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One Day Footballer: Quando il calcio fa da sfondo a una bella storia d’amore – Intervista allo scrittore e attore Alberto Patelli

Mentre si torna a giocare sui campi di calcio della Serie A, la storia d’amore tra il calciatore Rick e la fiera Ellen promette di conquistare i vostri cuori: One Day Footballer ha tutto ciò che serve per appassionarvi e spingervi a riflettere. Ne abbiamo parlato con l’autore.

Si torna a giocare sui campi di calcio ma se siete stanchi della solita storia sul pallone, abbiamo qualcosa che fa per voi. Si chiama One Day Footballer ed è un romanzo scritto da Alberto Patelli (edito da Il Ciliegio Edizioni). Autore e attore, Patelli ci racconta in un mix di fantasia, realismo e Storia, le vicende di Rick, un giovane calciatore inglese che nel periodo a cavallo tra le due guerre mondiali vive la sua personalissima parabola tra calcio, attivismo, resilienza e resistenza.

La storia di Rick, che sarà ricordato come il calciatore di un giorno, procede insieme a quella di Ellen, la donna che gli ha conquistato il cuore. Ellen è una figura femminile anomala per il tempo: fiera, libera e indipendente, si muove sulla scena dei primi movimenti attivisti ed è l’antesignana di quell’impegno sociale e civile che caratterizza tante donne moderne. La storia d’amore tra i due protagonisti vive momenti di alti e bassi così come la carriera professionistica nel calcio di Rick. Sogni, speranze e sacrifici sono sullo sfondo di un racconto che sin dalle prime pagine prende per mano il lettore e lo fa entrare nella grande Storia, non solo del calcio.

Merito di Patelli è quello di aver corredato il suo One Day Footballer di un contesto figlio di tante ricerche storiche. Si parla di Grande Depressione, di Brigate Internazionali, di impegno umanitario e di Guerra civile spagnola. E lo si fa ricordando quali grandi valori possano nascondersi in chi vede il calcio non come uno sport rozzo o instagrammabile ma come una riserva di insegnamenti etici alla base della vita di tutti i giorni.

Rick ed Ellen non sono come Wanda Nara e Mauro Icardi. La loro storia non è costellata dai milioni che ruotano intorno al calcio e non è seguita dai giornali di cronaca rosa. Il loro è semmai un amore puro, uno di quelli che nelle favole garantiscono il “vissero felici e contenti”. Ne abbiamo parlato con lo scrittore Alberto Patelli in quest’intervista esclusiva che entra nel romanzo e nella sua genesi, con la speranza non tanto taciuta che possa prima o poi trasformarsi in un film.

Alberto Patelli.
Alberto Patelli.

Intervista esclusiva ad Alberto Patelli

One Day Footballer è un libro molto cinematografico. Si nota dalla struttura, dall’evoluzione dei personaggi e dalla sapienza con cui hai saputo dosare i momenti up e quelli down della storia. Mi auguro che prima o poi qualcuno se ne renda conto.

Ho lavorato come attore in passato e ho scritto molto anche per il teatro. Quindi, One Day Footballer è stato concepito come un film. Vedrei bene una sua trasposizione ma con una produzione straniera, anche molto ricca. La storia, che definisco tutto sommato d’azione ma con figure dotate di personalità importanti, presenta momenti di guerra e scene che visivamente potrebbero essere spettacolari. Nel cinema italiano tutto ciò difficilmente si trova.

Com’è nato la tua storia sullo sfondo del calcio?

One Day Footballer è un libro che ho scritto per immagini. Sono partito dall’immagine di un bambino che da solo giocava a pallone su un prato e da lì è nato tutto. Il calcio ha sempre giocato un ruolo importante nella mia vita. Ne sono un appassionato sin da quando ero bambino e ho anche giocato a livello agonistico. Tuttora lo seguo con una certa attenzione. Per certi aspetti, era destino che prima o poi avrei dovuto scrivere di calcio. Anche se ho scelto di raccontare un calcio ancora pionieristico.

