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Denise Capezza: “Libera dai condizionamenti altrui” – Intervista esclusiva

denise capezza
Al cinema con il film Holy Shoes, Denise Capezza si racconta con estrema sincerità a The Wom. Ricostruendo il suo percorso artistico ma anche di vita, emerge il ritratto di una giovane donna che ha raggiunto la necessaria consapevolezza per liberarsi dai condizionamenti altrui e per essere libera di inseguire la propria natura.

Denise Capezza è tra i protagonisti del film corale Holy Shoes di Luigi Capua, nei nostri cinema grazie ad Academy Two. Interpreta il personaggio di Serena, la fidanzata romana di un giovane uomo mosso dalla voglia di raggiungere fama e notorietà attraverso le scarpe, assurte a status symbol della tirannia del desiderio denunciata dal regista.

In un panorama cinematografico in continua evoluzione, emergono figure che riescono a distinguersi per talento, versatilità e dedizione. E tra queste spicca sicuramente Denise Capezza, un'attrice che ha saputo conquistare il pubblico con interpretazioni intense e variegate, dimostrando una capacità unica di immergersi completamente nei suoi personaggi. Conosciuta per ruoli significativi in produzioni italiane e internazionali, Denise Capezza ha attraversato un percorso artistico ricco e complesso che merita di essere esplorato in sua compagnia.

Denise Capezza inizia il suo viaggio nel mondo dell'arte attraverso la danza classica e contemporanea, una disciplina che le insegna rigore e dedizione, qualità che trasferisce anche nella recitazione. Tuttavia, a causa di un infortunio, la danza lascia il posto alla recitazione, una scelta che si rivelerà decisiva per il suo futuro. Dopo aver studiato recitazione a Napoli e a Roma, Denise Capezza si affaccia al mondo della televisione turca, dove recita in diverse serie di successo. Questa esperienza internazionale le permette di sviluppare una flessibilità linguistica e culturale che arricchisce ulteriormente il suo bagaglio artistico.

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Il ritorno in Italia segna una svolta nella carriera di Denise Capezza. La sua interpretazione di Marinella in Gomorra cattura l'attenzione del pubblico e della critica, consolidando la sua posizione nell'industria cinematografica italiana. Da lì in avanti, Denise si impegna in progetti che spaziano dai film d'autore alle serie televisive, lavorando con registi di calibro come David Cronenberg in Crimes of the Future.

Denise Capezza non si limita a interpretare ruoli complessi; sceglie con cura i progetti che abbiano un valore sociale e culturale significativo. Film come Un mondo in più di Luigi Pane e la serie Unwanted di Sky o la prossima di Paramount+ The Place of Life riflettono il suo impegno nel dare voce a storie che necessitano di essere raccontate.

Prima di vederla a fine mese nella serie Prime Video Sul più bello, in questa intervista esclusiva, Denise Capezza ci parla del suo percorso, delle sfide affrontate e dei progetti futuri, offrendoci uno sguardo intimo e sincero sulla sua carriera e sulla sua continua ricerca di autenticità e libertà dai condizionamenti altrui.

Denise Capezza (Foto: Francesca Marino; Press: Michele Sabia per Upgrade Artist).
Denise Capezza (Foto: Francesca Marino; Press: Michele Sabia per Upgrade Artist).

Intervista esclusiva a Denise Capezza

Holy Shoes è un film che sorprende per lo sguardo lucido che ha sulla realtà che ci circonda: chi per un motivo e chi per un altro, siamo vittime della tirannia del desiderio di possedere qualcosa, da un oggetto alla popolarità sui social.

Siamo tutti condizionati dalla società e da desideri che a volte non sono neanche nostri ma indotti da altri, dalla nostra famiglia o da quello che abbiamo vissuto, senza nemmeno che questi siano inclini alla nostra natura. Spesso facciamo delle cose che nemmeno ci appartengono, come accade a Bibolino, il personaggio interpretato da Simone Liberati con cui la mia Serena si relaziona. E Holy Shoes lo racconta in maniera anche molto cruda, se vogliamo.

Quando hai ricevuto la sceneggiatura che riguardava la tua Serena, qual è la prima cosa che hai pensato?

