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Barriera: “Tra ologramma e psicodramma, cerco nuova consapevolezza” – Intervista esclusiva al cantautore

barriera olodramma
Barriera, giovane cantautore casertano, ha appena pubblicato l’album Olodramma, dieci tracce in cui si confronta con la difficoltà delle relazioni umane e la ricerca di conforto nel cyberspazio. Lo abbiamo intervistato in esclusiva.

Essere virtuali per non sentirsi solo: è questo a grandi linee il pensiero che si cela dietro a Olodramma (Il Piccio Records), il primo album pubblicato da Barriera, giovane cantautore casertano.

Prodotto da Blindur e Stefanelli, Olodramma ci porta dentro all’esperienza di Barriera, al secolo Valerio Casanova, un’esperienza che può essere simili a molti di noi. Chi di noi, pur di non sentire il dolore e la solitudine, non ha mai pensato di scomparire nel virtuale, abbandonando il proprio corpo e la propria realtà?

Nasce, dunque, da un’esigenza personalissima di Barriera il suo Olodramma, un album che sin dal titolo – come scherza il cantautore nel corso di quest’intervista esclusiva – è la perfetta crasi di ologramma e psicodramma. Olodramma contiene dieci tracce che si muovono in un mondo di fantasmi digitali e che, attraverso l’elaborazione della fine di un amore vissuto da Barriera in prima persona, si interrogano sulle dinamiche delle relazioni umane nell’era di internet.

Ma di psicodrammi, come li chiama lui, Barriera ne racconta tanti in Olodramma: le nevrosi urbane, le app di dating, il rapporto con la morte ma anche quello con i genitori, la psicoterapia. Ma ogni parola è fuori luogo nel presentare il mondo di Barriera, un giovane che non nasconde le sue fragilità mettendole in piazza e ricercando nuova consapevolezza.

Barriera.
Barriera.

Intervista esclusiva a Barriera

Olodramma, il titolo del tuo primo album, è una crasi delle parole ologramma e dramma. Perché hai voluto chiamarlo così?

Per me è una crasi tra ologramma e psicodramma! Il disco è come se fosse una rappresentazione in musica di alcuni passaggi difficili della mia vita e di alcuni aspetti irrisolti. È come se avessi provato a metterli in musica per arrivare a una sorta di catarsi. Utilizzo l’immaginario del mondo digitale per raccontare il periodo molto scuro in cui sono nate le canzoni perché è come se in quel momento io mi fossi un po’ perso nell’universo virtuale, come se fossi diventato un ologramma.

Da un certo punto di vista, è stato come qualcosa che ricercavo. Da sempre ho un rapporto molto stretto con il digitale. Sin da piccolo, ho abitato internet in maniera convinta, anche quando era ancora agli arbori e gli altri lo vedevano con sospetto. Rispetto ai miei coetanei, mi sono sempre mosso agilmente in quell’universo virtuale che mi ha dato tanto: senza internet, non avrei fatto e non farei nulla. Mi ha dato tante risorse e da bambino un po’ nerd mi permetteva di entrare in un mondo dove c’erano regole tutte diverse. Non c’era, ad esempio, il corpo: per una persona introversa come me, è sempre difficile gestire il rapporto con il proprio corpo.

La mia attrazione per il web è diventata un po’ pericolosa quando all’incirca tre anni fa ho attraversato il momento difficile che ha dato vita alle canzoni. Ho cominciato a usare il virtuale per fuggire dai miei problemi ma ciò mi ha portato a esplorare degli angoli un po’ più scuri.

Lo hai appena nominato: il rapporto con il tuo corpo. Solitamente è un argomento che si affronta con le donne come se gli uomini non avessero problemi con il loro corpo o rapporti complessi con esso, vivendolo in maniera più superficiale.

