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Sposa in rosso: Intervista esclusiva a Gianni Costantino

Sarah Felberbaum ed Eduardo Noriega sono i protagonisti del film Sposa in rosso, la nuova commedia sentimentale firmata da Gianni Costantino. Abbiamo incontrato il regista per farci raccontare la genesi di un’opera che dietro tante risate e maschere nasconde una forte impronta femminile e temi a noi sempre cari.

Sposa in rosso è il nuovo film con Sarah Felberbaum ed Eduardo Noriega in arrivo nelle sale italiane il prossimo 4 agosto per Adler Entertainment. La storia ruota intorno ai personaggi di Roberta e Leon. Italiana lei e spagnolo lui, si incontrano per caso a Malta e decidono di sposarsi, non per amore ma per denaro.

Entrambi esuli e a un punto della loro esistenza in cui devono capire chi sono, Roberta e Leon si conoscono su un autobus che unisce i loro destini. Roberta sta per partorire e Leon per tutta una serie di circostanze si ritrova accanto a lei nel momento in cui dall’Italia giungono i suoi genitori, la famiglia pugliese dei Caradonna. Senza un euro e con grossi problemi personali da risolvere, Roberta e Leon sfidano la sorte e stringono tra loro un patto: fingeranno di sposarsi per mettere le mani sulle buste, i mitici regali in denaro tipici dei matrimoni tradizionali italiani.

Più che un accordo, la loro è una truffa. E una truffa per essere messa in atto ha bisogno di complici, aiutanti e bocche chiuse da mantenere. Nessuno dei Caradonna deve essere al corrente del piano ordito, né i genitori di Roberta (Anna Galiena e Maurizio Marchetti) né tantomeno il fratello Sauro (Dino Abbrescia) o sua moglie Rita (Roberta Giarrusso). Gli unici su cui Roberta e Leon possono contare sono le persone di cui più si fidano: la zia Giada per lei (Cristina Donadio) e l’amico Giorgio per lui (Massimo Ghini). Come continua la storia, tocca a voi scoprirlo.

Prodotto dal giovane Riccardo De Pasquale, Sposa in rosso segna il ritorno alla regia di Gianni Costantino. Di origine campana, Costantino ha alle spalle solo altre due commedie da regista, Ravanello pallido (cult con Luciana Littizzetto) e Tuttapposto (primo film con protagonista Roberto Lipari). Ma la sua esperienza nel mondo del cinema è lunghissima. Ha infatti coperto diversi ruoli, dall’aiuto regia alla direzione del casting, per nomi come Daniele Luchetti, Ficarra e Picone, Giuseppe Bertolucci, Sergio Rubini e Lucio Pellegrini.

In Sposa in rosso, prima sceneggiatura scritta dal regista, Costantino affronta diversi temi e argomenti che, seppur vestiti da commedia, spingono alla riflessione. Innanzitutto, Sposa in rosso, film dalla forte connotazione femminile, punta i riflettori su una generazione di giovani rimasti in qualche modo incastrati tra la generazione precedente e quella successiva. Figli della precarietà, Roberta e Leon affrontano grazie alla truffa ordita un percorso di auto-accettazione a accettazione dell’altro che riscrive e rimodella le loro identità. Ma fanno anche i conti con l’epico scontro tra tradizione e anti-tradizione, tra il vecchio che resiste e il nuovo che avanza.

Non stupisce, quindi, che nella sua storia Costantino ricorra agli archetipi della favola: realtà e immaginazione comunicano costantemente in flusso bidirezionale i cui confini sono labili. Niente è lasciato al caso, ogni immagine, costruzione scenica o spunto narrativo ha un suo perché. E spesso il perché affonda le radici in una tradizione epica che riporta a Omero o a connotazioni filosofiche che richiamano il Mito della Caverna di Platone. Ma non spaventatevi: il tutto è affrontato con la leggerezza della commedia, una leggerezza positivamente esasperata dai personaggi in scena, vere e proprie maschere che recitano a soggetto.

