Entertainment

Layz: “Proteggerò sempre il bambino che vive dentro me” – Intervista esclusiva al rapper

Layz ha pubblicato Slevin Flow, un EP che considera un momento di passaggio tra il suo primo straordinario disco e quello che verrà prossimamente. Nelle sei tracce gioca tra cinema e vita privata, offrendo ulteriori tasselli della sua vita. Lo abbiamo intervistato in esclusiva, senza alcun filtro.

Classe 1993, Layz aveva sorpreso tutti con il suo primo straordinario album, Lazzaro, i cui testi mai banali avevano rivelato un talento del rap italiano lontano dagli schemi commerciali a cui in tanti ci hanno abituati in questi anni. Al secolo Lazzaro Zani, Layz ha saputo come trasformare la sua passione per il rap usandola come mezzo per esternare ciò che a parole gli risulta difficile. Ha raccontato così dei suoi scheletri nell’armadio, aneddoti ed episodi che per troppo tempo tenuti solo per sé gli hanno permesso anche di crescere e maturare una certa consapevolezza.

E anche nel corso di quest’intervista esclusiva Layz non lascia nulla di non detto. Le sue paure, le sue esperienze crude e i suoi sogni tormentati diventano oggetto di discussione e di confronto. Anche perché, più o meno metaforicamente, sono presenti anche in Slevin Flow (Stage One Music), un EP che nasce dal desiderio di coniugare musica e cinema. Ognuna delle sei tracce ha infatti un film di riferimento, titoli scelti non tanto per la loro qualità intrinseca ma quanto per le sensazioni che hanno suscitato in lui.

E non ha dubbi Layz su cosa lo spinge a far musica: offrire uno specchio a chi nelle sue esperienze o nei suoi tormenti può riconoscersi.

Layz.
Layz.

Intervista esclusiva a Layz

Slevin Flow è il tuo secondo album. Arriva dopo lo straordinario successo di Lazzaro ma definisci il nuovo EP come qualcosa di passaggio tra un album e il nuovo a cui stai lavorando. La peculiarità è che, nei sei brani che lo compongono, unisci le tue passioni per la musica e il cinema. tutti i film citati appartengono agli anni Novanta.

Sebbene io sia un fan sfegatato di tutto il cinema, ho fatto riferimento a quelli che sono i titoli che hanno segnato la mia adolescenza. Se avessi voluto fare un lavoro in cui prendevo come riferimento la lista dei miei film preferiti, non so quante tracce avrei dovuto inserire: avrei già tanto di quel materiale da realizzare subito un volume 2!

Non è un caso, quindi, che l’EP abbia come sottotitolo “Volume 1”.

Ho voluto mettere le mani avanti. Nel caso in cui ci fosse un “Volume 2” l’ho già preannunciato!

https://www.instagram.com/p/Cks9oFypeQu/

Le sei tracce cantano comunque di aspettative deluse, follia, disperazione ma anche di tanti tuoi aspetti privati, degli anni in cui, come canti in Dentro me, rischiavi di far impazzire tua madre e di far preoccupare tuo padre.

Quelli erano i primi anni del Duemila, compresi nel periodo in cui avevo tra i 15 e i 20 anni. Il testo fa riferimento a come io mi sentissi particolarmente simile a Jack, lo scheletro protagonista del film Nightmare Before Christmas: condividevo il suo sentimento di sentirsi fuori posto. Avevo voglia di vedere altre realtà e altri modi di vivere. È stato bello scrivere quel testo perché mi ha permesso di tracciare un percorso tra chi ero negli anni in cui ho combinato le mie cazzate e chi sono oggi. Sono cambiate tante cose ma non è mutato il sentimento di fondo legato al sentirsi stretti nella città in cui ho da sempre vissuto.

Ti va di contestualizzare il termine cazzate, se non ti provoca fastidio?

