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Matilde Benedusi: “Sento molto la responsabilità dell’essere adulta” – Intervista esclusiva

matilde benedusi vivere non è un gioco da ragazzi
Vivere non è un gioco da ragazzi è la serie tv di Rai 1 di cui è protagonista la giovane attrice Matilde Benedusi nei panni di una ragazza che fa uso di droghe per fuggire da se stessa e da un mondo che non le racconta la verità. L’abbiamo incontrata per un’intervista in esclusiva che svela chi è come donna di oggi.

Matilde Benedusi è la giovane protagonista femminile della serie tv Vivere non è un gioco da ragazzi, in onda su Rai 1 lunedì 15 maggio, lunedì 22 e martedì 23 (salvo variazioni di palinsesto). Nella serie diretta da Rolando Ravello, interpreta Serena, la ragazza di cui si innamora il giovane Lele.

Di modeste origini, Lele perde la testa per lei, che invece appartiene alla borghesia bolognese. Serena è figlia di una donna impegnata candidata a sindaco e di un uomo che, per via del suo disagio psichico, è andato via di casa molto presto. Bella, perfetta, indipendente e libera, Serena è come chiusa in se stessa e, per fuggire a una realtà che forse fino in fondo non conosce, fa uso di droghe. Droghe leggere, come le chiamano in gergo, ma che tali non sono considerando le conseguenze che portano nella vita di chi ne fa uso.

Per comprendere appieno il personaggio di Serena, ne abbiamo parlato con Matilde Benedusi, al suo primo ruolo importante. Nata e cresciuta a Milano, Matilde Benedusi è una ragazza di oggi che, a differenza del personaggio che interpreta, ha sempre avuto chiaro cosa volesse dalla vita e il peso delle responsabilità. Già a tre anni suonava il violino mentre a cinque prendeva parte al suo primo corso di recitazione e cantava in un coro.

Prima di Vivere non è un gioco da ragazzi, ha girato un cortometraggio, Not(e) for a Dreamer, ha pubblicato un disco su Spotify (Better Days to Come) scrivendo, cantando, suonando e arrangiando le canzoni, e ha preso parte al film Il grande giorno, grosso successo al botteghino di Aldo, Giovanni e Giacomo. La rivedremo come protagonista anche del film indipendente Ferragosto di Elmar Imanov e Adel Oberto ma nel frattempo continua a frequentare il corso di Arti e Scienze dello Spettacolo alla Sapienza, interessandosi soprattutto al teatro sociale.

Matilde Benedusi (Foto: Gioele Vettraino; Styling: Priscilla Cafaggi; gioielli: Iosselliani; pantalo
Matilde Benedusi (Foto: Gioele Vettraino; Styling: Priscilla Cafaggi; gioielli: Iosselliani; pantaloni: ixos;
maglia e gilet: ixos; hair & Make up: Marta Ricci @Simone Belli agency; ufficio stampa: Lorella Di Carlo).

Intervista esclusiva a Matilde Benedusi

Sono emozionatissima”, è la prima risposta che mi dà Matilde Benedusi quando le chiedo come sta. “È appena terminata la conferenza stampa di presentazione della serie tv e ho rivisto tutti. Non tanto i ragazzi con cui ho un bellissimo rapporto (ci sentiamo e vediamo quotidianamente) ma gli adulti, che non vedevo da mesi: rivederli mi ha fatto riprovare le emozioni del set”.

Anche perché per Matilde Benedusi, personalmente, questo è un momento abbastanza importante. Il primo lungometraggio in cui ha recitato, Il grande giorno, con Aldo, Giovanni e Giacomo, ha appena vinto il David di Donatello per gli spettatori, e ora è protagonista di una serie tv su Rai 1.

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Chi è Serena, il personaggio che interpreti nella serie tv di Rai 1 Vivere non è un gioco da ragazzi?