A Gianni Costantino e a Sposa in rosso, va riconosciuto anche il merito di saper chiudere perfettamente le tante linee narrative che il film apre, soprattutto sui personaggi secondari. Ma anche la passione per un cinema che sceglie la risata per veicolare l’impegno. Sono da encomiare le rappresentazioni inclusive che il regista ha saputo mettere in scena. Da un manipolo di immigrati africani (stupendo il bambino, scelto come accadeva nella tradizione neorealista dalla strada) alla zia transgender Giada, l’occhio inclusivo di Costantino non cade mai nel banale o nel politicamente corretto a tutti i costi: non bisogna fingere quando la realtà supera di gran lunga l’immaginazione. E il suo occhio è quello di cui tutti oggi abbiamo bisogno, pur ridendo.

Abbiamo incontrato Gianni Costantino per un’intervista esclusiva aperta al confronto sul film e alla sua idea di cinema. E siamo stati felici di consacrare l’affermazione di un nuovo autore che finalmente ha uno sguardo diverso da quello a cui ci ha abituati il cinema italiano negli ultimi anni.

Gianni Costantino, il regista di Sposa in rosso.
Gianni Costantino, il regista di Sposa in rosso.

Intervista esclusiva a Gianni Costantino

Hai appena presentato Sposa in Rosso, il tuo nuovo film, a Benevento, al Festival Nazionale del Cinema e della Televisione. Qual è stata la reazione del pubblico?

Il pubblico ha avuto una reazione che non mi aspettavo. Era abbastanza trasversale, dai trentenni ai settantenni, e in molti sono rimasti dopo la proiezione a chiedere che raccontassi qualche aspetto in più della storia. Non mi aspettavo un’accoglienza così calorosa ma la gente ha visto come, dietro all’apparenza di una commedia leggera, si nascondano temi abbastanza importanti. Sposa in rosso è un film che va visto con la giusta attenzione e senza alcun tipo di pregiudizio.

Sposa in rosso ha il pregio di avere come protagonisti due personaggi, interpretati da Sarah Felberbaum ed Eduardo Noriega, che rappresentano una generazione oggi poco raccontata con onestà al cinema, quella dei cosiddetti young adult. Rimasti schiacciati tra la generazione dei boomer e quella millennial che avanza a ritmo prepotente, gli “enta” e gli “anta” sono coloro che, per dirla in termini pratici, se la passano meno bene rispetto a chi li ha preceduti e seguiti. Non hanno appigli, non possono progettare quando avere un figlio e, soprattutto, quando avere una casa, il luogo per eccellenza della realizzazione.

Tutto ciò si riassume in una sola parola: precarietà. E la precarietà si riverbera su tutti gli aspetti della vita, anche quelli più esistenziali. Ognuno non sa più chi è, cosa deve fare, che cosa progettare, dove andare perché essere precari diventa un limite. E guardandomi intorno ho visto quanti limiti vivono coloro che hanno tra i 35 e i 40 anni, costretti nella perenne condizione di figli quando dovrebbero già essere genitori. Per loro, la famiglia di origine diventa l’ancora di salvezza ma anche ragione di scontro. Quante volte si sentono dire dai genitori o dai parenti, che magari li sostengono anche economicamente, “Quando ti sposi? Quando fai un figlio? Quando cresci?”. Tutte domande a cui non si può rispondere. E che generano maggior insofferenza in ogni ambito: non hanno le basi per farlo e non possono appigliarsi alla speranza.

Ho chiamato il film Sposa in rosso non per l’abito di nozze della protagonista Roberta. Il rosso sta a indicare il trovare l’ispirazione, l’impulso, la fiammella e la passione che serve per andare avanti. E Roberta e Leon, i personaggi interpretati da Sarah ed Eduardo, si riaccendono insieme grazie al meccanismo della truffa legata alle buste che riceveranno con il (finto) matrimonio. La fiamma a cui danno vita si propagherà come un’onda su tutti gli altri componenti della famiglia ma anche su loro stessi e sul modo in cui si vedono.