Ricordo ancora la descrizione del personaggio: un animo dolce nel corpo e nel modo di vestire di una Cardi B di Centocelle. Mi è rimasta molto impressa e mi ha permesso sin da subito di capire che in qualche modo dietro non solo al mio personaggio ma anche alla sinossi ci fosse qualcosa di molto ben pensato e scritto nei minimi dettagli. Per la prima volta, da napoletana, mi sono trovata a interpretare un personaggio che si esprimeva in dialetto romano: è stata una sfida, così come lo è stata la tua natura multisfaccettata.

La difficoltà maggiore delle figure che animano Holy Shoes consiste proprio nel non essere solo una cosa: Serena non è semplicemente una ragazza di periferia che si muove, parla o si veste in un certo modo standardizzato rispetto all’opinione comune che si può avere di una giovane che proviene da Centocelle ma è un personaggio che è contaminato sia dalla sua provenienza sia dal suo desiderio di affermazione. Anche dal punto di vista estetico, ad esempio, si veste sì in maniera estrosa e appariscente ma anche allo stesso tempo stiloso.

Serena si esprime attraverso un linguaggio con cui prova a emanciparsi e ricorre al dialetto estremamente spinto solo nei momenti in cui viene fuori la rabbia. In lei, ho dunque intravisto un personaggio in bilico tra le sue origini e il suo desiderio di affermazione: è incredibile come attraverso il linguaggio da lei adoperato passi anche tutto il resto, come se l’interno influenzasse l’esterno.

Holy Shoes: Le foto del film

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La differenza tra essere e apparire è uno dei grandi temi della società contemporanea. Hai mai vissuto tale dicotomia in prima persona?

Costantemente, come ognuno di noi: chi afferma il confrario, mente. Come accennavo prima, siamo tutti, più o meno inconsapevolmente, condizionati dalle nostre famiglia, dai contetsi sociali in cui viviamo, dalle scuole che frequentiamo, dai social, dalla politica, dagli amici e dal lavoro. Man mano che cresciamo, perdiamo la nostra natura e in certi casi probabilmente non la conosciamo neanche.

Per quel che mi riguarda, in questo momento della mia vita, ho raggiunto quel grado di consapevolezza necessario per affermare di essere stata condizionata. Ed è attraverso tale presa di coscienza che sto cercando di affermare me stessa e il mio desiderio più profondo, e non quello degli altri. Non mi è sempre facile, soprattutto per via di una società che ci vuole sempre performanti e di successo. In passato, ero vittima anch’io di tali condizionamenti ma sto imparando pian piano a liberarmente.

Per molti anni, hai praticato danza classica e contemporanea. Si deve forse a ciò la tua accondiscendenza alla schiavitù della performazione? Dopotutto, l’hai praticata nel momento cruciale della tua vita, quello in cui gettavi le basi della donna che saresti stata.

Gli anni della danza mi hanno influenzato per quanto concerne sia rigore sia la dedizione al lavoro.

Da un certo punto di vista, è stato anche un bene perché, nonostante le avversità o le difficoltà, impari a perseverare fino al raggiungimento di un obiettivo. Ciò per chi fa un lavoro come mio io, ahimè, conta: mi muovo in un ambito in cui su dieci provini, se va bene, ottieni un solo sì e, quindi, sei chiamato ad andare avanti a dispetto dei limiti.

Dall’altro punto di vista, la danza  mi ha resa una stacanovista e ciò non sempre è positivo: nella vita di una persona, non deve esserci solo il lavoro e la sua ottima riuscita… bisogna anche concedersi la possibilità di sbagliare e di non essere sempre necessariamente al top.

A somme tirate, però, credo che la danza mi abbia influenzato più positivamente che negativamente. L’arte, in ogni sua forma, è sempre stata per me una forma di salvezza: andare a lezioni di danza era gioia, al di là del turbamento per il risultato finale. E ricordiamoci che la gioia non deve mancare mai nel nostro lavoro, in qualsiasi ambito: quando l’angoscia prende il sopravvento, occorrerebbe fare un’analisi di se stessi o cambiare mestiere.

Rimaniamo per un attimo alla tua esperienza nel mondo della danza. Hai smesso di praticarla a causa di un infortunio e non di tua spontanea volontà. Hai vissuto quella decisione forzata come un piccolo o grande fallimento personale?

