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L’identità femminile negata dal nazismo nel film di Rai 5

Bocche inutili, il film di Claudio Uberti trasmesso da Rai 5, racconta di un gruppo di donne che, in un lager nazista, vedono la loro identità martoriata e quasi annullata. Un tema che ieri come oggi è di fondamentale importanza per un mondo che vuole essere solidale e inclusivo.

Bocche inutili è l'ultimo film di Claudio Uberti proposto da Rai 5 il 22 gennaio per la Giornata della Memoria. E Bocche inutili è un film di memoria, liberazione, resistenza e resilienza, contro gli orrori del nazismo (e in scala di tutte le guerre). È narrato da un punto di vista particolare: quello delle donne, e non è poco.

Al centro di Bocche inutili, film su Rai 5, sceneggiato dallo stesso regista con Francesca Nodari e Francesca Romana Massaro, c’è Ester, una quarantenne ebrea deportata nel campo di concentramento di Ravensbrück nel 1944, a pochi mesi dalla fine della Seconda guerra mondiale. Nel lager di detenzione, Ester realizza di essere incinta e di dover proteggere la nascita del suo bambino a tutti i costi. Solo portandolo alla luce, può tornare a sperare in qualcosa. L’aiuteranno un gruppo di donne. Messe da parte diffidenze e gelosie, diventeranno il simbolo di una solidarietà femminile, forte e sincera, anche nella peggiore delle situazioni.

Il limbo di Fossoli

Esistono molti film che raccontano gli orrori della Shoah, le atrocità della Seconda guerra mondiale e la follia nazista. Ne esistono però pochissimi che scelgono di farlo da una prospettiva femminile. Figlio indiretto di La scelta di Sophie per sensibilità, Bocche inutili in onda su Rai 5 è un film che va necessariamente visto. Perché? Per comprendere come le differenze di genere, tema caldo ancora oggi, causassero disparità di trattamento e condizioni anche ottant’anni fa.

Il corpo delle donne, a differenza di quello degli uomini, è più fragile agli occhi del nemico. La forza fisica non è la stessa. Ma a compensare la differenza biologica ci pensa il grado di resistenza, l’attaccamento alla vita, che una donna manifesta nel momento in cui ha in grembo un’altra vita.

Lo racconta bene la storia di Ester. Scampata al rastrellamento del quartiere ebraico della sua città, Ester arriva al campo di concentramento per ebrei della Repubblica Sociale Italiana di Fossoli, una frazione di Carpi, nella provincia modenese. Il campo è utilizzato dalle forze delle SS come deposito di esseri umani in attesa di essere inviati nei lager e nei campi di sterminio del Reich.

Ester ha quarant’anni, è stata venduta per pochi spicci da una delatrice che doveva essere la sua ancora di salvezza. Sin da subito, ha davanti a sé una realtà che mina la sua dignità di persona, di donna. Ed è testimone del processo di brutalizzazione che viene attuato nei confronti di chi, per biologia, è destinato a dare vita a nuove generazioni di ebrei. La politica nazista poco tollera infatti le donne ebree, considerandole come un pericolo per il futuro: il piano di pulizia razziale ha in loro il maggiore degli ostacoli. Resistere è l’unico mezzo per sopravvivere e non cedere all’inferno. Occorre guardare al presente ed Ester lo impara da Ada, un’ebrea convertitasi al cristianesimo. La rivoluzione morale sarebbe auspicabile ma non è fattibile in un posto in cui anche solo respirare, fiatare, è un reato.

Basta poco tempo a Fossoli per far sì che Ester conosca una realtà fatta di stenti e scomparsa dell’umanità stessa. Una realtà che è ben poca cosa di fronte alla miseria e al dolore che, qualche settimana dopo, incontra a Ravensbrück.

Bocche inutili: Foto di Federica Pierpaoli

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L’inferno di Ravensbrück

Con l’arrivo di Ester nel campo di concentramento di Ravensbrück il 14 agosto 1944, Bocche inutili diventa quel film necessario che tutti aspettavamo. L’attenzione della sceneggiatura si rivolge alla condizione femminile all’interno dei lager senza fare sconto alcuno. Basandosi su documenti e testimonianze reali di donne sopravvissute all’Olocausto, Uberti realizza con Bocche inutili, in onda su Rai 5, un film dolente e potente.

Il corpo delle donne diventa prigione nella prigione. Con l’abbandono degli abiti a favore della triste divisa a righe e con il taglio di capelli che uniforma ogni bellezza, le donne si vedono private del loro ultimo contatto con il mondo esterno. Lo stesso corpo finisce per il non appartenerle, in balia ora di chi le vuole forza lavoro o di chi le usa per proprio piacimento personale. Non ci sono tenerezza o compassione. Le SS, uomini o donne che siano, non mostrano un briciolo di umanità ma solo lucida follia nel seguire i diktat di chi le ha formate.

Si ripetono gli stupri. E poco importa che la vittima sia ad esempio Giuliana, un’adolescente non ancora donna che per il trauma si chiude in un sordo mutismo. E si ripetono le violenze di ogni tipo. Calci, frustrate e punizioni corporee di ogni tipo nei confronti di tutte coloro che per un attimo osano alzare la testa e dire no.

In quel microcosmo putrido, disumano e alienante circondato da urla, colpi di fucili e abbaio dei cani, Ester incontra le sue compagne di detenzione. C’è la già citata Giuliana, c’è Lia (un’ariana la cui colpa è quella di amare un ebreo) e ci sono Bianca Maria e Andra (legate dall’idea di un piano di fuga).

