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“Sto male nel vedere la sofferenza altrui, di persone o di animali”: Intervista esclusiva a Ivana Spagna

La voce di Ivana Spagna è per tutti quella di Madre Natura o di Easy Lady. Ma è anche quella di una donna il cui animo nobile emerge da ogni singola parola o da ogni singola canzone. Diva della musica internazionale, si racconta cuore a cuore.

Ivana Spagna è una di quelle donne dell’entertainment che è bello incontrare almeno una volta nella vita. Siamo abituati a sentire la sua voce, inconfondibile, e amiamo le sue canzoni, che sanno spaziare dalla dance al pop. Amiamo vederla anche in televisione, dove passa da interventi sentiti come quello apprezzato qualche settimana fa a Domenica in da Mara Venier, a momenti giocosi, come nel caso della sua recente apparizione a Le iene.

Ogni volta veniamo colpiti dalla sua gentilezza, dalle emozioni che trapelano dal suo sguardo. Basta concentrarsi sulle sue parole per avere il ritratto di una donna che, nonostante il successo in tutto il mondo, è sempre rimasta fedele a se stessa e ai valori con cui è cresciuta. L’umiltà, la bontà d’animo e l’attaccamento alla famiglia rendono Ivana Spagna un raro esempio di anima pura, capace di soffrire per le brutture del mondo a cui non può porre rimedio. Ivana non ha mai avuto paura di mostrare le sue fragilità e questo la rende un esempio perfetto di donna per l’8 marzo.

In questi giorni, Ivana Spagna ha presentato il suo nuovo singolo, Seriously in Love, un brano che la riporta a cantare ancora una volta in inglese. Ma che, inevitabilmente, la riporta alle sue origini, a quel lontano 1987, anno in cui dopo anni di sacrifici e gavetta, con la sola determinazione e cocciutaggine, ha raggiunto una popolarità incredibile con Easy Lady. Sì, perché Seriously in Love ha visto Ivana a collaborare con il fratello Theo, come sempre, e Larry Pignagnoli, ricostituendo quel trio magico che aveva fortemente creduto in Easy Lady prima e in Call Me dopo.

  • Un successo travolgente

Per descrivere la popolarità di Ivana Spagna non basterebbero fiumi di parole. Considerata dai giornali dell’epoca come l’unica in grado di detronizzare Madonna, Ivana Spagna ha raggiunto le più alte posizioni nelle classifiche inglesi, francesi, tedesche, americane e persino giapponesi. In Giappone, addirittura, il suo viso e la sua celebre cresta bionda campeggiavano sulle schede telefoniche, mentre la canzone riempiva le discoteche e veniva inserita nella colonna sonora del cult Yuppies 2.

Un’italiana che canta in inglese, che sfonda in Francia e che si chiama Spagna non avrà mai successo, si sentiva ripetere spesso Ivana dai discografici italiani. Fortunatamente, avevano torto. E lo dimostrano gli oltre 11 milioni di dischi venduti, l’essere l’unica cantante italiana ad aver raggiunto il secondo posto nella classifica britannica, la vittoria al Festivalbar nel 1987, il terzo posto al Festival di Sanremo nel 1995, il trionfo a Un disco per l’estate nel 2001, il premio Lunezia Rock per l’album Lola & Angiolina Project in coppia con Loredana Berté e i due Telegatti assegnati da Vota la voce.

  • Una nota personale

Ma Ivana Spagna per chi vi scrive rappresenta anche qualcosa di molto personale. Per raccontarvelo, occorre fare un salto indietro nel tempo e arrivare al 14 maggio 2019. Mia madre soffriva di artrite reumatoide e fibromialgia, due malattie che le rendevano la vita se non infernale quasi impossibile. Dopo anni di lavoro per crescere da sola un figlio, aveva dovuto abdicare al destino che le era stato riservato. Quel giorno, aveva avuto l’ultimo consulto dell’ennesimo specialista nel campo e le era stata proposta la terapia del dolore. Ricordo ancora quanto fosse uscita affranta dallo studio medico.

Mentre preparava la cena, su TgCom24, il canale all news di casa Mediaset che amava seguire per rimanere costantemente aggiornata, c’era l’anteprima del videoclip Cartagena, un nuovo brano con cui Ivana Spagna ritornava sulla scena dopo un periodo di silenzio. Presa dal ritmo, mia madre ballava, spensierata, come se niente la tormentasse. Finito il video della canzone, mi disse: “Da domani vado a ballare. Mi faccio io la mia terapia del dolore”.

