Dalla striscia di Gaza le storie di due donne che aprono la strada all’emancipazione femminile

Nella striscia di Gaza, in un territorio ferito e sovraffollato, considerato la più grande prigione del mondo per le forti restrizioni alla mobilità imposte da Israele, le donne subiscono una doppia oppressione: quella dell’occupazione israeliana e quella di una società patriarcale e conservatrice che restringe i loro diritti, in alcuni casi fino ad annullarli. È qui che numerose associazioni operano per aiutarle ad affermare la propria indipendenza

All’università rappresentano la maggioranza degli studenti, eppure, una volta laureate trovare lavoro diventa un’impresa quasi impossibile. Le donne gazawe affrontano quotidianamente repressioni e discriminazioni di genere nell’ombra dei traumi della guerra. Qualcosa, però, sta cambiando: proprio lo scorso giugno, infatti, le voci delle donne di sette associazioni palestinesi si sono intrecciate a quelle di alcune giornaliste e attiviste italiane in occasione del primo Forum Internazionale delle Donne, organizzato da Gaza Freestyle in collaborazione con il centro VIK e con la Casa delle Donne di Roma. Tre giorni di incontri, talk e workshop dedicati alle tematiche di genere, alla salute, ai diritti delle donne e alla lotta al patriarcato.

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A contribuire alla costruzione dell’emancipazione femminile nella striscia di Gaza è anche COSPE, associazione senza scopo di lucro attiva in 25 Paesi del mondo per diffondere i diritti e la giustizia sociale, che attraverso il progetto Gender Equality in the Economic Sphere: Our Right, Our Priority in Palestina offre supporto e diffonde la voce delle donne che vogliono affermare la propria indipendenza. Nel contesto di questo progetto, COSPE ha raccolto le storie di due donne determinate a emanciparsi attraverso la loro professione: Rimah Jihad Atallah Al-Behissi e Naela Ali Faheem Abu Jiba. Due pioniere in campi diversissimi tra loro, che ogni giorno sfidano pregiudizi e stereotipi affermando la propria libertà.

20 anni, Rimah Jihad Atallah Al-Behissi ha studiato design, grafica e tecnico dell'energia solare presso il Gaza training college. Durante gli studi ha lavorato per l'azienda Alfa Hamada ed è stata incoraggiata a specializzarsi nel campo dell'energia solare grazie a un'opportunità di lavoro presso la Renewable Power Company. «Quando mi sono iscritta al corso di specializzazione in tecnica dell'energia solare, non ero a conoscenza dei dettagli della specializzazione e della difficoltà del settore, e nemmeno della natura di questo lavoro. Pensavo che si trattasse di una specializzazione accademica. All'inizio volevo abbandonare, ma mia madre mi ha incoraggiata e ha insistito perché completassi la specializzazione. Così ho proseguito gli studi fino alla laurea con lode», racconta. Oggi Rimah in azienda si occupa delle mansioni più varie, anche quelle tradizionalmente maschili: dal trasporto di grandi batterie e celle solari fino all'arrampicata sulle pareti, passando per la saldatura e la posa dei cavi.

Ho imparato ad amare il mio lavoro e sogno di continuare a lavorare in questo campo nonostante sia esposta alle critiche della mia comunità, delle persone che mi circondano e dei parenti. Temo che in futuro mi faranno pressione affinché lasci questa professione a causa di usi e costumi locali

A rendere tutto ancora più difficile è stata poi la pandemia di Covid-19: il coprifuoco notturno durante la pandemia, a partire dalle 18, la costringeva a interrompere il lavoro impedendole di tornare a casa. «Mi sento orgogliosa di me stessa. Ho ricevuto richieste per lavorare a riparazioni e installazioni di elettricità all'interno delle case, soprattutto da famiglie sostenute da donne, dove non ci sono uomini. Me lo chiedono personalmente».

Lavorando in stretto contatto con gli uomini, Rimah ha dato il via a una piccola grande rivoluzione nella percezione del lavoro femminile, incoraggiando anche donne e ragazze a istruirsi, a lavorare e a intraprendere studi in campi difficili e non convenzionali. «Sono riuscita ad acquisire fiducia in me stessa e nel fatto di non aver bisogno dell'aiuto di nessuno. Ho fatto in modo che mi rispettassero e che avessero un'opinione positiva delle donne in generale».

Adesso Rimah sogna di mettersi in proprio e avviare un progetto insieme ad altre lavoratrici qualificate, oltre che di continuare a impegnarsi per cambiare costumi e tradizioni e la percezione negativa delle donne lavoratrici nella società.

Naela Ali Faheem Abu Jib. In apertura: Rimah Jihad Atallah Al-Behissi
Naela Ali Faheem Abu Jib. In apertura: Rimah Jihad Atallah Al-Behissi

Una storia diversa, eppure contraddistinta dalla stessa determinazione, è quella di Naela Ali Faheem Abu Jib, 40 anni, sposata e con cinque figli. Laureata in servizi sociali e con un passato da formatrice, ha tenuto corsi di primo soccorso ed è stata candidata alle elezioni parlamentari del 2021 nella lista "Karamti" (la mia dignità).

Oggi Naela è un’autista delle donne: un business di grande successo e in piena espansione. «Mio padre ha sostenuto economicamente me e i miei figli fino alla sua morte. Con la sua eredità, ho costruito una casa, affrontato le spese per il matrimonio di mio figlio maggiore e ho comprato un'auto per me», racconta.

L’idea di intraprendere questo percorso è nata in un salone di bellezza. Naela aveva accompagnato delle amiche e sentiva i discorsi delle clienti: molte si lamentavano di non avere un’auto e non si fidavano a farsi accompagnare da altri uomini

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È così che decide di diventare una tassista e di trasportare le donne. «Ho cercato clienti tra le impiegate, le lavoratrici, le insegnanti del settore pubblico e privato e tra le studentesse. Ho stampato dei biglietti da visita e li ho distribuiti nei negozi di donne, soprattutto parrucchieri e scuole. Una giornalista, cliente della mia amica parrucchiera, ha trovato il biglietto e mi ha chiamato. Mi ha fatto un'intervista e i miei servizi sono diventati noti. Così sono arrivata ad avere un'attività indipendente».

Parallelamente a questo nuovo lavoro, Naela ha continuato a mandare avanti la casa e a occuparsi dei figli, ma essere accettata in questo ruolo di donna lavoratrice non è stato facile. «Gli ostacoli che ho dovuto affrontare provenivano dalla mia famiglia e dalla società, e la questione [del mio lavoro come autista] era legata al nome della mia famiglia nella Striscia di Gaza, che mi ha fatto molte pressioni affinché lasciassi il mio lavoro».

Anche per lei, durante la pandemia, non è stato facile. Oggi però Naela adesso sogna di aprire una cooperativa di tassiste. «All'inizio, quando ho annunciato il progetto, ho avuto subito tanti riscontri, l'incoraggiamento e l’interesse di tante donne che avevano la patente di guida e possedevano un'auto propria. Poi, mi ha sorpreso la loro riluttanza a partecipare, a causa della timidezza e dei commenti della gente, o perché la loro famiglia glielo ha impedito». Naela però non si arrende:

Credo che il lavoro non sia vergognoso, anche se non convenzionale per le donne. Sarebbe sbagliato non continuare. Devo affrontare le difficoltà e assumermi le responsabilità per poter emancipare a livello economico, finanziario e morale molte altre donne

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