Serena è una ragazza del liceo di quasi 18 anni. Apparentemente ha una vita perfetto e viene vista come oggetto di desiderio, qualcosa di irraggiungibile, da parte di Lele. Durante il corso della storia, si scopre che Serena ha diverse fragilità, ragione per cui si chiude nei confronti del mondo esterno e anche delle relazioni in generale, e ha problemi con la sua intimità e la sessualità. Tutto questo è dovuto in parte al rapporto difficile con i genitori: ha una madre che adoro ma che purtroppo è assente per via della sua carriera da aspirante sindaco di Bologna e un padre che invece se n’è andato e con cui ha un rapporto molto travagliato.

E, quindi, la droga per Serena è una vera e propria fuga, un rimedio per superare le sue vulnerabilità. Man mano che le puntate andranno avanti affronterà un percorso di crescita e di responsabilizzazione, finendo con l’assumersi finalmente le sue responsabilità e raccontando la verità. Tanto che sosterrà che il contrario della droga non è la vita sana ma proprio la verità nascosta per tanto tempo.

I problemi di relazione di Serena con se stessa nascono proprio dall’assenza del padre, figura fondamentale della crescita che a lei viene improvvisamente a mancare. La spiegazione che le viene data riguarda la bipolarità del genitore.

Sull’assenza del padre a mentirle è in primis la madre, interpretata da Lucia Mascino. Sin da subito, da quando il padre va via, è lei a non dirle la verità. Di conseguenza, Serena è convinta di avere ereditato un disturbo psichiatrico e ciò la blocca nella vita in generale. Quanto inconsciamente tendiamo a diventare come i nostri genitori senza saperlo è uno dei tanti sottotemi della serie tv: Serena vuole fare di tutto per non essere come il padre ma alla fine drogandosi capisce di essere diventata proprio come lui, dipendente dalla droga.

Hai quasi 22 anni e quello di Serena è un personaggio che ti si avvicina almeno anagraficamente. Quali sono le analogie e le differenze tra te e lei?

Abbiamo un’età abbastanza vicina ma è importante sottolineare come Serena viva un’età di passaggio particolare segnata dalla fine dell’adolescenza. L’avere qualche anno in più già cambia molte cose. Io, ad esempio, a vent’anni ho avuto la possibilità di trasferirmi e vivere fuori sede: l’università ha aperto una nuova fase di vita totalmente differente rispetto al liceo.

Serena è apparentemente chiusa nei confronti delle relazioni ma quando si apre decide di buttarsi nelle cose, iniziando a viverle a 360° e riuscendo anche a dedicarsi al 100% a qualcosa che possa essere una passione serena: il disegno, un’amicizia, una storia d’amore. Alla fine, fa di tutto per cercare di riconquistare Lele, assente per via dei sensi di colpa che sta vivendo. Nella fase di apertura, siamo un po’ simili: prende a cuore la sua relazione, le sue amicizie e la famiglia, e io mi rivedo in lei.

A differenza sua, però, io ho avuto due genitori presenti che mi hanno supportato, con cui ho sempre avuto comunicazione.

Matilde Benedusi (Foto: Gioele Vettraino; Styling: Priscilla Cafaggi; gioielli: Iosselliani; pantalo
Matilde Benedusi (Foto: Gioele Vettraino; Styling: Priscilla Cafaggi; gioielli: Iosselliani; pantaloni: ixos;
maglia e gilet: ixos; hair & Make up: Marta Ricci @Simone Belli agency; ufficio stampa: Lorella Di Carlo).

La droga viene spesso utilizzata dai giovani come forma di evasione e di divertimento. Niente di più lontano da te, che hai coltivato ben altre passioni sin da piccola. Penso ad esempio alla musica: hai cominciato a suonare violino in tenerissima età.

Ho iniziato a tre anni perché i miei genitori credevano che la musica aiutasse nella crescita. Mi hanno scegliere ciò che volevo per fare un esperimento. Ho provato il violino, mi è piaciuto e ho continuato a studiarlo per altri undici anni. Ma è il canto che più mi piace.

Il canto e la recitazione sono due passioni nate contemporaneamente in me: ho sempre cercato di svilupparle insieme e vorrei anche trovare un modo per coniugarle a livello professionale in futuro. Il mio sogno è quello di non trascurare né l’una né l’altra. Ho iniziato i primi corsi di teatro a cinque anni e parallelamente ho cominciato a frequentare un coro prima di prendere lezioni di canto jazz e pop. Durante il CoVid ho realizzato anche il mio primo album: realizzato con alcuni amici, musicisti pazzeschi, in maniera un po’ amatoriale, se vogliamo, senza avere la possibilità di registrare in uno studio vero. Sono consapevole delle sue imperfezioni ma è stata un’esperienza bellissima.