Eduardo Noriega e Sarah Felberbaum in Sposa in rosso.
Eduardo Noriega e Sarah Felberbaum in Sposa in rosso.

Quella tra Roberta e Leon non è però una storia d’amore convenzionale. Se vogliamo dirlo, senza rovinare la sorpresa a nessuno, l’amore arriva solo alla fine, nell’ultima sequenza. Per tale ragione, mi piace pensare a Sposa in rosso come a un film di coming of age. Attraverso un incontro casuale a Malta, Roberta e Leon cominciano quel percorso che pian piano permetterà loro di maturare e capire chi sono.

Roberta e Leon all’inizio di Sposa in rosso sono completamente spaesati. E non è casuale che usi il termine. La storia ha inizio a Malta, una sorta di terra di nessuno dove entrambi vivono da “naufraghi”. Come dice bene Massimo Ghini in una delle scene iniziali, sono esuli, lontani da quella che è la loro terra di origine.

Il maestro Mario Monicelli, che ho avuto la fortuna di conoscere negli anni Novanta alla Scuola di Cinema, sosteneva che con i messaggi dovevamo far passare dei concetti semplici e che le immagini dovevano raccontare più delle parole. Risponde a quest’esigenza, ad esempio, una delle scene a inizio storia quando viene abbattuto il muro della casa in cui vive Leon: il muro diventa metaforico delle barriere.

In termini semantici, in Sposa in rosso dietro a ogni significante si nasconde un significato. Nulla è lasciato al caso, anche quando la scena può suscitare ilarità a prima vista. La risata che la commedia può generare sottintende sempre messaggi che un pubblico sensibile e attento può cogliere. Potrei farti un altro esempio di ciò che intendo. Quando Roberta si scontra con il vero del suo bambino, l’incontro avviene in un acquario. Quella scena poteva essere girata ovunque, in un viale o in una gelateria, ma non avrebbe avuto lo stesso significato. L’acqua è il simbolo della vita stessa e, in quel frangente, Roberta comincia a proteggere il suo bambino con tutta se stessa, con le lacrime agli occhi.

Se Malta è indice del fatto che Roberta e Leon possono essere considerati il simbolo degli esuli, Sposa in rosso affronta anche altri temi sociali legati al cosiddetto concetto di inclusività. Parla di immigrazione, ad esempio, offrendoci il punto di vista di una piccola comunità di africani in Puglia. E racconta anche di transessualità con la figura della zia Giada.

Ho voluto che in Sposa in rosso fossero presenti la tradizione e l’anti-tradizione, dove per anti-tradizione intendo il cambiamento di una tradizione. Lucrezia, la madre di Roberta, rappresenta in maniera un po’ kitsch la tradizione, mentre zia Giada, la zia di Roberta, è il simbolo dell’anti-tradizione. Era nata in un corpo maschile ma aveva sempre desiderato essere donna. Il suo cambio di identità e sesso non è mai stato accettato da chi invece voleva mantenere salda la tradizione.

Anche il matrimonio viene visto come uno di quei riti tradizionali a cui ricorrere, se non perché ci si crede, almeno per la dote. Quello della dote è un tema che ci riguarda tutti da vicino. Quante volte abbiamo sentito i genitori dire “Quando moriamo noi, avete quello che si spetta”? E, il più delle volte, ciò da adito a ulteriori contrasti tra fratelli che litigano per la suddivisione dell’eredità, di ciò che i genitori hanno costruito col sudore. Sauro, il fratello di Roberta, pensa molto alla dote. Ma per metterci mano deve aspettare che muoiano le tre zie che, pur avendo superato gli ottant’anni, sono lì che non si schiodano. “Quelle sono morte da tanti anni ma ancora comandano e umiliano”, si dice non troppo velatamente.

Il personaggio di Sauro, che hai appena citato, in Sposa in rosso rappresenta un po’ l’antagonista di tutta la vicenda raccontata nel film.

Ma rappresenta anche il modo superficiale di vedere le cose. Sauro è uno che guarda tout court ciò che succede, che mette insieme i pezzi a modo suo e si crea tutto un film mentale. Sauro è sì l’antagonista ma alla fine gli si vuole bene proprio perché è un perdente.

