata piuttosto inaspettatamente dai grandi colossi della tecnologia.

Nel maggio dello stesso anno, infatti, l’amministratore delegato di Google, Sundar Pichai, tiene un discorso motivazionale durante una conferenza con gli sviluppatori, nel quale invita i presenti a praticare la JOMO. Alla sua mossa segue un impegno concreto in questa direzione da parte dell’azienda con l’introduzione nel sistema operativo Android di una serie di strumenti per monitorare come e quanto si utilizzano telefoni cellulari e tablet.
Lo stesso fa Apple, che ha attivato un sistema di messaggistica settimanale per informare l’utente del tempo trascorso nelle app e sui siti web del proprio smartphone e tablet.

Non possiamo poi prescindere dall’impulso dato in questo senso dalla pandemia, che negli ultimi due anni ci ha portato, più o meno forzatamente, a rivalutare spazi intimi e privati e a riappropriarci del valore del tempo e del silenzio, e di una vita vissuta anche lontano dai palcoscenici digitali.

Consigli per introdurre la JOMO nella propria vita

Abbracciare i dettami della JOMO può consentirci di vivere con maggiore consapevolezza e serenità, di sintonizzarci sui nostri bisogni e desideri, di concentrarci su ciò che amiamo, guadagnandone anche in produttività, efficienza e soddisfazione personale.
Riappropriarsi dei propri spazi e tempi significa anche stare alla larga da pressioni, dalla pratica malsana dei confronti continui con le vite apparentemente perfette degli altri e da un inevitabile senso di frustrazione e infelicità.

Ecco qualche piccolo consiglio di JOMO per risintonizzarsi sulla propria vita e godere di ogni momento senza l’ansia di restare indietro.

  • Partire dalle cose e le attività che ci fanno stare bene, concentrandoci maggiormente su come ci si sente e non su come si viene visti e percepiti dall’esterno. Questo consente di mettersi in ascolto di se stessi e dei propri bisogni. Focalizzarsi su di sé e non sull’immagine che vedono di noi è il primo passo per vivere in sintonia con se stessi ed essere felici.
  • Imparare a diffidare da ciò che ci raccontano i social e le realtà filtrate da uno schermo digitale. Imparare a leggere correttamente il linguaggio e i codici del mondo social è fondamentale per non vivere nella continua frustrazione. E questo non può prescindere da un pensiero fondamentale che dovrebbe guidare ogni nostra mossa nel mondo digitale: ciò che viene raccontato è solo ciò che si sceglie di raccontare, non la vita reale.
  • Imparare a concentrarsi sul qui e ora, godendo del momento presente e focalizzandosi prima di tutto sul piacere dell’attività che si sta compiendo. In questo senso può essere utile praticare qualche esercizio di mindfulness per iniziare a familiarizzare con il concetto e renderlo poi con il tempo un naturale atteggiamento quotidiano per essere maggiormente presenti a se stessi e godere di ogni cosa che si sta vivendo.
  • Imparare a dire di no. Imparare a selezionare inviti, eventi e attività, scegliere di non presenziare ovunque e concedersi tempo per se stessi è un gesto di grande amore verso di sé. Pensare che essere ovunque aumenti la nostra credibilità e renda la nostra vita più attraente e invidiabile è un’illusione che porta solo disagio e infelicità. Imparare ad ascoltare se stessi, i nostri bisogni e desideri è il primo passo per vivere con maggiore serenità e soddisfazione.
  • Imparare a togliere notifiche social di tanto in tanto e avvisi di e-mail fuori dagli orari di lavoro. Si tratta di un piccolo gesto che può consentirci di staccare davvero e di non avvertire quel richiamo pericoloso e ammaliante, ricordandoci di andare prima di tutto dove stiamo bene, non dove ci è richiesto.
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