One Day Footballer non è però un romanzo sul calcio come quelli a cui siamo abituati in Italia. Le storie italiane con protagonisti calciatori sono quasi sempre di formazione. La tua storia mescola invece sport, romanticismo e Storia. Dal racconto emergono da un lato la resilienza dei protagonisti, la coppia formata da Rick ed Ellen, e dall’altro lato l’intreccio tra calcio e Storia. Le vicende di Rick cominciano nel periodo successivo alla Prima guerra mondiale, con annessa la Grande Depressione, e terminano nel 1968.

Il calcio è una parte importante del romanzo perché il protagonista Rick è un calciatore, su questo non c’è alcun dubbio. Però, mi interessava andare oltre il calcio e presentare, con un po’ di ambizione, una storia che andasse oltre. Il calcio non doveva essere un elemento a sé stante ma doveva trarre beneficio anche dalla Storia. Così come la Storia dovrebbe trarre beneficio dagli eventi sportivi in genere, recuperandone i valori e non solo.

Mi sembrava dunque riduttivo raccontare solo di calcio. La vicenda che pian piano è nata nella mia mente mi ha portato a studiare tanto il contesto politico, sociale ed economico in cui era immersa. Scegliendo come sfondo l’Inghilterra, ho dovuto approfondire la realtà inglese di quel periodo, imparando nozioni e fatti che non conoscevo. Il romanzo è tutto frutto della mia fantasia ma ci sono dettagli realistici che traggono spunto da episodi realmente accaduti.

E grazie al personaggio di Ellen, l’altra metà di Rick, hai potuto affrontare anche il tema della condizione femminile. Le linee di Ellen e Rick scorrono in parallelo, appartengono a due mondi differenti ma finiscono inevitabilmente con l’influenzarsi. Tutto ciò che accade a Rick ha dei riflessi su Ellen e viceversa. Per tale ragione, mi piace definire One Day Footballer un romanzo di coppia. Come hai lavorato sulla psicologia dei personaggi?

Per quanto riguarda Rick, mi piaceva la figura del ragazzo pulito e onesto. Viene da una famiglia povera e porta avanti anche una certa carriera a livello agonistico. Anche se non arriva mai in Prima Divisione, grazie al suo talento e alla sua spiccata personalità cresce tantissimo in ambito sportivo. Tuttavia, deve fare i conti con la vita quotidiana e con il guadagnarsi da vivere. La sua vicenda umana lo porterà per questa ragione a svolgere dei lavori anche molto umili, come il fattorino o il manovale in un cantiere edile. Tutto ciò ne rinforza il carattere ma la sua crescita è favorita anche dal forte impulso del suo amore per Ellen.

Di contro, Ellen proviene da un ambiente completamente diverso. È una studentessa, una ragazza colta che ha una forte attrazione per i temi sociali. Com’è stato notato anche in fase di presentazione del libro, Ellen è un bell’esempio di emancipazione femminile in un periodo in cui le donne non avevano gli stessi diritti dei loro compagni. Avere al fianco una donna come Ellen non è semplice per Rick: si lascia condizionare dalla sua tempra e si mette persino a studiare per avvicinarsi a lei ancora di più. I loro due mondi inizialmente sembrano collidere ma pian piano in entrambi nasce il desiderio di capire l’altro. Sebbene in un primo momento sembri snobbare il calcio, Ellen capisce quanta importanza abbia per Rick nel momento in cui lui subisce un grave infortunio sul campo.

L’impegno di Ellen nell’attivismo porta inevitabilmente il tuo romanzo a parlare delle atrocità della guerra. Si racconta dei profughi della guerra civile spagnola e dei centri di accoglienza improntati in Francia. È il 1936 ma possiamo intravedervi molti aspetti anche dei conflitti di oggi.

Il romanzo è stato scritto nel 2018, in un momento in cui ancora nessuno di noi poteva prevedere la follia della guerra in Ucraina. Con una storia ambientata tra le due guerre mondiali e una protagonista attiva sul fronte dei diritti civili, non si poteva non parlare dello scoppio della guerra in Spagna nel 1936. Di quel periodo mi ha particolarmente colpito la formazione delle Brigate Internazionali, a cui Ellen mossa da profondo senso di giustizia aderisce.

La guerra in Spagna non fa che confermarci come il conflitto, qualsiasi sia l’esito, non è mai la soluzione migliore: è semmai un dolore per tutti e comporta una serie di conseguenze che si ripercuotono nella Storia. Il mio romanzo termina in Messico, perché è lì che vennero accolti molti dei profughi spagnoli.