E, in effetti, in qualche modo è andata a ballare ma altrove. Un infarto quella stessa notte se l’è portata via per sempre. Da allora, ogni volta che sento il nome di Ivana Spagna, penso a mia madre, felice, che si muove al ritmo delle sue note. Ha vissuto con lei il suo ultimo momento di serenità. Grazie, Ivana.

INTERVISTA A IVANA SPAGNA

Seriously in Love è il tuo nuovo singolo, uscito in questi giorni. Ti riporta nuovamente all’inglese e alla musica dance a distanza di due anni da 1954, un album in italiano stupendo ma la cui promozione è stata fermata dallo scoppio della pandemia da CoVid.

Ho un tempismo che è pauroso. L’uscita di 1954 è stata segnata dal Covid e non ho potuto promuovere l’album come dovevo. Non ci sono state serate o live, niente di niente. L’uscita di Seriously in Love è invece avvenuta quasi in contemporanea con lo scoppio della guerra tra Ucraina e Russia.

Ma io spero, innanzitutto, che finisca la guerra. La cosa più brutta che possa esserci è proprio la guerra. Gente che si uccide senza nemmeno conoscersi: è questa la verità. E, come diceva Pablo Neruda, per interessi di gente che si conosce ma non si uccide. È incredibile. Ed è terribile: chi ci rimette sempre sono le povere persone, il popolo, gli animali. Tutti quelli che la guerra non l’hanno voluta.

Ivana Spagna.
Ivana Spagna.

Come vivi personalmente questa situazione?

Male. La vivo male. Mi faccio dei pianti… Una volta ho detto che sono la persona più infelice del mondo e mi son sentita dire buuuuu, capirai! Ma c’è un perché. Sin da quando ero bambina, sono molto sensibile e sento tutto amplificato. Perciò, qualsiasi cosa causa sofferenza mi fa star male. Io non posso guardare i servizi al tg perché per me è un pianto continuo, sto male. Sto male nel veder soffrire e nell’essere impotente. È quello che mi fa malissimo: la sofferenza altrui, di persone o di animali. Dove posso, cerco di rimediare. Dove non riesco, mi dispero e basta. È una cosa che mi massacra dentro.

Ed è abbastanza percettibile. Basta guardarti negli occhi per coglierlo. Quando ti si incontra face to face emerge questo lato del tuo carattere.

È terribile. Per me, è terribile perché così non ho mai pace. Di motivi per cui star male ce ne sono tutti i giorni. Si vedono continuamente cose orribili che il più delle volte accrescono la sensazione di impotenza. Chiedo sempre al Signore: “Rendimi un po’ insensibile, per favore! Fammela questa grazia qua”. È un tormento continuo. Se solo potessi rimediare ma non si può rimediare a tutto. Mia madre me lo diceva sempre: “Ivana, non puoi salvare il mondo intero”. Come ti accennavo prima, ero così già da bambina ed è una vita che sto male. Dove posso, faccio il possibile e mi do da fare. Ma, dove non puoi, cosa fai?

Tu hai anche scritto una splendida canzone sulla guerra, Acqua.

A parte quella, lo scorso anno ho inciso una cover di Have You Ever Seen the Rain, una canzone dei Creedence Clearwater Revival sulla guerra in Vietnam. Ho suonato e arrangiato io i violini e ho aggiunto delle parti vocali che non esistevano nell’originale. Ho pianto mentre arrangiavo il pezzo perché, documentandomi, ho scoperto degli aspetti terribili a cui fa riferimento il testo. È stato il mio modo di portare una terribile situazione all’attenzione di chi non la conosceva. Have you ever seen the rain coming down on a sunny day? Hai mai visto la pioggia cadere in un giorno di sole era un modo per indicare la diossina, usata per bruciare tutto intorno e scovare il nemico. Son situazioni, ripeto, terribili.

Mi hai fatto pensare che anche in un’altra tua canzone c’è un riferimento a una metafora simile. Sembra pioggia ma non è, son tante tante lacrime, gente che non ce la fa più in Father.

È ricorrente. Non lo so, è un periodo terribile. Coloro che vivono la guerra in prima persona stanno molto peggio ma sto male nel pensare a loro. Sto tanto male nel vedere tutta quella sofferenza.

Ti affermi negli anni Ottanta. Scali le classifiche di mezzo mondo non per dire ma concretamente. Ricordo le tue immagini persino sulle schede telefoniche a Tokyo, in Giappone. Che ricordi di quel periodo?