In parte, sì, come a volte mi è capitato di risperimentare nella mia vita. La danza, così come la musica, è un settore in cui è difficile affermarsi: si devono avere qualità e talenti incredibili per proseguire e fare una certa carriera, non si può prescindere da essi perché sono sono oggettivi. Per dirla in maniera pratica, non puoi sbagliare i passi così come non puoi sbagliare le note. Io ero a un buon livello professionale ma non credo che avrei mai fatto ulteriori step in avanti, ragione per cui in qualsiasi circostanza non mi sarei potuta mai pentita in futuro di non aver proseguito su quella strada.

È stato sicuramente un piccolo fallimento ma è stato anche motivo di riscatto: dentro di me, sapevo che forse non era quella strada. Mi piaceva molto far danza e probabilmente mi piacerebbe ancora ma non sarebbe mai potuto diventare il mio lavoro.

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Sperimentare è qualcosa che ti è sempre appartenuto: basta aprire la tua pagina Imdb per rendersi conto di quanta varietà ci sia nel tuo curriculum di attrice. In molti non lo ricordano ma le tue prime grandi esperienze da attrice sono state nel mondo delle dizi, quella serialità turca che oggi è letteralmente esplosa. Terminati gli studi di recitazione a Napoli e a Roma, ti ritrovi a diventare una star in una terra non tua. Come ti sentivi?

Non direi una star… star è qualcuno che ha raggiunto un certo livello di popolarità. Direi semmai che ero in voga in quel periodo. Il recitare in una lingua non mia da un lato mi ha liberata da tutta una serie di preoccupazione: recitando nella propria lingua, ci si giudica molto perché inevitabilmente la parola riconduce al pensiero e viceversa. In una lingua che non conosci alla perfezione, il giudizio diventa più soft ed è qualcosa che mi accade ancora oggi quando sono impegnata in progetti internazionali. Ciò ha anche un impatto rispetto al parere che il pubblico ha su di te: è più leggero e meno angosciante.

Ho un ricordo di quel periodo che è molto contrastante, soprattutto per quanto riguarda i primi tempi, quelli in cui mi ero appena trasferita: mi sentivo molto sola e molto sfiduciata. Ero al mio primo progetto da protagonista in turco, con un ruolo molto difficile e con dei tempi di realizzazione strettissimi. In quel caso, alla vigilia, veramente una grande paura di fallire, di non essere in grado di tenere sulle spalle l’enorme responsabilità che mi era stata affidata: non avevo ancora dalla mia l’esperienza.

Ero, dunque, molto preoccpata e vivevo poco la socialità: passavo le giornate a girare e a memorizzare la sera le battute che mi sarebbe servite l’indomani. Stavo quasi sempre chiusa in una stanza a studiare, senza avere il tempo di fare altro. La situazione si è alleggerita solo quando ho iniziato a conoscere meglio la lingua: è stato solo allora che ho cominciato a muovermi, a conoscere Istanbul e a crearmi una cerchia di amici e amiche turchi, facendo sì che tutto diventasse pian piano più bello e gradevole. Oggi lo possiamo definire come uno dei periodi più difficili ma anche più avventurosi della mia vita…

Come vincevi i momenti di solitudine? A cosa facevi appello per resistere?

Sono da sempre una persona molto emotiva e sensibile. E questo è motivo a volte anche di turbamento. Tuttavia, c’è sempre stata dentro di me una forza che mi ha portata a reagire. Non saprei nemmeno spiegare bene da chi mi è stata indotta, probabilmente è innata in me, ma so che mi ha spinta a reagire in maniera propositiva dopo una fase di abbattimento iniziale. Forse, in qualche modo è legata alla danza o alla vita in generale.

È la stessa forza che mi ha spinta a superare ogni avversità o al vivere, per esempio, il Natale da sola a Chisinau, in Moldavia, lontana dal mio mondo, da sola in un albergo a memorizzare le battute per il giorno dopo. Ero piccolissima, alla mia primissima esperienza, ma ce l’ho fatta, in qualche modo ne sono sempre venuta fuori.

La vogliamo definire la classica cazzimma napoletana?