Le vicende dei profughi spagnoli sono state spesso dimenticate. Ma hanno comportato in molti casi persino perdita di identità e di origini. A un certo punto del romanzo, nella vita di Ellen e Rick entra un ragazzino spagnolo, José. I bambini spagnoli furono allontanati dall’orrore della guerra e spesso separati dalle loro famiglie di origine. La sola Inghilterra accolse circa 4 mila bambini che vennero poi dislocati altrove.

Questi piccoli finirono per crescere in famiglie che non erano loro e per vivere una vita del tutto autonoma. Ho scoperto nelle mie ricerche che Piero Badaloni, l’ex giornalista del TG1, ha scritto un libro sulla vicenda: nella sua inchiesta, seguiva alcuni di quei bambini oramai adulti che erano andati alla ricerca di ciò che era successo alle loro famiglie d’origine. Ciò ci fa capire che la guerra non è fatta solo di morti, ferite e distruzione al momento ma si porta strascichi per anni e anni.

La copertina di One Day Footballer.
La copertina di One Day Footballer.

Il mondo del calcio dipinto in One Day Footballer ha quasi una dimensione bucolica: è pieno di valori e di etica. I soldi e l’immagine, che oggi inevitabilmente sono portanti nel calcio, non sono nemmeno tenuti in considerazione. Com’è cambiato negli anni il calcio? Com’è che è divenuto un’industria vera e propria?

Bella domanda. È cambiata fondamentalmente la società. Perché ho scritto un romanzo ambientato nei primi anni del Novecento e non oggi? La risposta è semplice. Oggi come oggi, il calciatore che arriva a un certo livello, anche nella Serie B italiana, è un grande privilegiato che può permettersi dei corrispettivi importanti. Non ha problemi dal punto di vista economico. A me invece interessava raccontare un contesto in cui i privilegi erano assenti: io ricordo che fino agli Sessanta, un giocatore come Giacomo Losi, il capitano della Roma, riceveva come premio partita dei succhi di frutta.

Inevitabilmente le cose sono cambiate. Ma è cambiata anche la prospettiva del tifoso, che corre il rischio di perdere il contatto con la realtà. Bisogna dare il giusto valore alle cose: il calcio è una cosa bellissima però non la si può vivere come ossessione totalizzante. Mi rendo conto dai commenti che leggo sui social che c’è gente che vive solo del tifo per la propria squadra. Occorre riportare tutti un po’ i piedi per terra.

Io ho scelto di scrivere di calcio e, quindi di sport con la speranza di far riacquistare anche un certo senso civico, una certa consapevolezza. Un conto è avere un amore particolare nei confronti di una squadra e sperare che vinca, un altro conto è invece odiare l’avversario. Non è questo che ci insegna lo sport. La prima regola di qualsiasi sport è il rispetto degli e per gli avversari. Si è purtroppo persa e va riacquistata.

Io voglio molto bene a Rick, il protagonista di One Day Footballer. Nonostante abbia la possibilità di fare in diverse occasioni il grande salta, vi rinuncia perché fa scelte che in quel momento ritiene più importanti delle sue ambizioni agonistiche. Si fa dunque carico delle proprie responsabilità, qualcosa che di questi tempi quasi più nessuno fa. Bisognerebbe tornare a un certo sistema di valori per cui ognuno abbia la capacità di prendersi le proprie responsabilità.

E a proposito di valori non possono non chiederti della partita che sul finale oppone una squadra di campioni a una di “ultimi” a scopo, diciamo, benefico. Quella partita rappresenta anche un bell’esempio di inclusione: persone che nemmeno si conoscevano cominciano improvvisamente a fidarsi l’una dell’altra. Quanto pensi che sia inclusivo il mondo del calcio di oggi?

