Entertainment

Sara Poma: “Io e Sofia, due figlie mancate” – Intervista esclusiva

figlie sara poma
Sara Poma racconta in esclusiva a TheWom.it il suo nuovo podcast, Figlie, disponibile su RaiPlay Sound. È la storia di due figlie mancate che affrontano un viaggio alla ricerca della verità in Argentina per capire cosa è successo negli anni della dittatura “notturna” di Péron alla madre di una delle due.

Figlie è il nuovo podcast di Sara Poma, prodotto da Chora Media e disponibile in esclusiva su RaiPlay Sound dal 16 maggio. Dopo il successo di Carla e Prima e la pubblicazione del libro Il coraggio che verrà, Sara Poma continua a poggiare la sua lente di ingrandimento su storie che hanno echi con la sua parabola personale.

Nel caso di Figlie, infatti, Sara Poma affronta un intenso viaggio nell’Argentina della dittatura alla ricerca di una madre mai davvero conosciuta, quella di Sofia Borri, ma anche dentro se stessa nel ricordo della propria madre, scomparsa quando lei aveva solo 17 anni. Sia Sara Poma sia Sofia Borri sono due figlie mancate che, per ragioni differenti e in tempi diversi, non hanno potuto condividere il loro essere donne con quella che è a tutti gli effetti la figura femminile più importante per tutti quanti: la madre.

La voglia di realizzare un podcast come Figlie nasce in Sara Poma nel momento in cui ha conosciuto Sofia Borri. L’incontro è frutto di una coincidenza e tante di coincidenze ce ne saranno, alcune le trovate scritte altre no, come ci conferma in quest’intervista in esclusiva. La prima è forse la più incredibile: entrambe sono nate nel 1976 a tre giorni di distanza l’una dall’altra.

Così come entrambe hanno sogni ricorrenti, conditi da presenze mute ed eteree che evidenziano un lutto materno non ancora elaborato. Cambia l’eccezionalità del lutto (dovuto a una malattia quello di Sara e alla dittatura argentina quello di Sofia) ma il dolore è lo stesso: quello che inghiotte, lacera e spinge a chiedersi “perché proprio a me”. E di domande a cui occorrono risposte in Figlie ce ne sono diverse, tanto che Sara Poma e Sofia Borri dovranno recarsi a Buenos Aires per trovarne qualcuna.

Ricostruire l’anomalia argentina, gli atroci eventi legati ai desaparecidos e la complessa figura di Peron, non è stato semplice. E chiarificatrici appaiono le testimonianze che Sara Poma raccoglie e include nel suo podcast, a cominciare da quella di Enrico Calamai, viceconsole italiano a Buenos Aires negli anni del Golpe.

Sara Poma e Sofia Borri, le protagoniste del podcast Figlie.
Sara Poma e Sofia Borri, le protagoniste del podcast Figlie.

Intervista esclusiva a Sara Poma

La prima domanda è una delle più stupide: cosa ti ha spinto in Figlie a indagare sulla storia di Sofia, la figlia di una desaparecida?

Figlie per me ha un significato enorme e arriva alla fine di tre anni che sono stati molto intensi. Mi piace pensare che quello che mi è successo in questi tre anni abbia generato una serie di prodotti culturali e personali legati in qualche modo alle coincidenze. Intravedo una sorta di filo che lega il podcast Carla, una ragazza del Novecento (che raccontava la storia di mia nonna), il documentario audio Prima su Maria Silvia Spolato (a cui è poi seguito il libro Il coraggio che verrà) e Figlie, nonostante parlino di donne completamente diverse.

Figlie è poi legato in particolar modo a Carla: è stato la scintilla del mio incontro con Sofia, avvenuto casualmente dopo che lei aveva ascoltato il podcast. All’epoca, eravamo solo conoscenti, ora posso dire felicemente che siamo amiche. Il lavoro che avevo fatto su Carla per dare un senso alla memoria di una persona a me vicina aveva acceso in lei il desiderio di rimettere insieme i pezzi della storia di sua madre Silvia, una madre che non aveva mai conosciuto.

