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Veronica Di Nocera: “Liberiamoci da etichette e omologazione” – Intervista alla cantautrice

Dall’essere vittima di bullismo a scuola al divenire la voce di chi non ne ha, Veronica Di Nocera si racconta a TheWom.it mostrando quanta forza serva per rinascere dopo essere stata presa di mira ed essersi fatta male.

Veronica Di Nocera ha pubblicato il suo nuovo singolo, Tarocchi (CDF Records/Ingrooves). Prodotto da Mario Romano, Tarocchi rappresenta una piccola novità nel percorso di Veronica Di Nocera: segna un punto di svolta nel percorso artistico della cantautrice Veronica, che realizza un inaspettato brano dalle sfumature elettroniche ispirate agli anni '80, capaci di trasportare l'ascoltatore all’interno della grande metafora del circo racchiusa nel testo.

Con questo nuova uscita musicale, la cantautrice casertana Veronica Di Nocera ci presenta un'intima e inedita versione di sé, indirizzando il suo lavoro verso sonorità ed elaborazioni testuali che si allontanano dai precedenti progetti artistici. “Tarocchi descrive il mio stato d’animo all’interno di una società che si nutre sempre più di apparenze. Questa canzone, infatti, è una grande metafora che paragona la nostra vita quotidiana ad uno spettacolo circense”, ha dichiarato.

Ma Veronica Di Nocera non è nuova ad affrontare temi anche spinosi con la sua musica. Ciò che di Veronica Di Nocera ha finora catturato l’attenzione è stata infatti la sua attenzione su temi civili come l’ecologia, la disparità di genere, l’autismo e il bullismo. Tutti argomenti nobili che le hanno permesso anche di scavare nel suo passato. Come ha di recente raccontato nel programma tv Generazione Z, condotto da Monica Setta su Rai 2, Veronica Di Nocera conosce molto da vicino il bullismo: per anni, è stata presa di mira dai compagni di classe per il suo aspetto fisico. Circostanza che non abbiamo potuto lasciare fuori dalla nostra intervista.

Tuttavia, Veronica Di Nocera è molto di più delle sue canzoni, come dimostrano la forza e la determinazione che le sono servite per esordire in musica.

Veronica Di Nocera.
Veronica Di Nocera.

Intervista esclusiva a Veronica Di Nocera

Raccontaci cos’è Tarocchi.

Tarocchi è il mio ultimo singolo. È uscito lo scorso 28 novembre e propone per la prima volta il mio punto di vista. Nelle precedenti canzoni, ho cercato di dare voce a chi solitamente non ne ha, cercandone di interpretarne i pensieri. In Tarocchi, invece, ho voluto esprime come mi sento io all’interno della società in cui vivo tutti i giorni. E, quindi, anche il mio rapporto con i social network, uno strumento che troppo spesso porta tutti quanti a omologarci.

Tarocchi non è altro che una metafora. Ho immaginato un circo in cui i protagonisti siamo noi che, come i pagliacci, interpretiamo un ruolo per compiacere gli altri. Ho poi introdotto la figura della cartomante: altro non è che il simbolo dei social, in grado di leggerci passato, presente e futuro. Sono convinta che tra non molto ci diranno anche come vestirci o che maschera indossare. L’obiettivo della canzone è quello di invitare tutti quanti a rimanere noi stessi e a crearci le nostre personali tendenze.

Hai 27 anni e appartiene alla generazione zeta, ovvero quella che maggiormente usa i social network. Tu, invece, li consideri quasi come uno specchio deformante della realtà.

Quando sono nati, i social avevano un ruolo ben preciso che pian piano si è perso: si sono trasformati in tutt’altro. Che siano uno specchio deformante è chiaro a tutti: se voglio postare una storia, esistono centomila filtri diversi che modificano il soggetto, incluse anche le parti del corpo. Ecco, quest’aspetto mi fa paura: i social stanno diventando il riflesso di una società un po’ malata e spingono verso un’omologazione che si estende anche ad altri settori. Lo vedo anche nel mio ambito professionale, la musica: si è creato una specie di circolo vizioso per cui dobbiamo essere tutti uguali.

Quando accenni ai filtri per deformare il proprio aspetto fisico, non può non venirmi in mente quello che hai vissuto in prima persona. La fisicità è stata per te una spada di Damocle.

Sono stata vittima di bullismo, soprattutto durante l’infanzia e gran parte dell’adolescenza. Veniva preso di mira il mio corpo, un corpo con cui ho sempre avuto un rapporto difficile. Hanno fatto sì che iniziassi la prima dieta a 14 anni, una sorta di ossessione che non mi ha più abbandonata. Anche perché ti insegnano che per apparire, per chi fa il mio mestiere, è importante avere dei centimetri prestabiliti.