Dal mio romanzo emerge tutto tranne che la voglia di escludere qualcuno. Anzi, il concetto di fratellanza è fortissimo. I cartelli di stampo razzista che oggi vediamo sui campi di gioco sono il peggior esempio che si possa dare: sono figli dell’ignoranza. C’è molto da lavorare ancora, soprattutto su una certa tipologia di tifosi. C’è tutta una frangia che non sa nemmeno cosa sia il rispetto e la civiltà: si reca allo stadio per far di tutto tranne che guardare la partita. Alcuni tifosi vanno solo per far confusione o per rovinare la festa a un bambino che per la prima volta è andato a vedere un incontro dal vivo. Ricordo che quando andavo io allo stadio da bambino non c’era nessun pericolo: oggi, invece, non puoi quasi avvicinarti alle curve, non puoi permetterti alcuna disattenzione. È inconcepibile.

Anche le società calcistiche dovrebbero però far la loro parte. Parlo di proprietari, allenatori, staff e giocatori. Saranno anche dei milionari ma in linea di massima sono ancora dei giovani cresciuti con valori un po’ superficiali: i soldi, il lusso, le ragazze, le belle macchine… molti di loro non sanno cosa sia il sacrificio e sono arrivati al successo anche abbastanza presto. Servirebbe la presenza di qualcuno che con un po’ più di esperienza e saggezza alle spalle possa indirizzarli. Fa male vedere come certa gente (anche di una certa età), dentro e fuori dal campo, tante volte fa delle cose che non sono a beneficio dell’inclusione ma che sono un ulteriore e brutto esempio di esclusione.

Per il tuo romanzo su amore, calcio e Storia, scegli un narratore esterno. A cosa si deve la scelta?

Quando ho cominciato a scrivere One Day Footballer, non avevo chiaro tutto il quadro della storia ma solo alcuni punti fermi. Personalmente, mi piace studiare le biografie dei calciatori per scoprire quale carico si portano dietro anche a livello umano. In questo percorso mi sono imbattuto in alcune storie che mi hanno fatto spinto a farle scoprire anche ad altri.

Mi piaceva dunque inserire il nome di alcune di queste persone per incuriosire il lettore. Sul finale, nomino ad esempio alcuni giocatori della formazione inglese che ha vinto i Mondiali del 1966. Ma a questi ne aggiungo anche altri forse meno noti, come ad esempio Harry Goslin.

Dietro di lui, si cela una vicenda personale molto particolare. Capitano del Bolton Wanderes, quando durante la Seconda guerra mondiale i calciatori di un certo livello non venivano mandati al fronte ma messi ad addestrare e allenare le truppe, Goslin scelse invece di partire per la guerra come tutti gli altri ragazzi della sua età. Il suo fu un gesto seguito da quasi tutti i compagni di squadra. E casualmente ho scoperto che è morto in Abruzzo, proprio sul fronte italiano.

Quanto c’è di te in Rick il protagonista del tuo romanzo?

Non so quanto ci possa essere. Rick ha tratti di personalità che io forse non ho. Condividiamo però lo stesso senso di responsabilità: io, le mie, me le sono sempre assunte. Per me Rick è un eroe perché solo un eroe, nel periodo migliore della sua vita, può fare scelte come le sue, meno gratificanti dal punto di vista personale ma più importanti per la sua ricchezza interiore.

Sei anche un attore di una certa notorietà ma da anni sei lontano dal set.

Ho avuto un percorso in crescendo, anche se ho cominciato tardi a recitare perché ho fatto altro nella vita. Sono laureato in Scienze Motorie ma anche in Economia e Commercio, ho lavorato come allenatore di atletica leggera e preparatore di calcio giovanile. Sono stato insegnante di educazione fisica per cui mi sono messo in gioco nel campo televisivo solo nel 1995. Le cose sono andate molto bene, venivo spesso scelto ai provini e ho preso parte a progetti anche molto popolari.

Ho lavorato tantissimo fino al 2011 ma poi è cominciata la crisi. Sono diminuite le produzioni e molta gente con cui ho collaborato ha preferito anche cambiare lavoro, scegliendo professioni fuori dal mondo dello spettacolo. Oggi sono io che non mi sono rimesso più in gioco, rimanendo un po’ fuori. Dopo tante esperienze come attore e aver fatto la gavetta, prendo parte solo a progetti artistici che mi interessano. Preferisco recitare nel cortometraggio di un ragazzo in gamba piuttosto che prender parte a progetti più grossi che non mi convincono. A 70 anni chi me lo fa fare?

Alberto Patelli.
Alberto Patelli.
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