È talmente un perdente che, mentre gli altri tramite i litigi vanno incontro a dei riavvicinamenti, Sauro è l’unico che si ritrova solo, lasciato dalla moglie interpretata dalla bravissima Roberta Giarrusso.

È un po’ come se lei aprisse gli occhi, rendendosi conto di essere stata accanto a una persona che forse non le ha mai voluto bene. Lo lascia con le lacrime agli occhi e non con cattiveria. Per una coppia che si unisce, ce n’è una che si separa. Ho voluto giocare molto sui parallelismi e sul concetto di vite parallele.

Dino Abbrescia e Cristina Donadio in Sposa in rosso.
Dino Abbrescia e Cristina Donadio in Sposa in rosso.

In Sposa in rosso hai volutamente giocato con il concetto di maschera, a partire dal personaggio di Cristina Donadio.

Ho lavorato sul camuffamento e sul cambiamento. Ho voluto che tutti gli attori sembrassero diversi da come siamo abituati a vederli, non so quante volte il solo Massimo Ghini cambia aspetto durante il corso del film. Perché, mi chiederai. Perché la maschera è lo scudo che tutti noi mettiamo in atto in base alle situazioni in cui ci troviamo. Non parlo di maschere materiali ma di maschere psicologiche: la maschera è quel meccanismo che ti porta a essere altro da noi per farci avvicinare e accettare dalle persone che abbiamo di fronte.

Inevitabilmente, la maschera è figlia dell’immaginazione, un altro aspetto su cui ho puntato. Sposa in rosso si regge su un delicato equilibrio tra realtà e favola, tant’è vero che Leon alla fine scrive il suo finale della storia. Sono convinto che l’immaginazione sia il giusto antidoto in alcuni momenti della vita per tenerti lontano dalla cruda realtà. Non è un caso che il personaggio di Ghini dica che in Italia si recita a soggetto. È un po’ una critica a un Paese in cui la politica inventa una realtà e la trasforma in vera, disseminandola in lungo e in largo e facendo sì che dai media arrivi sulla bocca di tutti.

Quello che accade anche con le fake news che internet tanto ama.

Ma accadeva già anche tanti anni fa. Io ricordo tanti anni fa un mio zio che spesso andavo a trovare con i miei genitori. Era il politico di riferimento del suo paesino nel beneventano, che per farsi eleggere raccontava delle boiate pazzesche. La gente credeva alle sue parole e in massa lo votava. Prometteva mari e monti e tutti ci credevano. Morale della favola? Negli anni Novanta è finito in galera: per inventare una realtà che non esisteva aveva finito con lo scatenare un effetto domino che aveva portato il paese al collasso.

Della favola hai quasi tenuto in considerazione tutti gli aspetti strutturali. Sauro è l’antagonista, come dicevamo, ma finisce suo malgrado per diventare l’aiutante dei due protagonisti.

In fase di sceneggiatura, ho tenuto a mente sia l’epica sia la fiaba. Abbiamo i due esuli che cercano di ritornare in patria o il richiamo delle sirene, per fare degli esempi concreti. L’obiettivo era quello di seguire gli stilemi del grande intrattenimento popolare. Il cinema, ricordiamocelo, deve intrattenere per arrivare a maggior pubblico possibile con un linguaggio semplice e immediato. Ma senza per questo dimenticare la grossa valenza sociale che deve avere la commedia.

Ritornando ai protagonisti del film Sposa in rosso, Roberta e Leon, per andare avanti devono prima di tutto imparare ad accettarsi e a vedere chi sono stati. Solo vedendosi riflessi nel giudizio l’uno dell’altra, capiscono come si siano “persi” lungo la strada. Il confronto dei due avviene in una sequenza che è forse la più dura di tutto il film. Per la prima volta, hanno modo di confrontarsi sui processi di auto-accettazione e accettazione, sull’identità e sulla maschera.