Il cattivo rapporto con il tuo corpo era una conseguenza diretta del bullismo o era un’ulteriore forma di violenza che esercitavi su te stessa?

Un po’ entrambe le cose. Sin da piccolina portavo gli occhiavi e mi vestivo come mi diceva la testa, differenziandomi a volte da quello che facevano le mie amichette. Fisicamente, avevo delle forme diverse dalle mie compagne di classe ed è bastato questo per farmi diventare un target: uno dei nomignoli che più utilizzavano era “mongolfiera”. È chiaro che tutto ciò poi ti segni e rimanga con te. Tuttora non riesco a guardarmi allo specchio tutti i giorni e dirmi che sono una bella ragazza. Dovrei essere fiera di quello che sono ma è ancora difficile.

Hai avuto modo di rivedere nel tempo coloro che usavano quei nomignoli nei tuoi confronti?

Sì, ho avuto modo di incontrare alcuni compagni di classe ma col tempo maturiamo tutti quanti. Ho quindi deciso di andare oltre tutto ciò che era successo ma sono comunque stati loro a fare un passo indietro e a complimentarsi per quello che ero riuscita a fare. Da un lato, penso che senza quelle difficoltà sarebbe stato tutto più semplici per me. Ma, dall’altro lato, senza non avrei avuto modo di crescere o di maturare per divenire la donna che sono.

Non attribuiamo però a quelle sofferenze una valenza positiva.

Assolutamente no. Anche perché per uscirne ho dovuto chiedere aiuto. Non l’ho fatto però sin sa subito. I miei genitori hanno saputo cosa è successo vent’anni fa solo ultimamente, solo quando ho deciso di metterlo in musica. Non ne parlavo perché provavo vergogna mentre oggi ho capito che occorre parlarne per sensibilizzare a riguardo. È il motivo per cui cerco di portare la mia musica anche nelle scuole e far capire a chi è vittima di bullismo che deve chiedere aiuto e non provare vergogna.

Oggi in alcune scuole è prevista anche la figura dello psicologo ma all’epoca in cui le frequentavo io non c’era: se avessi avuto la possibilità di rivolgermi a qualcuno, sarebbe stato tutto più lieve. Mi piacerebbe che in tutte le scuole ci fosse il giusto supporto psicologico e che si parlasse di bullismo non solo in presenza di fatti concreti. Sarebbe come un’opera di prevenzione: parlarne aiuterebbe i ragazzi a essere preparati e a prevenire certi comportamenti. Non basta parlarne solo il 9 febbraio, la giornata contro il bullismo: portiamo avanti progetti su progetti o introduciamo una materia che affronti la questione.

Veronica Di Nocera.
Veronica Di Nocera.

E cosa ti ha fatto risolvere cominciare una dieta a 14 anni?

Niente. Anzi, mi sono ritrovata con dei problemi di metabolismo con cui ancora oggi convivo. Quando si inizia una dieta di testa propria a quell’età, ci si priva di tante cose e si finisce con il farsi del male. È molto delicato come argomento: una dieta non va cominciata mai di testa propria e, soprattutto, mai quando non è veramente necessaria. Una delle colpe che mi do è quella di essermi piegata al volere e ai consigli sbagliati degli altri.

Chi capisce che il peso è un problema serio deve rivolgersi alle figure professioniste: se tornassi indietro, ne riparlerei con chi di competenza. Sono tanti i fattori che entrano in gioco e che solo un serio dottore può valutare. Io, ad esempio, ho impiegato dieci anni a capire che le mie gambe, una delle mie ossessioni, non sarebbero mai cambiate per una questione di costituzione.

Quando hai trovato il coraggio e la forza di far sentire la tua voce in musica? Quando hai capito che questa poteva essere la tua chiave di svolta?

La musica c’è sempre stata nella mia vita. Ho iniziato a cantare e, soprattutto, suonare strumenti sin da piccolissima, ancor prima che imparassi le note. La prima ad accorgersi della mia propensione è stata mia madre: è lei che mi ha spronata a prendere lezioni di chitarra, di canto e quant’altro.

Ho capito che quella che era una passione andava presa sul serio negli anni dell’adolescenza: rappresentano il periodo peggiore che ho affrontato con me stessa. Al liceo, venivo spesso e volentieri esclusa. Mi ritrovavo quindi sempre a casa, nella mia stanza, a rimuginare sui miei errori e a chiedermi cosa avessi fatto di male.

Emarginata sempre per motivi legati alla tua fisicità?