Poiché anch’io ho perso mia madre da giovane, era da tempo che mi interrogavo su come provare a riavvicinarmi alla sua storia. Lo avevo fatto con Carla ma anche con Prima, grazie a cui, pur parlando di una persona che non c’entra con la mia famiglia, ho potuto rimettermi in connessione con tante cose della mia vita che non ho potuto vivere con mia madre. Lo stimolo datomi da Sofia di raccontare un’altra madre non ha fatto altro che riaccendere il desiderio di raccontare la mia. In qualche modo, è stata una bellissima coincidenza a rimettere in moto una serie di urgenze che già esistevano.

https://www.instagram.com/p/CsBNEgcMCjq/

L’urgenza principale è quella di raccontare cosa significa essere una figlia mancata. Lo siete sia tu sia Sofia. Hai trovato delle analogie o delle differenze tra voi nel vivere la mancanza?

Delle differenze, senz’altro, nel dna delle nostre storie. Per prima cosa, avevo un certo pudore nell’affiancare la mia perdita banale e comune a tantissime persone a quella che ha vissuto lei, che è stata strappata letteralmente dalle braccia di sua madre quando aveva solo due anni. Nel mio caso, ho vissuto la violenza della malattia ma è ovviamente un altro tipo di violenza.

L’altra enorme differenza è che, comunque, io ho avuto la fortuna di avere mia madre fino a quando avevo 17 anni e quindi conservo tantissimi ricordi: la mia vita è piena di elementi che compongono la sua memoria. Sofia, invece, nonostante sappia intimamente che in quei due anni la loro vicinanza è stata enorme, non ha una memoria cosciente di sua madre. Aveva veramente tanti pezzi da dover rimettere insieme, anche banalmente su aspetti più ordinari della vita di tutti i giorni. Che alla madre piacesse la musica, ad esempio, è qualcosa che ha scoperto durante il viaggio in Argentina che abbiamo affrontato insieme: le era sempre stata raccontata la madre come donna militante e, di conseguenza, le mancava tutto il corollario che rende una persona tridimensionale.

Sofia è cresciuta nella totale assenza di racconto di chi fosse sua madre mentre per me non è stato così: avevo e ho tantissime persone a portata di mano che posso contattare se voglio farmi raccontare qualcosa di specifico. Sofia, invece, è cresciuta in mezzo anche a persone che hanno subito un trauma fortissimo e che faticano a raccontare quella parte di vita. E, in più, ha dovuto fare i conti con una criticità logistica: tutti coloro che potevano dirle qualcosa di Silvia stavano e stanno dall’altra parte del mondo.

Ma io e Sofia abbiamo anche tantissimi punti di contatto per come siamo fatto. Figlie, per me, è il racconto di una fortuna straordinaria derivata dall’incontro con Sofia: se lei fosse stata un altro tipo di persona, non saremmo mai riuscite a mettere insieme questo viaggio nella memoria. Abbiamo trovato veramente tantissime affinità e punti di contatto per la nostra visione del mondo e della vita. Il che non era scontato e ha accelerato anche il legame tra noi, altro tassello importante del podcast.

Che tu abbia avuto modo di vivere tua madre per 17 anni mentre Sofia non ha potuto farlo si evince anche da un dato concreto e pratico: le fotografie. Nel podcast, c’è tutta una parentesi sulle fotografie in cui racconti come hai scelto l’immagine cha fa da copertina a tutto il lavoro. Che valore hanno per te le foto?

Hanno un enorme valore. E da persona abbastanza ossessionata dalla memoria in tutti i suoi aspetti attribuisco a esse un valore ancora maggiore. Lavorando principalmente con i contenuti audio, la sfida più bella per me è data dal voler raccontare sempre per immagini: quando scrivo, provo a farlo in maniera molto accurata per dare a chi ascolta la possibilità di costruirsi nella loro testa l’immagine che vogliono per poi magari andare a cercarla e vedere se rispecchia l’immaginazione che hanno avuto. In tutti i miei podcast, c’è sempre un momento in cui descrivo una foto: non ne posso fare a meno.

Le madri

1/2
Marisa, la madre di Sara Poma.
2/2
Silvia, la madre di Sofia Borri.
PREV
NEXT

A proposito di accuratezza, è stato difficile per te ricostruire quella pagina terribile di storia argentina su cui si ha poca cronaca se non quella a posteriori? All’epoca, quasi nessuno parlava del dramma dei desaparecidos, eccezion fatta per Foà, corrispondente del Corriere della Sera poi zittito con le minacce, e per il Presidente della Repubblica Sandro Pertini nel discorso di Capodanno del 1978.

