Nadia Lauricella: la vita, l’impegno e la determinazione di una “Iron Woman”

Attivista e influencer, Nadia Lauricella ha dimostrato che la volontà è più forte di qualsiasi disabilità, e ora è impegnata in attività benefiche e di divulgazione culturale. “Se vi dicono che non potete fare qualcosa, voi prendetela come una sfida e dimostrate il contrario”

Mentre racconta la sua storia, Nadia Lauricella parla a cuore aperto. E lo fa rivelando tutta la forza costruita nel tempo, la corazza che, insieme alla protesi che lei definisce “la mia armatura”, le ha infuso la determinazione di andare oltre. Oltre alla piccolezza di pensiero, i pregiudizi, gli stereotipi antichi.

28 anni, di Racalmuto, in provincia di Agrigento, Nadia è nata senza braccia e con le gambe solo parzialmente sviluppate. Una disabilità che ha saputo e voluto trasformare in altro, in una ferrea risolutezza a dimostrare che chi le diceva “non puoi farlo” si sbagliava enormemente. E difatti, così è stato.

Attivissima sui social, Nadia è diventata il volto di una rivincita gentile, raggiunta attraverso un grande lavoro su se stessa – “lo sport è stato al centro del mio cambiamento” – e un impegno concreto per diffondere conoscenza e consapevolezza su cosa sia la disabilità. Oggi, Nadia alterna l’attività di divulgazione a quella in qualità di vicepresidente dell’associazione no-profit MotorLife, che promuove la mototerapia per regalare un’esperienza unica a bambini e ragazzi disabili.

Con lei abbiamo parlato del suo percorso di vita, di stereotipi e dell’importanza di attuare politiche che promuovano una reale inclusione delle persone disabili.

Quando hai deciso che non volevi più accettare l’etichetta della “ragazza che non poteva fare niente”?

Diciamo che questo tipo di pregiudizio non l’ho mai accettato, piuttosto l’ho sempre subito. Poi, circa sei anni fa, ho capito che volevo fare qualcosa per me stessa e ribaltare questa situazione. Dopo tanti anni che avevo deciso di rifiutare le protesi, ho deciso di rimettermi in piedi. Sia nel vero senso della parola, tornando a indossare la protesi, che metaforicamente, rimettendomi in gioco a 360 gradi. Iniziai, un po’ per caso, a pubblicare video e post sui social quando facevo fisioterapia oppure quando mettevo la protesi. Notai che tante persone iniziavano a vedere chi ero veramente, non per la mia disabilità, ma per la mia persona. Da qui iniziò la svolta. Tanti si sono appassionati alla mia storia e al mio desiderio di rinascita. Grazie ai social, ho potuto mostrare chi era la vera Nadia e non l’idea che le persone avevano di me.

Hai raccontato che ancora oggi, purtroppo, la disabilità fisica viene impropriamente legata a quella mentale. Come sei riuscita a scardinare questo pregiudizio?

Per me sono stati di grande aiuto i social, attraverso cui ho potuto mostrare la mia quotidianità senza filtri. Molti si sono resi conto che la mia vita non era poi così diversa dalla loro, iniziando ad appassionarsi a me, alla mia storia, alle meravigliose persone che mi circondano. La mia disabilità è evidente, non si può nascondere. Ma tante persone mi dicono che non la vedono più. Ciò che vedono è solo una ragazza che ha tanta voglia di vivere.

tante persone mi dicono che non vedono più la mia disabilità. Ciò che vedono è solo una ragazza che ha tanta voglia di vivere

Su Instagram ti chiami @ironadia_301. Perché hai scelto di ispirarti proprio a Iron Man?

È il mio personaggio Marvel preferito. In lui mi sono sempre immedesimata perché in fondo è un uomo come tutti, con le sue fragilità e le sue insicurezze. Quando si mette invece l’armatura diventa il supereroe che tutti conosciamo, capace di fare l’impossibile. Un po’ come succede a me quando metto la protesi. Ormai è diventata l’armatura che mi permette di incontrare gli amici e fare una vita il più normale possibile. Mi ha anche dato il coraggio di desiderare una vita autonoma.

Per anni, però, avevi deciso di non utilizzarla…

Esattamente. Fino ai 24 anni la rifiutavo. Da bambina ho sempre fatto tutto con i piedi, e ovviamente la protesi mi limitava, non potevo giocare e non potevo scrivere. Avrei potuto indossarla quando non scrivevo o non giocavo, ma la mente talvolta è strana. Nel mio cuore, sbagliando, puntavo a essere come gli altri. Speravo in un intervento che potesse magicamente allungarmi la gamba e farmi camminare, una cosa impossibile. Ed è proprio questo che mi ha fregata per tanti anni: voler essere come tutti gli altri. Invece, successivamente, ho incontrato persone che mi hanno indicato una strada che, seppur diversa, mi ha permesso di affrontare la vita nella mia unicità.

