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Il figlio di Tarzan, la storia di Giovanni Cupidi su RaiPlay

Il figlio di Tarzan, un documentario prodotto da Ficarra e Picone, racconta la storia di Giovanni, da 30 anni affetto da una grave tetraplegia spinale.

State dormendo e una mosca continua a ronzarvi intorno. È fastidiosa, vi disturba e vorreste togliervela di torno con tutte le vostre forze. Ma non potete. Siete costretti a ricorrere all’aiuto di qualcuno che lo faccia per voi. Serve un amico, un familiare o qualcun altro che si adoperi al posto vostro. E, se non c’è nessuno, a chi potete rivolgervi? Alle istituzioni, certo. Peccato che siano sorde. Quanto diventa frustante il tutto? Quanto la vostra persona si sente colpita nell’animo e nella dignità? Questo è un po’ quello che accade a Giovanni nella vita di tutti i giorni.

Giovanni Cupidi ha 44 anni e da 30 anni convive con una sedia a rotelle, che da ostacolo è diventato grazie alla sua forza, coraggio e determinazione, un mezzo per “muovere” il mondo. Abita a Misilmeri, un paese di 30 mila anime alle porte di Palermo, un luogo in cui le attenzioni per le persone con disabilità è lontano dall’essere una priorità con le sue strade piene di buche, i marciapiedi occupati, le macchine in quadrupla fila e le infrastrutture inesistenti. Segni e simboli di una società che di civile ha solo il miraggio.

Dall’età di 13 anni, Giovanni è affetto da una grave tetraplegia spinale e anche per il gesto più banale necessita dell’aiuto degli altri. A raccontare la sua esperienza, il suo mondo e la sua famiglia, è il documentario Il figlio di Tarzan che, dopo essere stato trasmesso in occasione della Giornata Internazionale per le Persone con Disabilità, approda su RaiPlay dal 21 gennaio.

Prodotto da Ficarra e Picone (compaesano di Giovanni), non nuovi a questo genere di iniziative e speranzosi “di essere di stimolo ed esempio per gli altri, di contribuire alla presa di coscienza dei cittadini, per non delegare tutto e solo alle istituzioni”, il film documenta quanto difficile sia per Giovanni e per chi come lui muoversi nella Palermo-giungla dei disabili. Come metaforicamente e provocatoriamente suggerisce il titolo, legato a un ricordo d’infanzia dello stesso Giovanni (il padre era solito raccontargli le fantomatiche e mirabolanti avventure del figlio di Tarzan), ”se le città fossero veramente giungle, non ci si sposterebbe anche meglio grazie alle loro liane piuttosto che incontrare impedimenti di ogni tipo”? Ma la giungla che lo circonda è ben diversa da quella di Tarzan e non nasconde sorprese fantastiche come quella di Mowgli: i leoni e le pantere, rappresentati dalla classe politica, non sono amici e la natura ha lasciato spazio all’uomo, che tutto complica.

Nonostante le difficoltà legate alla sua diversa abilità e a una società che millanta inclusione senza mantenere fede alle parole pronunciate, Giovanni non sta mai fermo. Ha una vita molto attiva. Si è laureato in Scienze Statistiche ed Economiche, ha un dottorato di Ricerca in Statistica Applicata e cura personalmente il suo blog (https://giovannicupidi.net/), dove pone la sua esperienza al servizio degli altri affrontando tematiche legate alla salute, alla disabilità e al superamento delle barriere mentali, non meno ostative di quelle fisiche. Il blog per Giovanni è un mezzo per condividere con altri “le idee, i progetti e le possibili soluzioni per risolvere davvero i problemi, o ostacoli, che una persona con disabilità può, o meglio, incontra durante il suo percorso di vita”. Ma è anche appassionato di musica: è il social media manager di un gruppo musicale, i Cospiria, ed è amico di Jovanotti. E ha trovato persino il tempo di pubblicare per Mondadori Electa il libro Noi siamo immortali, straordinaria testimonianza del prima, del dopo e del futuro legato alla sua malattia.