È stato un periodo che ho vissuto, goduto, ma senza perdere il contatto con la realtà. Ho sempre vissuto la mia vita, tutto quello che mi è capitato, come grazia ricevuta. Ho sempre fatto fatica a conquistare tutto. Tanta fatica, non mi è stato mai regalato niente. Quando è arrivato il botto pazzesco di Easy Lady, con le carte telefoniche e i tir che passavano con scritto Dunlop, ero felice e pensavo “Signore, grazie!”. Ero felice ma non ho perso mai la testa. Perché ho una gavetta alle spalle abbastanza dura e lunga.

Ho passato, prima del successo, tanti e tanti anni nelle discoteche a far fatica, a portare gli strumenti, a fare persino il saldatore. Eravamo in cinque e dovevamo aiutarci tutti quanti, preparare il palcoscenico, suonare cinque ore, smontare il palco, rimettere tutto nel furgone. Quella era la gavetta vera. La vita penso sia come le fondamenta di una casa: quando ce l’hai e l’hai fatta, più la casa è solida più regge a tutti gli scossoni.

E, comunque, quando accade qualcosa di bello, lo guardi ma non devi perdere il contatto con la realtà.  Sai che, nonostante i sacrifici, è grazia ricevuta.

In molti però su di te non ci puntavano. Una che si chiama Spagna, che è italiana ma che canta in inglese, dove andrà mai? Eppure, siamo arrivati a più di 35 anni di carriera.

Eppure… perché son testarda, son cocciuta. Se credo in qualcosa, mi butto. La faccio io, piuttosto. Non demando. Abbiamo stampato Easy Lady io, mio fratello e Larry Pignagnoli, che era il mio compagno di allora. Larry era anche il chitarrista del gruppo, mio fratello Theo il bassista e io la seconda tastierista e la cantante. Ho detto allora: “Non la vuole nessuno? Ce la stampiamo noi”. E da lì è nato tutto. Ho seguito il mio motto: Aiutati che il ciel t’aiuta. Come dicevo, non mi è stato regalato nulla. Se non avessimo deciso noi di stampare il brano, non sarebbe successo niente.

Hai citato tuo fratello Theo, uno degli autori per chi non lo sa anche di The Rhythm of the Night, brano lanciato qualche anno fa da Corona e divenuto una hit mondiale lo scorso anno grazie ai Black Eyed Peas. Hai con lui un legame molto forte. Come forte era il legame con il resto della tua famiglia, mamma e papà.

E lo è sempre. Loro me li sento ancora vicini, che ci crediate o no. Sono la mia energia, la mia batteria. Io devo andare avanti perché so che darebbe dispiacere a loro se mollassi in qualche maniera, in tutti i sensi. Lo devo a loro per tutti i sogni che hanno riposto in me: ci han creduto loro prima di me. Io volevo cantare ma non pensavo al successo. Avevo rinunciato a cantare in italiano e ad andare al Festival di Sanremo quando suonavo con gli Opera Madre perché volevo cantare in inglese. Per qualcuno era follia, per me no: non volevo andare a farmi vedere in televisione.

Anche se poi l’italiano ti ha comunque ripagata. Era il 1994 e la tua voce, indimenticabile, apriva il capolavoro assoluto della Disney, Il Re Leone.

È stato Elton John a volermi. Altrimenti, non avrei mai cantato in italiano. Mi ha scelto lui per la versione italiana di Il cerchio della vita. Cercava la voce di Madre Natura e l’ha trovata nella mia. Per me, è tuttora incredibile e bellissimo.

Noi ci siamo sentiti tutti traditi quando, nella recente versione in live action di Il Re Leone, non abbiamo sentito la tua voce. Non abbiamo più riconosciuto la voce di Madre Natura e prova ne è che la rivisitazione della canzone non ha avuto nemmeno un centesimo del successo della tua versione. La tua voce era il valore aggiunto a quello straordinario pezzo.

Io auguro tutto il bene possibile alla ragazza che l’ha cantata ma, quando ho saputo che sarebbe stata proposta una nuova versione, ci sono rimasta male. Ma non potevano fare altrimenti perché era una produzione diversa. Chiaramente, una produzione non può tenere una cosa di un’altra produzione per una questione economica. Hanno dovuto, per forza, cambiare.