È l’unica scena in cui Roberta e Leon si scontrano davvero. Il tono è così duro per una serie di ragioni. Roberta, ad esempio, aggredisce per proteggersi perché capisce che sta nascendo un reale sentimento. Quando ci si vuol proteggere, che si fa? Si sferra il primo colpo per evitare che sia l’altro a farlo. Questa è la ragione che la spinge a ferire Leon violentemente con le parole. L’amore è quel processo che ha bisogno di tempo per essere metabolizzato.

Sarah Felberbaum ed Eduardo Noriega in Sposa in rosso.
Sarah Felberbaum ed Eduardo Noriega in Sposa in rosso.

Hai appena citato il tempo. Che peso ha in Sposa in rosso?

In Sposa in rosso tutto è scandito dal tempo. A cadenzarlo è l’orologio che dalla prima scena in poi è sempre presente, è forse l’elemento più importante della storia, ancor di più dell’uragano. Anche il pappagallo della zia Giada, dopo l’uragano, non canta un verso tratto dalle opere liriche che la zia ascolta ma dice “Tempus fugit, che dolor!”. È un modo per ricordare a tutti noi che il tempo scorre, troppo velocemente.

L’unico momento in cui il tempo sembra fermarsi in Sposa in rosso è quando Roberta e Leon fanno l’amore: quando si è innamorati, il tempo non conta più. Ricordiamoci sempre che il tempo è un concetto che abbiamo creato noi. L’orologio è una forma di gabbia, una convenzione sociale condivisa.

Qui a TheWom.it non possiamo non notare che Sposa in rosso è un film che ha una fortissima impronta femminile.

È un aspetto che ho voluto rimarcare già dal cognome della famiglia di Roberta, Caradonna. I Caradonna hanno una struttura gerarchica che potrebbe essere patriarcale: sono una asfissiante famiglia del Sud Italia con affetti e difetti esasperati. Ma in realtà gli uomini, come dimostra Sauro, sono dominati letteralmente dalle donne, sono schiacciati e non hanno quasi voce in capitolo. Sauro non è stato nemmeno in grado di avere dei figli maschi e soffre molto la sua condizione di “sudditanza”, tant’è che in una delle primissime scene rimarca come Leon “abbia fatto il figlio maschio”: lui, invece, ha avuto altre due femmine!

Lucrezia e Giada sono poi le due dame che reggono la famiglia. Le chiamo dame perché intorno a loro ho costruito una scena di confronto che ricorda il movimento delle regine in una scacchiera, ho voluto appositamente che la stanza in cui si girasse avesse il pavimento a quadri bianchi e neri.

Per quanto soffocante, arcigna e dispotica, Lucrezia è amata dal marito. Alberto ha uno splendido rapporto con la figlia Roberta, da sempre in contrasto con la madre. La conosce bene e sono sempre stati sinceri l’uno con l’altra. In un dialogo, Alberto manifesta alla figlia Roberta la sua idea di amore: nonostante volesse lasciar la moglie, è accanto a lei che rimane per “salvarla”. Fa tenerezza come in un altro momento, Alberto vada via con Lucrezia mano nella mano: ricordiamoci che sono i punti di contatto che fanno diventare due una coppia, un tutt’uno. Quel momento mi emoziona, mi ha ricordato il girotondo che si fa bambini quando tutti mano nella mano si diventa un tutt’uno che fluidamente collega l’inizio e la fine.

E non dimentichiamo le tre “streghe” che vivono dentro al castello, le zie. La casa in cui i Caradonna vivono è una sorta di castello delle fiabe, popolato da tre streghe che tengono ogni cosa sotto il loro giogo. L’unica a sfuggire da quella mancanza di trasparenza e chiarezza è stata Giada, che andata a vivere in una villa fatta a suo piacimento.

La maggior parte del cast di Sposa in rosso è italiano. Ma c’è una splendida eccezione: il protagonista, l’attore spagnolo Eduardo Noriega.