Si chiede alle donne perché loro solitamente rispondono. Gli uomini facciamo un po’ più fatica a parlarne. Il rapporto con il mio corpo è sempre conflittuale tanto che mi sono chiesto diverse volte se mostrarmi o meno per la promozione del disco. Alla fine, ho deciso di mettermi in gioco ma non è stato semplice. Ho dovuto riconoscere che è qualcosa da risolvere o, comunque, da problematizzare: devo accettare il mio corpo e la sua presenza nel mondo reale.

I problemi di accettazione sono autoindotti o eteroindotti?

Domanda molto complessa. Bisognerebbe capire quanto gli altri abbiano influito con le loro proiezioni su di me e quanto invece sia io a crearmi dei problemi. So soltanto che, in passato, i problemi erano tra me e me, non riuscivo a capire se fossi influenzato dalle visioni altrui. Con il tempo, invece, ho capito che i miei problemi hanno origine da u mix delle due cose.

Ho sempre avuto un rapporto difficile con la mia fisicità. Sono sempre stato sovrappeso e probabilmente ho introiettato dei giudizi a cui, quando ero molto piccolo, non prestavo molta attenzione. Torno a ripetere che sarebbe riduttivo dire che è colpa solo delle pressioni della società. Crescendo, sto provando a rimettermi in discussione: è una questione di crescita personale, devo decostruire ciò che non va per capire chi sono. Credo di essere a un buon punto del percorso, sicuramente a un punto migliore rispetto a quando ho scritto Olodramma.

Non fai mistero del fatto che Olodramma nasce da ciò che ha scardinato in te la fine di una relazione. È stata una chiusura che ha comportato una serie di scombussolamenti psicologici. Ha rappresentato per te la fine di una certezza, di un appiglio a cui aggrapparti?

L’obiettivo del disco era arrivare a rinunciare a quella certezza. La fine di una relazione è anche un problema di adattamento. È un po’ come nell’elaborazione di un lutto, fase in cui quella certezza la si vive ancora. Ero certo di non poter rinunciare al fatto che ero innamorato di quella persona ma, a un certo punto, ho dovuto capire di non avere più certezze.

Per ricostruire te stesso sei ricorso all’aiuto della psicoterapia. Quanto tempo ti ci è voluto per capire che soffrivi di ansia e depressione?

C’è voluto molto tempo. Non tanto per parlarne con uno psicoterapeuta ma proprio per decidere di andarci. Sebbene io sia una persona tendenzialmente aperta su tante questioni, avrei avuto bisogno di andare in terapia molto tempo prima rispetto a quando sono andato. Negli anni, mi sono ripetuto diverse volte e in fasi differenti della mia vita che sarei dovuto andare in terapia ma ho sempre rimandato. Ho dovuto provare realmente paura per me stesso prima di farlo.

Col senno di poi, sono consapevole di esserci arrivato tardi: probabilmente, se avessi trovato tutto più normalizzato, sarebbe stato più facile per me decidere di andarci prima. Vivevo in un contesto come quello della provincia casertana in cui certi temi erano meno battuti e rappresentavano un tabù. Forse oggi è un po’ diverso ma fino a qualche anno fa nessuno parlava di ansia o depressione. Determinati argomenti non erano mai oggetto di discussione o di confronto.

Barriera.
Barriera.

Tra gli argomenti che affronti nelle tue canzoni ci sono anche il sexting e il ghosting, due parole di cui tutti abbiamo imparato il significato negli ultimi anni. 

Nel viaggio negli abissi del virtuale mi sono imbattuto nel mondo delle dating app, a cui non ero mai approdato prima e a cui non mi ero mai interessato con così tanta dedizione e frequenza. In un momento di estrema solitudine come quello che vivevo, le app di dating rappresentavano ogni giorno una scommessa: quella di non essere più solo. Uso il termine scommessa in maniera consapevole perché spiega bene quello che avviene su quelle applicazioni.