Il risvolto incredibile è che nelle classifiche di vendita è salita la mia versione del brano. Per la gente, sono sempre rimasta “quella del Re Leone”. Per me è un miracolo stupendo perché sono legata ai felini. Ho sempre salvato tanti animali, persino uccelli, ma ho salvato tanti, tanti gatti, tanti felini. E, guarda caso, il felino mi ha fatto fare qualcosa che è rimasta nella storia della musica, Il Re Leone. E, poi, La gabbianella e il gatto, che mi ha dato l’occasione di incontrare Luis Sepulveda, un gigante buono. È proprio il cerchio della vita!

Quello con Sepulveda è solo uno dei tanti incontri che hanno segnato il tuo percorso. Mi piace ricordare quello con il Dalai Lama che, colpito da un tuo brano sulla rivoluzione tibetana March 10th, 1959, ti ha affidato una preghiera che hai trasformato in canzone, Words of Truth.

Ho ancora una moneta che mi ha regalato. Mi aveva anche incaricata dell’organizzazione di un concerto tipo Live Aid. Avevo avuto l’adesione di Jackson Browne e di Richard Gere. Dopo, però, si è ammalata mia mamma. Io ho seguito il calvario di mia madre, che è durato due anni. Ma non ho mai rimpianto questo. Ciò che mi aiuta a superare certi ricordi tristi è proprio il fatto che ci sono stata. Io c’ero e ci sono stata fino all’ultimo, anche penalizzando qualcosa che volevo fare: mia madre era più importante per me.

In questo nostro excursus, non posso non citare il tuo ritorno, dopo la parentesi in italiano, all’inglese nel 2002 con Woman, un album che già dal titolo è un inno alla donna. Un lavoro stupendo con all’interno tante sonorità e un duetto con Demis Roussos sulle note di Tears of Love, rifacimento della sua hit Rain and Tears.

Però, è stato difficile promuoverlo. È ritornata la stessa difficoltà che avevo avuto in varie situazioni. Cantando in inglese da italiana, sono stata sempre molto snobbata dai media. All’inizio, ricordo che pensavano che fossi una che, uscendo da nulla, aveva fatto successo. Dava fastidio. Non sapevano che avevo una lunga gavetta nelle discoteche alle spalle. Il cantare in inglese era solo una conseguenza della mia vita di quel periodo. Era la realtà che avevo sempre vissuto: non è che volevo cantare in inglese per fare l’americana o l’inglese.

Cantavo in inglese perché avevo sempre cantato in inglese. Componevo nella lingua con cui mi trovavo meglio. Partendo in inglese con la dance, non venivo nemmeno calcolata. Le recensioni più belle della mia vita le ho avute su Have You Ever Seen the Rain, e mi ha anche fatto piacere perché era una cover che ho voluto io e ai cui arrangiamenti ho lavorato. Per cui, mi son detta: “Ivana, se senti una cosa, devi portarla a termine. Perché se vivi qualcosa così a pieno e ci tieni tanto, magari arriva un riscontro”. Mi ha reso felice.

Ma perché non conoscono altri tuoi pezzi, altri capolavori che hai realizzato in italiano. Penso a Domani, per esempio.

Anche a me piace. Ma poi c’è anche un’altra canzone che reputo abbia il miglior testo che abbia mai scritto: Colpa del sole. Ne ho incise tante di canzoni che non me le ricordo neanche.

Ti aiuto io. Ti dico Cipolle e fragole da Indivisibili.

Coltiveremo cipolle e fragole… (risponde cantando, con quella straordinaria voce che non ha bisogno di alcun strumento).

O Come l’alba, da Lupi solitari.

Era dedicata a mia nonna.

Hai cantato di tanti temi nelle tue canzoni e non solo d’amore. Penso alla non abilità di Greta o del bellissimo video di Prigioniera del tuo nido, alle difficoltà del mondo in cui viviamo in A chi dice no ma anche agli amori saffici di Se io, se lei (brano di Biagio Antonacci che hai mantenuto nella versione originale e diventato una canzone da lei a lei) e di Comme c’est bizarre la vie. Qual è la tua posizione in termini di diritti civili?

La base di tutto per me, ed è semplicissimo, è il rispetto. Ed è un comandamento. Il comandamento che preferisco è Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te. Se tutti noi lo rispettassimo, saremmo in regola con il Creato. Quindi, è giusto il rispetto per qualsiasi modo di esprimersi e di essere di una persona. Ognuno è un qualche cosa di speciale e di particolare. E noi dobbiamo rispettare ogni singola creatura.

Il mio domani sarà quel che sarà, cantavi. Come ti immagini il tuo domani?

Spero meno disperata di oggi.

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