No. Al liceo, ho avuto una sorta di metamorfosi. Se prima era un problema di corpo, dopo era diventato di testa. Avevo tutta una serie di convinzioni che mi portavano ad avere un’autostima pari a zero di me stessa. Ero quella che non riusciva a integrarsi in nessun gruppetto e che non sentiva mai parte di qualcosa. Stavo sempre sulle mie o in disparte e avevo poche amiche. Stando in casa, ho cominciato però a osservare dettagliatamente cosa avessero fatto i miei cantanti preferiti per affermarsi. Passavo ore e ore su YouTube a guardare le loro interviste e pian piano ho realizzato che anch’io, come loro, avrei potuto seguire le loro orme e concretizzare i miei sogni. Ero convinta di avere qualcosa di diverso dagli altri: la musica.

Tuttavia, non è stato semplice. Salire sul palco le prime volte è stata una tragedia. Da persona con zero autostima, non volevo mostrarmi o stare al centro dell’attenzione. Ho vissuto malissimo tutte le gare e i concorsi fatti, tanto che in un primo momento, dopo l’esperienza a Castrocaro, avevo deciso di mettere tutto da parte. Fortunatamente, c’era sempre da qualche parte nella mia testa quella vocina che mi spingeva a provarci e riprovarci.

Ho deciso allora di fare un ulteriore step in avanti. Dopo il diploma alla Luiss, mi sono chiesta se non stessi meglio dietro a un palco. Ma, fortunatamente, la prima importante rottura sentimentale nel 2020 mi ha fatto aprire gli occhi: dovevo far uscire dal cassetto le canzoni che avevo scritto e cantarle. È nato così Kaleidoscopio, il primo singolo in cui ho raccontato ciò che mi era capitato.

Era la tua prima storia d’amore?

No, ma era quella più importante, quella che ti fa capire cosa vuoi da una relazione o chi è la persona più adatta a te. In quel caso, non riuscivamo più a darci il meglio di noi: è stata una decisione presa da entrambi quella di non andare più avanti. La rottura mi ha aiutato a crescere ma da persona emotiva quale sono non è stato semplice superarla fino a quando non ho messo tutta la mia determinazione nella musica.

Dopo Kaleidoscopio, hai pubblicato Wonder Woman, in cui rileggi alcuni dei più importanti eventi della storia cambiandone i protagonisti da uomini in donne. Come nasce l’idea?

Eravamo in quarantena a causa del CoVid. Nonostante fosse uscito da qualche tempo, non avevo mai visto il film Wonder Woman. Vedendolo, sono partita dal titolo per chiedermi come sarebbe stato se alcune tappe fondamentali della storia dell’umanità fossero state portate avanti dalle donne. Sono arrivata quasi subito al ritornello, che contiene un messaggio molto semplice che è però in questi tempi difficili mettere in atto: chi ha voce per chi non ne ha. Viviamo, purtroppo, in una società in cui tutti tacciono o preferiscono filmare con lo smartphone piuttosto che intervenire e far qualcosa di concreto.

Dovremmo tutti aiutare il prossimo e il prossimo dovrebbe aiutare noi. Indipendentemente da quello che siamo o che sono gli altri: ognuno di noi deve essere libero di essere chi è, senza paletti, schemi o etichette, che vengono imposte dalla società. Sarebbe tutto molto più semplice se non si avesse paura del prossimo.

E all’unicità di ognuno hai anche dedicato, in qualche modo, una canzone, Acustico.

Ho un cugino autistico. Non mi ero mai interfacciata con la tematica dell’autismo ma, quando, ho avuto modo di parlare con persone di varie associazioni che si occupano di ragazzi autistici, mi sono resa conto di quante nozioni sbagliate abbiamo. Non dovremmo avere paura di avvicinarci a una persona autistica neanche quando l’autismo è forte: occorrerebbe semmai trovare un linguaggio comune. Nel caso di mio cugino questo linguaggio è la musica.

Ti vuoi bene oggi?

Quando a fine giornata rifletto su certe cose, alla fine mi do anche la pacca sulla spalla. È stato un processo lungo durante il quale ho imparato a convivere con me stessa piuttosto che farmi la guerra. Penso sia doveroso non sprecare tempo a rimuginare: potremmo utilizzarlo in maniera più costruttiva. Nei giorni scorsi sono usciti ad esempio i nomi di coloro che parteciperanno a Sanremo Giovani. Ho visto tanti lamentarsi o rattristarsi per il no ricevuto. A loro suggerisco di non pensare ai numeri che farebbero partecipando al festival: cantate anche se c’è una sola persona che viene ad ascoltarvi. Io sono felice se posso essere d’aiuto anche un singolo ascoltatore: facciamo che la musica ritorni a fare quello che faceva un tempo, che sia un mezzo per trasmettere messaggi che spesso vengono ignorati anche dai grandi contesti.

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