Prima di tutto, le droghe. Le scelte e i percorsi sbagliati. Le opportunità perse per star dietro a determinate cose. E le tante volte in cui, a causa delle droghe, ho rischiato di perdere tutto. Ho vissuto un lungo momento della mia vita in cui ho seriamente rischiato di aver bisogno di aiuto. Poi, la musica e gli amici veri mi hanno aiutato: son riuscito a uscire “da solo” da quel periodo, senza aiuto da parte di professionisti.

Tuttavia, non cambierei nulla del mio passato, nemmeno quelli che reputo errori. Non avrei altrimenti tutto ciò che ho da dire oggi. Ho la passione per la scrittura e di cose da raccontare ne ho: parlare dei miei inizi mi serve a esorcizzare ciò che ho vissuto e quelle conseguenze che possono diventare anche destabilizzanti. Non mi da fastidio che mi venga chiesto: se scrivo di determinati argomenti rendendoli pubblici, me lo aspetto.

Hai appena detto che ne sei uscito “da solo”, senza l’aiuto di professionisti. Non pensi che l’aver riconosciuto di aver un problema sia stata la forma maggiore di aiuto che potevi darti in quel momento?

Non ho mai avuto bisogno di professionisti, di medici o di altre figure che aiutano i ragazzi e le ragazze a uscirne. Però, l’aver riconosciuto di aver un problema e di stare per perdermi è stato utile. Sono stato male anche fisicamente, quindi o smettevo o mi sarei ritrovato in situazioni che mi avrebbero distrutto non solo mentalmente. La consapevolezza di aver sbagliato è venuta dopo, con il passare del tempo: quando vedi gli effetti che ti rimangono addosso dopo aver smesso, capisci che stavi facendo delle stronzate.

Ti ha aiutato la musica?

La musica mi ha fatto uscire veramente dai momenti bui come quello. Quando mi chiedono perché ami la musica, la risposta è ovvia.

Layz.
Layz.

In Disturbato, canzone ispirata a Silent Hill, racconti che di notte le esperienze vissute ti tornano alla mente e si trasformano in incubi che contornano la città. Quali sono le tue paure più grandi?

Rispondo istintivamente: ho paura di crescere e di diventare grande. Fondamentalmente, il mio timore è che diventi come gli adulti che mi stanno intorno. Mi mette tristezza sapere che il loro bambino interiore, quello che permette di sognare, è stato spento anche a causa della società in cui viviamo. Ho sempre avuto paura che anche il mio bambino interiore possa svanire da un momento all’altro, non voglio rinunciare ai miei sogni.

Disturbato è una canzone molto cinematografica e, come tale, romanzata. Ovviamente, gli incubi hanno fatto parte della mia vita ma in quella canzone volevo riportare le sensazioni che provavo quando giocavo con il videogioco da cui è tratto il film: credevo che i mostri non fossero altro che la concretizzazione delle paure della protagonista. E ho lasciato il finale della canzone appositamente aperto: al risveglio vedo qualcosa in bagno ma non dico cosa…

In V il riferimento a V per Vendetta. Ti reputi più il vendicatore che ha voglia di vendicarsi della società in cui vive o il Robin Hood dei rapper?

Non è facile scegliere. Molte volte sento la voglia di vendicarmi ma poi so che la vendetta è un sentimento che alla lunga si autodistrugge. V per Vendetta è sempre stato nella top 5 dei miei film preferiti, uno dei più belli che abbia mai visto: mi ha aperto le porte su tante questioni che viviamo tutti i giorni. Alimentiamo tutti vendetta nei confronti della società ma crescendo mi son reso conto che la vendetta ti potrebbe divorare.

Non sono il Robin Hood del rap. Non mi sento il Salvatore: faccio solo la mia musica, nel migliore dei modi e come piace a me. Racconto le mie esperienze ma so, dai messaggi che ho ricevuto dopo la pubblicazione del primo disco, che in tanti si sono rivisti. Molte persone mi hanno scritto che quella canzone o quell’altra sembrava parlare di loro e a loro. Ecco, per me è questa la soddisfazione più grande. Al di là dei numeri, il mio obiettivo è già raggiunto così.