È nella loro vicinanza, nella loro idea di condivisione e nella loro forza d’animo che Ester trova pian piano una piccola famiglia, una volta vinte le diffidenze iniziali.

Bocche inutili: Foto di Xiao Duan

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Un’inattesa maternità

Nell’inferno del lager, una luce entra di soppiatto nella quotidianità di Ester. È incinta. Attende un bambino a cui dedica costantemente i suoi pensieri, le sue riflessioni e la sua voglia di farcela. Come un piccolo scoglio, cresce dentro la sua pancia. Non importa che l’ombra della morte gli passi sempre accanto, attraverso le fattezze dell’SS Dorothea o quelle di un ufficiale troppo ligio ai suoi ardori lombari.

La femminilità negata dal nazismo è ben resa da Bocche inutili, il film di Claudio Uberti su Rai 5 il 22 gennaio. Nel lager, a tutte le donne incinte si praticano aborti e, nel caso, un bambino nasca viene affogato, non senza supplizio, nell’acqua. Ester deve dunque mantenere il suo segreto, fino a quando il suo fisico le farà da complice. Ci sarà un momento in cui non potrà più farlo ma ci penserà quando accadrà. Tra i giacigli freddi e improvvisati in cui un ebreo non ha nemmeno il diritto di essere, Ester trova prima di tutto la solidarietà e l’amicizia di Lia. A lei confessa il suo segreto e non sbaglia. Lia si rivela una valida confidente, amica, sorella e mamma, disposta anche a pagare con la sua stessa vita la protezione di quella creatura.

Il nascituro, al pari delle luci di Hanukkah, porta un nuovo bagliore di speranza nel casermone. Tra fame, fatica, sete e dolore, le cinque donne imparano pian piano a fare gruppo, a scoprirsi unite nonostante le differenze e le discrepanze. Vivere o morire con dignità sono le uniche soluzioni che considerano. La vita del bambino è l’unica cosa che ha un senso.

Accoglienza e protezione imperano nell’alloggio mentre fuori dalla finestra, vera membrana di separazione tra due mondi, regna il terrore e l’assenza della più nobile delle virtù cristiane, la misericordia. Il ricordo di quell’esperienza fuori da ogni visione di Dio deve essere mantenuto vivo: dimenticare è il più grande degli errori che si possa fare. E così Ester comincia a raccogliere in una gavetta dei ricordi per quella creatura che verrà e che si chiamerà Sissel (come Sissel Vogelmann, morta nel campo di concentramento di Auschwitz a 8 anni e 5 mesi).

Bocche inutili: Foto di Xiao Duan

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Un film potente e necessario

Il film di Rai 5 Bocche inutili è un’opera potente e visivamente dolorosa. Non è un blockbuster e ai potenti mezzi scenici preferisce il cuore della storia raccontata. Ma, con la direzione della fotografia di Nino Celeste, il montaggio di Marco Guelfi, la scenografia di Paolo Innocenzi, i costumi di Magda Accolti Gil e le musiche originali di Andrea Guerra, non sfigura di fronte a produzioni più ricche e sfarzose.

La storia e la sua regia attenta, del resto, non prevedevano nessun effetto speciale. A sbalordire bastano la messa in scena, che ne fa quasi un dramma da camera, e una sceneggiatura che si muove come una macchina bel oleata. Il mondo narrativo è diviso tra un dentro, sempre in primo piano, e un fuori che diventa non detto. Non occorre mostrare l’orrore, si conosce ed è nella memoria collettiva, soprattutto in un momento storico come quello che viviamo. Il nazismo, così come le guerre in generale, non meritano che vengano sottolineati i loro orrori: sono già dentro di noi.

Il tema della femminilità negata fa da filo conduttore ed è innegabile che assume forza grazie a un nutrito cast di attrici che ben restituiscono la chiusura e la violenza subite dai loro personaggi. Margot Sikabonyi, resa celebre dalla serie tv Un medico in famiglia, ha forse il ruolo della sua vita e ricorda moltissimo la caparbietà di una giovanissima Meryl Streep (nel già citato La scelta di Sophie). Ma non da meno sono le rese delle altre quattro attrici che la attorniano: un’impagabile Lorenza Indovina nei panni di Lia, madre dolorosa e addolorata destinata a uno degli esperimenti condotti dai medici del regime, Morena Gentile in quelli di Andra (dalla bellezza mortificata e annientata), Anna Gargano come Bianca Maria (il cui corpo somatizza gli orrori vissuti) e della sorprendente Nina Torresi, matura come non mai nell’esprimere il dolore di Giuliana.

Dulcis in fundo, una menzione particolare meritano altre due attrici: Patrizia Loreti con la sua Ada e Sara Zanier, nei panni della terrificante ufficiale delle SS Dorothea.

Non occorre, infine, sottolineare come in un’operazione di trasposizione, il film Bocche inutili parli di passato per parlare al presente e al futuro. Fino a quando l’identità femminile sarà martoriata da una cultura maschilista che fatica a scemare? Fino a quando le guerre ci obnubileranno?

Bocche inutili: Foto

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Nota a margine

Per gli straordinari scatti esclusivi di Bocche inutili che accompagnano il post, si ringrazia l’ufficio stampa Reggi & Spizzichino Communication.

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