La cazzimma non è solo dei napoletani, appartiene a tutti noi e ci aiuta a definirci. Credo di averne molta ma mai a discapito degli altri.

E molta te ne sarà servita per girare ad esempio al confine con il Kurdistan in un momento in cui la situazione politica tra il Paese e la Turchia era molto delicata. Non hai avuto paura?

Purtroppo, o per fortuna, quando si è molto giovani si vive in uno stato di incoscienza anche politico-sociale. Andrebbe in maniera molto diversa che me lo chiedessero oggi: mi farei sicuramente qualche domanda e qualche problema in più. Ma avevo ventun anni e un’estrema voglia di lavorare per quello che era un progetto molto significativo con un obiettivo altrettanto importante: la serie raccontava proprio dei conflitti tra curdi e turchi ma aveva un approccio pacifista sulla questione e non polemico, era portatrice di un messaggio forte e io ero felice di esserne parte. Ero sì spaventata ma non come probabilmente lo sarei oggi, che sono più consapevole delle questioni politiche in ballo.

Denise Capezza.
Denise Capezza.

La Marinella di Gomorra segna una pietra miliare nel tuo percorso e, con molta onestà, non credo ci possa essere molto altro ancora da aggiungere che non ti sia stato chiesto prima. Ragione per cui salto volutamente quel periodo del tuo percorso per chiederti invece com’è che si finisce in un film di David Cronenberg come Crimes of the Future?

Tra i pregi del mio lavoro in questo periodo storico c’è una maggiore apertura verso l’estero: per noi attori italiani ci sono più possibilità di lavorare anche oltreconfine. Per cui, grazie a ciò, anche un’attrice italiana e giovane, non necessariamente iper famosa, può arrivare a sostenere un provino con un maestro come Cronenberg.

Come spesso accade per i lavori internazionali, ho inviato il mio selftape, a cui sono seguiti un incontro online e la scelta finale per un personaggio che non aveva alcuna connotazione specifica: poteva provenire da tutta Europa. Non era un ruolo enorme ma era significativo per il film perché al centro di una scena con una simbologia e un’estetica molto particolare a cui il regista teneva molto.

È andata così anche per un altro progetto internazionale che, purtroppo, è saltato per motivi di permessi di lavoro: eravamo in piena epoca CoVid e ho dovuto rinunciare a un ruolo da protagonista.

Eppure, a differenza di molti altri, non hai pensato di urlare la notizia ai quattro venti…

C’è stata una parte della mia vita in cui, forse da idealista, credevo che tutto ciò che esulava dalla recitazione fosse accessorio, comprese anche le interviste. Puntavo solo sul lavoro in sé prima di rendermi conto che, nonostante i tantissimi ruoli interpretati, ci si ricordava di me solo per quei progetti che avevano riscontrato maggior successo. Mi capitava che la gente ma anche gli addetti ai lavori mi chiedessero “sì, ma poi che hai fatto?” ed era lì che ho capito quanto fosse un peccato che determinate cose si perdessero.

Come è accaduto un po’ a film come Un mondo in più di Luigi Pane, il primo che viene in mente quando si pensa a Denise Capezza attenta al sociale. La realtà che ci circonda sembra essere, alla luce anche di un progetto molto importante di cui fai parte e che vedremo prossimamente (The Place of Life di Maria Sole Tognazzi), qualcosa che ti interessa esplorare. Cosa ti porta ad accettare anche piccoli progetti che hanno in sé tanto di valoriale?

La risposta è un’altra domanda: cosa mi dovrebbe spingere a non accettarli? Contengono tutto quello che, secondo me, un artista di utile può fare per la società. Spesso, com’è anche giusto che sia, ci troviamo anche a interpretare personaggi che non sono propriamente portatori di messaggi importanti ma per fortuna accade anche che l’artisticità combaci con qualcosa di sociale che va raccontato o sottolineato.

Ma magari ce ne fossero di più di progetti valoriali: ci si sentirebbe doppiamente utili, potremmo mettere il nostro talento e le nostre capacità al servizio di qualcosa di più grande di noi con una forte valenza sociale. Come mi è capitato ad esempio con Unwanted, la serie Sky che parla di immigrazione raccontando di eventi ai quali stiamo tutti quanti assistendo senza polarizzare le parti in causa e rendere gli immigrati tutti santi e i croceristi tutti delinquenti: la realtà è molto più complessa e difficile da decifrare.