Conoscendo la tua passione per la musica, com’è stato scambiare il tuo primo bacio di scena con Lele in via D’Azeglio di Bologna che ha come luminarie i versi di Futura di Lucio Dalla?

Oltre a essere la prima scena girata per la serie, è stata anche la prima della mia vita in generale sul set di una serie tv. Avevo già girato tempo fa un cortometraggio che ha vinto anche un premio a Londra ma quello della serie tv è stato il mio primo grande set e fare la prima scena con Lucio Dalla sullo sfondo ha avuto un sapore del tutto particolare: sono una grande fan di Dalla, conosco quasi tutte le sue canzoni. Mi sembrava quasi fatto apposta: non ho parole per descrivere Futura, una delle mie canzoni preferite in assoluto di Dalla, insieme a Cara.

Per girare Vivere non è un gioco da ragazzi hai vissuto a Bologna.

Stavamo in un hotel e si sono creati dei rapporti bellissimi: eravamo insieme tutto il giorno e ho trovato sul set degli amici veri. È una cosa rara ma bellissima.

Come è stato da milanese doc salutare la propria città per trasferirsi a Roma a studiare o a Bologna per girare?

Sono una milanese atipica. Non disprezzo Milano come città ma non mi piace l’abitudine: vorrei fare sempre esperienze nuove e, quindi, trasferirmi, viaggiare e capire cosa mi piace e dove. Dopo 18 anni, avevo anche voglia di andar via: a Roma mi trovo benissimo, così come mi sono trovata bene a Bologna, nonostante quello in cui abbiamo girato sia stato un inverno particolarmente piovoso e, quindi, freddo… il clima non ha aiutato molto! In poche parole, non è stato un grande sforzo trasferirsi da Milano a Roma o da Roma a Bologna.

Serena, ii personaggio che interpreti, ha paura dell’amore. E Matilde?

Credo che nessuno sia mai pronto effettivamente a innamorarsi: è qualcosa che accade e arriva spontaneamente. Ho 21 anni e conosco poco dell’amore, non ne ho ancora un’idea molto chiara: in questo momento della mia vita ho altre priorità e progetti. Non credo di avere chissà quale paura: dell’amore mi aspetto che sia spontaneo e che porti arricchimento nella vita. E non dovrebbe mai essere un problema, anche se fa un po’ paura a tutti. Non come Serena, che ovviamente lo vive in maniera estrema e lo rifugge, ma nessuno è mai pronto a buttarsi in amore.

Uno dei tanti temi affrontati dalla serie tv è il senso di responsabilità. Sei responsabile delle tue azioni?

Si. E tantissimo da quando sono andata a vivere da sola due anni fa. Finito il liceo, non mi sono subito trasferita a Roma ma ho vissuto per un po’ a Berlino, dove ho frequentato una scuola di recitazione. Ho avuto modo di sperimentare stili di vita diversi e ho capito che non ero più “protetta”: ero consapevole di avere sempre una famiglia alle spalle, pronta a venirmi a recuperare se avessi fatto o qualcosa di sbagliato, ma per la prima volta ho dovuto gestire io tutto ciò che mi riguardava. E devi avere delle basi solide per affrontare ogni difficoltà, dalle quotidiane a quelle lavorative. Sento molto la responsabilità dell’essere adulti.

Qual è la difficoltà maggiore da affrontare quotidianamente a livello organizzativo?

Non amo cucinare, devo essere sincera, ma le faccende domestiche non mi pesano tanto. ho trovato una casa che mi piace tantissimo: ci tengo che sia bella, accogliente e pronta a ospitare gente. So cucinare ma non mi viene difficile farlo per me stessa: mi diverte di più preparare qualcosa per gli altri. Sto cercando ogni giorno di mangiare bene e di avere degli orari giusti: non è facile ed è un aspetto che sottovalutiamo quando viviamo con i genitori.