Nel mio cuore, sbagliando, puntavo a essere come gli altri. Speravo in un intervento che potesse magicamente allungarmi la gamba e farmi camminare, una cosa impossibile. Ed è proprio questo che mi ha fregata per tanti anni: voler essere come tutti gli altri

E il tuo messaggio è proprio questo: siamo tutti uguali nella nostra unicità e diversità.

Infatti. Ormai ho abbracciato completamente la mia condizione, l’ho resa il mio punto di forza, perché so che è quello. Rimangono certo tantissime difficoltà, però quando mi guardo allo specchio sono fiera di me stessa.

Percepisci un cambiamento culturale nei confronti dei disabili?

Sì, e lo vedo anche nel mio piccolo paese, Racalmuto. Qui nessuno si permette più di trattarmi come una bambina. La disabilità va conosciuta e va fatta più informazione su questo tema, soprattutto nei confronti degli adulti, perché sono loro a istruire i bambini. Prendiamo l’esempio del Grande Fratello Vip, dove oggi concorre Manuel Bortuzzo. Tutti oggi stanno scoprendo com’è vivere su una sedia a rotelle ogni giorno della propria vita. Questi piccoli passi avanti contribuiscono a rendere la società più inclusiva. Oggi essere disabili non è più una vergogna.

In un tuo post su Instagram parli di pensione di invalidità e della necessità – più che di un aumento delle pensioni - di sviluppare programmi concreti di inclusione dei disabili all’interno della società.

Esattamente. Ma c’è dell’altro. Vorrei che lo Stato non si dimenticasse delle famiglie e dei genitori delle persone disabili. Spesso sono lasciate completamente a loro stesse. Lo vedo attraverso l’associazione MotorLife, che mi fa avvicinare alle storie di tante famiglie. Ci vorrebbero in primis più centri diurni, ma non con lo scopo di far colorare o ballare i disabili come se fossero bambini. Ci vorrebbero dei programmi per far migliorare davvero queste persone – laddove possibile, ovviamente - attraverso dei percorsi che le inseriscano nella società. Che le facciano sentire utili, come del resto sono. E poi, soprattutto, vorrei che venisse data una maggiore sicurezza ai genitori anziani. Una sicurezza che quando non ci saranno più il loro figlio non verrà abbandonato in una struttura. Io mi batto soprattutto per questo. Oppure, penso a programmi legati allo sport. Per me lo sport è stato al centro del cambiamento, mi ha ridato un obiettivo, con il mio allenatore siamo una famiglia. Anche se non gareggio, per me è una continua sfida. Lo sport è una delle migliori cure che possano esistere.

Ci vorrebbero più centri diurni, ma non con lo scopo di far colorare o ballare i disabili come se fossero bambini. Ci vorrebbero dei programmi per far migliorare davvero queste persone – laddove possibile, ovviamente - attraverso percorsi che le inseriscano nella società

Come è nato il tuo impegno per l’associazione no-profit MotorLife, di cui oggi sei vicepresidente?

La mototerapia è nata da un’idea di Vanni Oddera, campione di freestyle motocross, che ha fondato l’associazione siciliana MotorLife per regalare un sorriso ai bambini e ragazzini con disabilità. Ho conosciuto Vanni durante un suo evento, quando feci un giro in motocross con lui. Fu una sensazione fantastica, elettrizzante. Pensai però che sarebbe finito tutto lì. Invece, dopo un paio di mesi sono stata contattata dal presidente di MotorLife e abbiamo iniziato un percorso insieme, fino alla mia nomina come vicepresidente. E il 19 dicembre si terrà un evento proprio qui, a Racalmuto. Sono orgogliosa di essere riuscita a coinvolgere i ragazzini del mio paese in questo progetto, di aver potuto fare qualcosa per loro.

Ora che progetti hai in mente?

Innanzitutto mi piacerebbe andare a vivere da sola. Ci voglio riuscire a tutti costi. Poi, da appassionata di trucco, vorrei creare una linea di make-up tutta mia e fare sport in modo più agonistico. A chi ha una disabilità dico: se gli altri vi dicono che non potete fare qualcosa, prendetela come sfida e dimostrate che avevano torto.

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