Maria Sole Tognazzi, Pappi Corsicato, Andrea De Sica e Giulia Steigerwalt sono i nomi dei registi di alcuni dei prossimi progetti che ti vedranno protagonista. Sono tutti autori di un certo peso: cosa pensi che vedano in te per sceglierti e volerti nelle loro squadre?

È una domanda complessa perché non vorrei peccare di presunzione…

Non sei tu che te la canti e che te la suoni: te lo sto chiedendo io.

Pensando nello specifico ai progetti, si tratta di film e serie tv in cui interpreto ruoli tra loro molto diversi, che necessitavano o di un’estetica particolare o di grande forza comunicativa. Con De Sica, con cui ho già lavorato in passato, ho sperimentato due personaggi che non hanno nulla in comune. Per cui, di getto, mi viene da rispondere che probabilmente notano in me la versatilità ma anche la professionalità e l’affidabilità. E, perché no, in parte anche il talento.

Denise Capezza nel film Un mondo in più.
Denise Capezza nel film Un mondo in più.

Stiamo vivendo un periodo di grandi revival e ritorni soprattutto per la serialità televisiva. Se avessi la possibilità di riprendere un personaggio da te interpretato di cui consideri la parabola non ancora conclusa, quale sarebbe?

Ce ne sono diversi che secondo me avevano un potenziale che non è stato sviluppato a pieno. Se torniamo agli albori, direi sicuramente il personaggio di Marinella in Gomorra perché è rimasto un po’ in sospeso. Ma ci sarebbe anche la Giuseppina di Bang Bang Baby, un progetto che ho amato follemente e che mi permetteva di calarmi nei panni di un personaggio divertentissimo e drammatico allo stesso tempo: in questo caso, pur volendo, non potrei avere la possibilità di rifare una seconda stagione dal momento che la sua parabola si conclude con la morte.

Ma se dovessi esprimere un desiderio sarebbe quello di poter interpretare un personaggio con la possibilità di viverlo per un bel po’, per il tempo sufficiente ad arrivarci e a capirlo fino in fondo. Spesso per via delle tempistiche o della coralità mi rendo conto che determinati personaggi non si approfondiscono pienamente lasciando dei vuoti da colmare mentre a me piacerebbe capirli fino in fondo. Anche perché, se escludiamo l’avvocatessa Alessandra Persiano di Vincenzo Malinconico, mi sono trovata sempre a raccontare delle storie al limite… ecco, mi piacerebbe semmai interpretare una donna comune, una madre o una lavoratrice dei nostri giorni perché a volte è proprio nella normalità che si nasconde l’eccezionalità.

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Nella vita privata, hai sposato lo scorso anno un collega, l’attore Michele Rosiello. È facile convivere in casa con un altro attore?

Lo è perché sono stata forse fortunata. Ho un uomo al mio fianco che, pur essendo un attore, non  egoriferito. Non è vero che le due cose debbano per forza marciare di pari passo, anzi… spesso gli attori migliori che ho incontrato durante il mio cammino sono quelli che non hanno un ego stratosferico. Mi è capitato anche di incontrare attori molto talentuosi con un eco altrettanto grande ma in qualche modo era sempre come se mancasse loro qualcosa: la recitazione è un dare e avere e, di conseguenza, quando sei ego riferito non arrivi al pubblico a 360°, come potresti invece fare se solo lasciassi andare quella parte di te.

Dal 29 luglio ti vedremo anche nella serie Prime Video Sul più bello. Ti sei divertita su quel set?

Molto, perché sono riuscita a convivere con ragazzi che avevano più o meno la mia stessa età. Nel mio percorso, mi sono trovata spesso a condividere il set con attori o molto più grandi di me o molto più piccoli. Non ho mai conosciuto le vie di mezzo mentre stare questa volta con dei coetanei o quasi, compresa la regista, per un periodo di tempo prolungato mi ha fatto stare bene. Ma siamo stati così bene insieme che sono venuti anche al mio matrimonio!

Denise Capezza nella serie tv Sul più bello.
Denise Capezza nella serie tv Sul più bello.
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