Cosa di non meno conto, è sempre disponibile a due chiacchiere. Sui suoi profili social, è facile interagire con lui. Non riesce mai a dire di no, ha spazio per una risposta, per un commento o un grazie. Ma anche per le sue passioni, le sue battaglie, la sua straordinaria ironia e la normalità della sua disabilità. Il suo racconto non è neutrale e non deve esserlo. “Il documentario nasce da un’idea mia e della regista, Mariagrazia Moncada. Ci siamo conosciuti anni fa dopo la pubblicazione del mio libro e siamo diventati amici. Dopo un po’ abbiamo cominciato a pensare che potevamo fare un racconto simile ma non uguale a quello del libro con un altro linguaggio, il linguaggio delle immagini, dal momento che quello è il suo lavoro: Mariagrazia si occupa di temi legati al sociale”, ci ha raccontato Giovanni, da noi raggiunto.

“Abbiamo cominciato a scrivere il documentario e, quando ci siamo ritenuti pronti, lo abbiamo proposto a Ficarra e Picone: ho la fortuna di essere loro amico ma lo abbiamo presentato come si può presentare qualsiasi prodotto a una casa cinematografica di produzione. A loro l’idea è piaciuta molto e hanno deciso di finanziarla. Lo abbiamo girato nel mese di luglio del 2020 quando l’epidemia Covid-19 ha allentato la sua presa: è stato un mese pieno, molto bello e divertente ma comunque per me molto, molto faticoso. Ho passato tutto il mese di agosto a riposare. La pandemia ha spostato la presentazione del film al mese di novembre 2021, ai Cantieri Culturali della Zisa di Palermo.

L’intento del nostro lavoro è stato sempre quello di raccontare attraverso il mio quotidiano quella che può essere una giornata di chi è affetto da una disabilità come la mia, nel mio caso una tetraplegia spirale. Ma, oltre a far vedere le gioie e le sofferenze di tutti i giorni, ho voluto mostrare qual è o quale potrebbe essere la vita di una persona con disabilità nel rapporto con l’esterno. Qui gioca molto quanto le istituzioni sono vicine, quante ore di assistenza, ad esempio, vengono riconosciute alle persone, quali sono i diritti realmente riconosciuti. Se una persona come me avesse davvero riconosciuti tutti i diritti potrebbe vivere una vita il più possibile indipendente, sempre legata ai propri limiti fisici. Potrebbe portare avanti quelli che sono i propri sogni, le proprie aspirazioni, i propri desideri e anche il proprio impegno dal punto di vista della preparazione, dello studio”, ha aggiunto.

Oltre a far vedere le gioie e le sofferenze di tutti i giorni, ho voluto mostrare qual è o quale potrebbe essere la vita di una persona con disabilità nel rapporto con l’esterno

“È stato questo quello che abbiamo voluto rappresentare: come una buona assistenza (che comunque non ho) e l’aiuto della società civile, amici, volontari che mi vengono a dare una mano e tutte quelle persone che girano intorno a me (caregiver, familiari, mia sorella), sopperendo a tutte quelle mancanze, riescono a garantirmi una vita il più possibile indipendente. Il docufilm si rivolge non solo alle istituzioni, che sono le prime chiamate in causa, ma anche a tutta la società civile, che deve essere pronta a stare vicino alle persone che vivono una disabilità in modo da non lasciarle sole e non far sentire loro quel senso di abbandono che invece le istituzioni fanno sentire. In definitiva, Il figlio di Tarzan parla degli invisibili, di quelli che sono nascosti alla società e che attraverso il non riconoscimento dei diritti non riescono ad emergere o a essere visti come risorse per la società stessa”, ha concluso.

Non è con il pietismo e le promesse non mantenute che possiamo essere d’aiuto a chi con la disabilità convive e lotta tutti i giorni. L’agire deve partire dal basso, da chi come noi ha voglia di protendere una mano e far sentire la voce di coloro che, purtroppo, rimangono inascoltati perché non considerati una priorità. Lasciamo che a parlare per tutti siano le parole di Papa Francesco: “È importante promuovere una cultura della vita, che continuamente affermi la dignità di ogni persona, in particolare in difesa degli uomini e delle donne con disabilità, di ogni età e condizione sociale”.

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