Serena ha un rapporto “complicato” con la madre. Qual è invece quello di Matilde con sua madre?

Ho con lei un rapporto bellissimo. Sicuramente durante l’adolescenza abbiamo litigato su molte cose: essendo molto simili, ci siamo scontrate spesso su argomenti tipici che si affrontano in quell’età, dal tornare tardi alle cose da non fare… tutte piccolezze che quando hai 16 anni ti sembrano la fine del mondo. Adesso invece ci parliamo tantissimo e abbiamo molto in comune: sebbene sia più introversa di me, mia madre è un’artista, ama l’arte ed è una cinefila.

È stata lei a spingerti sul sentiero artistico o era semplicemente una tua predisposizione?

Entrambe le cose. Ho deciso io di voler fare teatro quand’ero una bambina. Mia madre si occupa di disegni riguardanti le case, fa sculture e non lavoro in ambito teatrale o cinematografico. Mio padre è un ingegnere ma ha l’hobby della musica: suona e scrive canzoni da una vita. Mio fratello suona invece la tromba. Sono cresciuta in un ambiente comunque artistico ed era abbastanza probabile che mi permeasse. Ma ho anche due sorelle che fanno altro. I miei genitori non mi hanno mai spinto ma supportato sì, sottolineando anche le criticità all’interno del percorso che facevo o invitandomi a migliorare in qualcosa. Se non fosse stato così, probabilmente sarei scappata di casa (ride, ndr).

Matilde Benedusi (Foto: Gioele Vettraino; Styling: Priscilla Cafaggi; gioielli: Iosselliani; pantalo
Matilde Benedusi (Foto: Gioele Vettraino; Styling: Priscilla Cafaggi; gioielli: Iosselliani; pantaloni: ixos;
maglia e gilet: ixos; hair & Make up: Marta Ricci @Simone Belli agency; ufficio stampa: Lorella Di Carlo).

“Non si può fuggire da stessi e dalle proprie responsabilità”. Tu hai mai provato a fuggire da te stessa?

È qualcosa che succede a tutti, può riguardare piccole debolezze o problemi più gravi. Ricordo che alla fine del liceo avevo voglia di cambiare aria e bisogno di scappare, non so se in senso negativo o positivo, da Milano, dove comunque avevo i miei amici e la mia vita. A Roma ho poi trovato una città che mi ha accolta e sono assolutamente contenta della scelta fatta: non so se sia stata una fuga da me stessa o meno ma quotidianamente affrontiamo qualcosa di noi che non ci piace e che cerchiamo di evitare. È difficile rendersene conto e affrontarla mentre è più facile non parlarne, far finta di niente e cercare di nascondersi. Ma occorrerebbe trovare sempre un modo di comunicare sia con gli altri sia con se stessi.

Vivere non è un gioco da ragazzi parla di rapporti tra genitori e figli ma anche di rapporti di amicizia tra adolescenti e coetanei. Non sempre sono rapporti chiari e non sempre hanno delle linee ben definite o marcate. Che rapporti di amicizia hai avuto tu quando avevi la stessa età di Serena?

Frequentavo dei ragazzi della mia età e nessuno di loro sinceramente assumeva droga. Conosco delle persone che lo fanno tutt’ora o che lo hanno fatto a quell’età ma non erano miei amici. Le insicurezze quando hai 17 o 18 anni sono tante. Anche quando hai una personalità forte e sei trainante all’interno di un gruppo, basta poco per stravolgere gli equilibri: si vede tutto bianco o tutto nero, senza sfumature. Ma è anche il periodo in cui nascono amicizie vere che durano tutta la vita. Quella tra Serena e Patty nella serie tv è un’amicizia bellissima e la cosa più bella di tutte è che ha permesso a me di trovare in Alessia Cosmo, che la interpreta, un’amica vera: nella vita, Alessia è diventata la mia migliore amica.

Serena, con un termine americano, può essere definita come la prom queen, la reginetta del ballo. Ti sei mai sentita tale?