Leonardo notte, tra le tracce, è l’unica a trarre ispirazione da una serie tv, 1992 con i suoi seguiti. Cosa ti ispirava del protagonista del racconto delle vicende legate a Tangentopoli?

Mi ispirava come Leonardo, il protagonista della serie, muovesse le fila nell’ombra e condizionasse tantissimo la storia. Era forse uno dei massimi responsabili di tutto ciò che gli stava accadendo intorno ma si muoveva senza che nessuno lo vedesse. 1992 è l’unica serie che cito per un semplice motivo, che spiego anche nella prima traccia, Shmoo: belle le serie ma preferisco i film. E poi i prodotti che raccontano la storia del nostro Paese mi affascinano tantissimo.

Leonardo Notte è stata anche una delle prime canzoni che ho scritto da solo quando nel 2020 ho intrapreso il progetto Layz. Non l’ho inserita nel mio primo album ma ho scelto di metterla nel finale di questo EP: non è nata appositamente, l’idea di questo progetto era ancora lontanissima.

Layz.
Layz.

L’EP si chiude con Che finale, ispirata a Io non ho paura, il bel libro di Niccolò Ammaniti da cui Salvatores ha tratto anche un film.

Viviamo spesso il caos come qualcosa che crea confusione. Ho invece voluto stravolgerne il senso considerando il caos utile quanto l’ordine. Un bel dualismo: non c’è il bianco senza il nero così come non c’è caos senza serenità e quindi ordine. Tutto è collegato.

Io non ho paura è uno dei pochi film che tratti da libri non mi ha deluso. La lettura è un’altra delle mie grandi passioni e solitamente i film ispirati ai romanzi perdono qualcosa. Non è il caso del film di Salvatores, che restituisce bene le atmosfere in cui era ambientata la storia. Sono partito dalla citazione shakesperiana per cui gli animali e tutti gli elementi del bosco vegliano sul bambino fino alla fine della notte per quella che è forse la canzone più felice dell’intero progetto. Ma anche la più completa a livello musicale: l’ho già suonata dal vivo la scorsa estate ed è stato un piacere farla.

Quanto pretendi da te stesso?

Molto. Se qualcosa non mi soddisfa al 100%, non la mollo. Sono molto autocritico. Quando adesso ascolto Lazzaro, il mio primo disco uscito un anno fa, mi verrebbe voglia di cambiare un sacco di cose che oggi non mi suonano più. Considero la mia puntigliosità come un punto di forza: è un segno della mia continua crescita artistica: più mi confronto con gli altri, più la mia esperienza aumenta.

È uscito più volte nel corso di quest’intervista il verbo “crescere”. Crescendo, cosa hai conservato del te bambino?

Il gioco originale di Silent Hill… Rispetto molto il bambino che ho dentro: è la forza che mi fa andare avanti. Mi vedo come un bambino che non ha paura di essere senza peli sulla lingua, di raccontare i suoi lati più intimi o di mettere in mostra ciò che gli ha fatto male. Cerco di proteggerlo il più possibile facendo sì che si rispecchi nei miei comportamenti e nella mia vita quotidiana. Provo a non far morire il suo entusiasmo. Quando Lazzaro per varie ragioni è sopraffatto dalla vita quotidiana, dal lavoro o dalla routine, quel bambino viene fuori mostrandogli come ci sia ancora qualcosa per cui andare avanti, vivere e sperare.

Quel bambino è una sorta di tuo alter ego?

È un po’ come nei fumetti: è l’eroe che esce dalla cabina dopo essersi trasformato. Il mio bambino e il mio essere Lazzaro si compensano: non potrebbero esistere l’uno senza l’altro.

Riproduzione riservata