È stata una scelta ben ponderata. Ho coinvolto Eduardo perché da non italiano aveva una sensibilità diversa dalla nostra. C’erano tanti attori interessati al ruolo di Leon, alcuni con nomi anche molto importanti. Ma, come mi ha insegnato uno dei maestri per cui ho lavorato come casting director, Daniele Luchetti, quello che conta per la riuscita di un film è il creare il giusto assortimento di facce e volti.

Ho scelto il protagonista di Apri gli occhi prima di tutto per un’esigenza legata alla storia: i protagonisti dovevano essere due esuli che, provenienti da due terre diverse, si mettono in cammino verso un’altra terra. Ma non è stato così semplice spiegare la mia scelta a chi invece avrebbe voluto un altro nome.

E, poi, perché volevo allargare un po’ l’orizzonte e lavorare con un attore spagnolo. Avevo in mente una certa musicalità per il film e lo spagnolo ben si addiceva. Che io fossi attento alla musicalità è chiaro anche dalle scelte che ho fato per la colonna sonora, da Depende degli Jarabe de Palo a Lettera a G. di Ligabue.

Mi fai riflettere sulla presenza della canzone di Ligabue. Luciano non concede facilmente l’uso delle sue canzoni, figuriamoci quella dedicata al cugino Gianni.

La sua casa discografica e avevo ricevuto un secco no. Tramite conoscenze varie, sono riuscito a far pervenire a Ligabue una copia di lavorazione del film. Lo ha visto e qualche tempo dopo mi ha mandato un’e-mail in cui mi concedeva il permesso di usare la sua canzone proprio perché “questo è un film dove ci sono dei temi veri”, per usare le sue parole. Quella canzone per me è importante perché ha nel testo, tra le altre cose, la parola “puntualità”, un concetto che in Sposa in rosso è determinante.

Sarah Felberbaum in Sposa in rosso.
Sarah Felberbaum in Sposa in rosso.

Per via del camuffamento, hai spinto Sarah Felberbaum a non recitare bionda. La vediamo in un’inedita versione.

Da grande attrice qual è, Sarah ha capito le mie esigenze e quelle della storia. Non deve essere stato facile per lei rinunciare alla sua immagine e ho pregato durante la posa per il colore che non cambiasse idea. Ha anche girato una scena post-parto in cui appare con i capelli in disordine: non so quante altre al suo posto lo avrebbero fatto. Solitamente le attrici puntano a essere perfette e in ordine anche dopo una scena di parto travagliatissimo. Ma lei è bellissima anche in quel frangente. Sarah sa parlare con gli occhi, una dote che non tutte hanno, e vive in prima persona le emozioni del personaggio.

So che per Sarah e Eduardo recitare insieme è stato importante. Hanno vissuto i personaggi a tutto tondo e quello che dovevano portare in scena non era semplice da restituire: dovevano essere attratti a vicenda ma allo stesso tempo dovevano frenarsi. C’è però un momento bellissimo in cui Sarah ha restituito alla perfezione l’animo da bambina di Roberta: quello in cui davanti allo specchio si prova gli abiti. Seppur mi avesse detto di non saper ballare, si è fidata e si è lasciata andare restituendo una Roberta un po’ meno indurita dalla vita.

GUARDA LA SCENA IN ANTERPRIMA ESCLUSIVA

Quella del film Sposa in rosso è la prima sceneggiatura firmata da te. Non deve essere stata una passeggiata cercar di incastrare tutti i molti pezzi che compongono il tuo puzzle.

Non è stato semplice ma quando si lavora con verità e sentimento tutto viene ripagato. Ho avuto la fortuna di lavorare con un produttore che non mi ha posto alcun vincolo: Riccardo Di Pasquale. È giovane e non risponde a tutte quelle direttive editoriali che caratterizzano, purtroppo, i grossi produttori. Non ha cercato quindi di impormi regole prestabilite o di incasellarmi. Altri avrebbero voluto ad esempio che il film finisse nel momento in cui Roberta e Leon arrivano all’altare ma per me non avrebbe avuto molto senso. O che non si girasse a Malta, “meglio a Torino che ci sono i soldi della commission”, come se Torino fosse un’isola!

Sposa in rosso: Le foto del film

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