No, mi sono sempre sentita abbastanza nella norma. Anche perché essere la reginetta del ballo comporta un carico di aspettative enorme: ci si impazzirebbe! E poi, a mio parere, la perfezione è sempre qualcosa da evitare ed è un po’ pericolosa. La perfezione non esiste: siamo esseri umani.

E la deriva pericolosa potrebbe anche essere favorita dai social, dove tutti appaiono perfetti e filtrati.

Ed è un grandissimo problema di oggi, molto attuale. È il motivo per cui tanti ragazzi nutrono forti insicurezze: il numero di follower spesso sembra quasi più importante del numero di amici che si hanno nella vita reale. Nonostante frequentassi un liceo in un ambiente molto protetto, c’era sempre tra i ragazzi un’attenzione particolare all’apparenza sui social.

Dal finale di Vivere non è un gioco da ragazzi emerge un bel messaggio di speranza. Tra le tue speranze c’è quella di pubblicare un libro sul teatro terapia in carcere.

Mi ha sempre interessato il tema del carcere. In questo periodo, sto seguendo un corso all’università di teatro sociale ed è l’argomento su cui vorrei potere scrivere la tesi: il carcere è un luogo che mi affascina tantissimo perché dal mio punto di vista è quello da cui si giudica poi un Paese. Le carceri sono il punto di partenza della società: il modo in cui ci si relaziona con i detenuti e come vengono trattati dice molto. Credo nella riabilitazione e nel recupero della persona e non nella punizione o nella condanna a vita. Mi piacerebbe un giorno anche insegnare in carcere, qualora sarò all’altezza di insegnare. Così come mi piacerebbe tenere un laboratorio in carcere: è uno dei miei sogni.

Il libro, in realtà, è nato quando frequentavo il secondo anno di liceo e ha dietro una storia molto comica, se vogliamo: odiavo le lezioni di matematica (non ne ho mai capito nulla) e durante quelle ore mi sentivo come se fossi privata della mia libertà. Ho iniziato dunque a pensare a come deve essere vivere in un posto dove non si ha libertà di parola e di espressione e dove ti senti rinchiuso… mi è venuto in mente allora il carcere. Sono ora sette o otto anni che ci sto lavorando: spero prima o poi di finirlo e pubblicarlo.

Che significa speranza per Matilde?

Credere in futuro in cui chi ha la facoltà di fare del male agli altri non la mette in atto. Un futuro in cui c’è collaborazione e solidarietà tra le persone è sinonimo di amore e di consapevolezza di essere tutti sulla stessa barca come esseri umani.

Qual è la cosa più brutta che vedi in questo periodo intorno a te?

La mancanza di gentilezza. So che può sembrare banale ma mi piacerebbe tornare a casa e non dire più che una persona è stata gentile con me come se fosse un evento eccezionale. Mi piacerebbe poter considerare fuori dall’ordinario la non gentilezza: siamo così abituati a trattarci male a vicenda che quasi lo consideriamo normale.

Chi è l’ultima persona che ti ha trattata male?

È più bello sottolineare chi mi ha trattato bene. È appena finita la conferenza stampa della serie tv: mi hanno trattato tutti bene, dai ragazzi al cast al regista Rolando Ravello, dal mio ufficio stampa Lorella De Luca al mio agente Matteo Lipani. Sono stati tutti carini con me.

Serena vive un’esperienza traumatica: la morte di un coetaneo. Hai tu vissuto invece esperienze di lutto che ti hanno in qualche modo colpita?

Per fortuna, no. Però, ho apprezzato molto della serie tv il fatto che si parli delle conseguenze che una morte ha anche a lungo termine: è un aspetto che secondo me contribuisce alla dignità di tutto il progetto. La morte di Mirko non è un episodio a se stante di cui tutti si dimenticano, come purtroppo accade in altre serie tv. In Vivere non è un gioco da ragazzi si affronta gradualmente la perdita e il suo peso: una morte non si accetta mai del tutto ma genera l’abituarsi a una mancanza, a un’assenza, a cui cercare di andare avanti. Un lutto del genere, come la morte di un diciassettenne per droga, non si supera mai, soprattutto perché prematuro e triste.

Vivere non è un gioco da ragazzi: Le foto della serie tv

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