Ho cominciato allora a vivere le relazioni virtuali, favorite nel frattempo dall’emergenza CoVid e da tutte le restrizioni. Quasi tutte culminavano nel sexting o nel ghosting: la persona che sta dall’altro lato, fino a quando non capita che la incontri, non ti sembra nemmeno reale. E quest’illusione è tale che alla fine decide anche di tagliare tutti i ponti da un momento all’altro senza alcun preavviso.

Quello di cui mi sono reso conto però è che dietro alle dating app si nascondono molte persone sole. Ho trovato un sacco di umanità e ho incrociato tante storie che, in un momento di vulnerabilità come quello che vivevo, erano altrettanto vulnerabili. Tutti fantasmi alla ricerca di un senso di contatto.

Sparsi nelle canzoni di Olodramma ci sono vari nomi femminili. Ma non c’è mai quello di colei che ha scatenato tale crisi in te. Non ti avrebbe aiutato a esorcizzarla cantando il nome?

Ho valutato la questione fino alla fine. C’erano ovviamente delle canzoni in cui ne parlavo apertamente ma alla fine ho deciso di lasciarla fuori. È giusto così. Olodramma parla di fantasmi e lei è stata per tutto il disco un fantasma. Un fantasma che è ancora in parte presente nella mia vita non tanto in quanto lei ma tanto come qualcuno che ritorna dal passato.

C’è tuttavia una canzone che in qualche modo rende il suo nome: Semivocale. Sono sempre stato affascinato dal potere che hanno i nomi nella cultura ebraica, nella Cabala, dove ogni singolo fonema può diventare una porta per il trascendente, per qualcosa di misterioso. E l’amore per me è qualcosa di misterioso, di cui non sarebbe meglio non pronunciare il nome o tenerlo segreto. È qualcosa di estremamente privato, una connessione intima tra due persone.

Quanto ha pesato nella concezione che hai dell’amore ciò che hai vissuto da bambino? I tuoi genitori si sono separati molto tempo prima che tuo padre morisse. Quanto ha pesato il non aver avuto una famiglia da Mulino Bianco?

È la domanda che porto in terapia tutte le settimane. È il fulcro di tutto ciò che è venuto dopo. Ha inciso tantissimo, quanto di preciso ancora non lo so. Il mio è stato comunque un passato fatto di abbandoni e ciò inevitabilmente si è riversato nelle mie relazioni: ho vissuto delle storie d’amore che sono sfociate in abbandoni e solo a ritroso ho capito che devo lavorarci sopra. I nodi del passato ti accompagnano fino a quando non li hai sciolti del tutto.

Di relazioni parli anche in Deserto rosso, un titolo à la Michelangelo Antonioni, con un testo molto duro.

Deserto rosso è una delle canzoni più vecchie del disco ed è una canzone per me d’amore, scritta per colei che alla fine è ancora presente come fantasma. Quello che percepisci come un testo duro per me doveva significare la massima espressione dell’amore. Perché, comunque, per me l’amore è legato in maniera inestricabile alla violenza e alla visceralità dei sentimenti, è una messa a nudo.

Nel testo, scrivi “venti anni fa è cambiato tutto”. Cosa si cela dietro questa frase così enigmatica?

Vivo in uno stato di perenne nostalgia che nasce dalla sensazione di aver perso qualcosa di molto prezioso. Sicuramente ha origini dalla situazione vissuta dai miei genitori o dal rapporto che ho avuto con mio padre fin quando è stato in vita. Ma non riesco a ridurlo solo a quello: c’è qualcosa di più impalpabile che non riesco ancora a definire.

Sei anche un filmmaker. Come coniughi l’essere un musicista e un regista?

Per me sono cinema e musica sono la stessa cosa, hanno una fortissima continuità. Sono una persona multi potenziale, tendo a fare un milione di cose per poi non concretizzarle del tutto. Musica e cinema convivono insieme e ho sempre cercato di coniugarle realizzando molti videoclip. Sono un appassionato di tutta la musica filmata che si può vedere in giro e non riesco a scindere le due arti.

Barriera.
Barriera.
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