La specificità della dittatura argentina, come racconta anche Calamai (l’ex viceconsole a Buenos Aires, intervistato nel podcast), è quella di essere stata una dittatura notturna, in qualche modo. Tutto avveniva di notte e questo aveva ripercussioni anche nel racconto che ne facevano i media, a differenza di quanto invece era avvenuto in Cile con le malefatte di Pinochet e della giunta militare.

Per me, è stato fondamentale la lettura di un libro scritto da Daniela Padoan all’inizio degli anni Duemila, Le pazze, che contiene una serie di interviste alle madri di Plaza de Mayo inframmezzate da un racconto completo, accuratissimo e lucidissimo, su quello che è avvenuto in Argentina.

L’aspetto più difficile, per quanto mi riguarda, non è stato raccogliere le informazioni (il racconto è entrato ormai nei prodotti audiovisivi, basta pensare ad Argentina, 1985 o ai film di Marco Bechis) ma condensarle nel podcast, dove ho cercato di darne il più possibile senza confondere troppo gli ascoltatori. Figlie non è un podcast di storia ma gli elementi di Storia erano centrali per far capire come sia potuto succedere quello che è successo nella storia di Sofia, non potevano inglobare il racconto personale e, di conseguenza, serviva un grande lavoro di equilibrio.

Un’ulteriore complessità l’ho incontrata nel provare a spiegare la complessità di Peron e del peronismo agli Italiani e non so se ci sono riuscita. Mi sono fatta aiutare anche dai tanti argentini che ho conosciuto quando io e Sofia siamo state a Buenos Aires: agli occhi di noi occidentali è una figura molto difficile da comprendere, populista ammiratore di Mussolini da un lato e portatore di una forma di democrazia dall’altro.

Parallelamente alla storia dell’Argentina, in Figlie ripercorri anche la storia italiana con piccole pillole che servono a capire il contesto in cui crescevi tu. E questa storia italiana è fatta di una pagina altrettanto oscura: il rapimento di Aldo Moro. Tant’è che una delle prime frasi di senso compiuto che hai detto da bambina è stato “È morto Zaccagnini?”.

Quella parte era importante perché, oltre a dare una piccola pennellata di contesto storico, mi portava a fare un parallelismo tra me e Sofia, dal momento che siamo nate nello stesso anno a soli tre giorni di distanza. Mi interessava capire o immaginare su che cosa si posavano i nostri occhi di bambine prima e di ragazzine dopo.

I miei ricordi di infanzia sono molto legati a quello che sentivo arrivare dai telegiornali. Ed erano tutte storie di grandissima cupezza e terrore, dal sequestro Moro alla strage di Bologna passando per la storia di Alfredino Rampi. Sono tutti eventi di cui non ho alcuna memoria attiva ma che sono sicura di aver assorbito anche attraverso gli aneddoti di famiglia che mi raccontano.

Ogni tanto, quando ci penso, mi chiedo se l’essere stata così tanto esposta a quel tipo di narrazione non abbia poi avuto un effetto anche sulla mia crescita. E mi interrogo su che adulto sarà un bambino di oggi che dalla televisione sente continuamente cose spaventose come guerra, cambiamento climatico, pandemia… Magari anche domani avremo degli adulti nevrotici come sono io oggi!

Sara Poma e Sofia Borri, le protagoniste del podcast Figlie.
Sara Poma e Sofia Borri, le protagoniste del podcast Figlie.

Ti sei appena definita nevrotica. Qual è la tua nevrosi più grande?

Sono una persona, come tutti, abbastanza ansiosa, soprattutto quando mi imbarco in imprese così importanti come il racconto della storia di Maria Silvia Spolato. Dovevo in quel caso mettere in piedi la storia di una persona che non avevo idea di chi fosse (poteva anche venir fuori che non mi piaceva). O come la storia di Figlie, una storia tutta ancora da scrivere perché non sapevamo cosa avremmo trovato in Argentina. Nel farlo, avrebbero avuto tutti una forte dose di ansia, un’ansia che si risolve in molta gioia quando tutto si risolve.

Il coraggio verrà, per giocare con il titolo del tuo libro. Ma non è forse già insito in ognuno di noi?

Ma è questo il senso di quel titolo. Non è una frase mia ma di Maria Silvia Spolato, un’insegnante di matematica che all’inizio degli anni Settanta è stata la prima persona a rivendicare pubblicamente la propria omosessualità in Italia: è stato un atto importantissimo ma ha pagato delle conseguenze molto ampie. Spolato scrive che il coraggio verrà in una poesia, frase che mi è sembrata significativa per il senso di speranza che racchiude ma anche allo stesso tempo di lucidità sui limiti che ognuno di noi ha e che, spesso, la società e/o il tempo in cui viviamo ci impongono.

Mi sembrava un titolo quanto mai importante in un momento storico come quello che l’Italia sta attraversando ora, in cui dobbiamo ogni giorno ricordarci che è importante trovare una dose di coraggio quotidiano per affrontare la realtà e per sperare in un futuro un po’ più equo.

E, pensandoci, quel titolo ha in qualche modo anche un legame con tutto quello che è venuto dopo e che è raccontato in Figlie. Perché, comunque, c’è voluta anche una certa dose di coraggio nell’imbarcarsi in questo viaggio così personale, soprattutto per Sofia, e così impegnativo dal punto di vista emotivo. Quel coraggio che verrà è quindi un mantra che cercherò di portarmi dietro e di cui ringrazio la protagonista della mia storia precedente.

Non hai mai avuto per Figlie il timore di intaccare troppo la tua sfera personale?

No, perché il personale è l’unica lente che io conosco sia da motrice sia da consumatrice di contenuti. Faccio fatica, ad esempio, a consumare contenuti che non abbiano qualche connessione o risonanza con qualcosa di mio. Non essendo una giornalista o una storica, la lente personale è l’unica che conosco per provare a raccontare delle storie e il che in futuro potrebbe rappresentare anche un limite. Sfrutto sempre l’elemento personale per creare empatia in chi ascolta, un meccanismo che mi viene abbastanza naturale e che è diventata anche la mia cifra stilistica.

E ti comporta dei costi da pagare?

La verità? No. La sequenza di incontri e contatti meravigliosi che ho fatto in questi tre anni è frutto delle storie che ho raccontato. È per me una soddisfazione incredibile avere ancora oggi persone che mi scrivono per aver ascoltato la storia di mia nonna o incontrare gente alle presentazioni del mio libro nelle librerie indipendenti di tutta Italia colpita dalla risonanza che la storia ha avuto in loro. È il regalo più prezioso che il mio lavoro mi ha consegnato.

Piccola nota di colore: mi spieghi la tua passione per Dolly Parton? La vedo molto distante da te…

Dolly Parton è uno dei grandi fraintendimenti della cultura popolare. Intanto, perché è una figura tutta da scoprire: in Italia, abbiamo un’idea molto approssimativa sul suo conto. Dolly Parton è una femminista ante litteram che ha sradicato i paradigmi della musica country, da sempre genere maschilista e sessista, attraverso la lente femminile. Laddove tutti pensavano a polarizzare, lei con la sua musica ha contribuito a unire: ai suoi concerti, incontri persone transgender, poliziotti, operai, intellettuali, conservatori, progressisti… Ma è anche una grandissima business woman: non ha mai ceduto i diritti delle sue canzoni.

Cosa porterai per sempre con te da Figlie?

Il viaggio in Argentina, prima di tutto. Non sono una grande viaggiatrice, anzi non lo sono per niente. Mi piace andare sempre negli stessi posti e volare fino in Argentina, dall’altra parte del mondo, viaggiando anche di sera mi creava molta ansia. E, invece, mi ha regalato momenti che non dimenticherò mai, così come mi ha fatto comprendere lo spessore del popolo argentino che ha trovato un modo nuovo per ragionare sulla perdita di una persona, per darle voce e per tenerla in qualche modo viva.

La memoria lì è diventata una cosa generativa, così come il lavoro che credo di aver fatto con Sofia. Mi viene in mente una frase che dicevano sempre le madri di Plaza de Mayo: “siamo state partorite dai nostri figli”. Sembra un paradosso ma non lo è.

Sara Poma e Sofia Borri, le protagoniste del podcast Figlie.
Sara Poma e Sofia Borri, le protagoniste del podcast Figlie.
Riproduzione riservata