Maura Gancitano e la rivincita della filosofia (anche sui social)

Maura Gancitano è co-fondatrice di Tlon, scuola permanente di filosofia e immaginazione che porta seminari e corsi filosofici in tutta Italia. Un progetto di grande successo da cui emerge tutto il nostro bisogno, in questi tempi fragili, di interrogarci su noi stessi e sulla società

Scardinare il pregiudizio secondo cui la filosofia è una materia “vecchia”, da libri di scuola, dimostrando che la comprensione del mondo parte (anche, o soprattutto) da qui. Sono riusciti a fare questo Maura Gancitano e Andrea Colamedici attraverso Tlon, uno dei progetti di divulgazione culturale più brillanti e seguiti sui social, nato per stimolare la riflessione e il pensiero critico, e per nutrire coloro che si pongono interrogativi sulla contemporaneità e sul proprio mondo interiore.

L'idea alla base di tutto? Restituire alla filosofia la centralità che aveva in passato

A chi li segue, Tlon si rivolge attraverso una casa editrice che pubblica alcuni dei titoli - italiani e internazionali – più interessanti della scena filosofica contemporanea, ma anche attraverso una libreria-teatro a Roma (per ricordare che la filosofia può essere anche ludica, giocosa), eventi in tutta Italia e un’attività social – sia su Facebook che su Instagram – capace di coinvolgere gli utenti in dibattiti su varie questioni di attualità. Una "formazione filosofica per la fioritura personale", come la chiamano Maura e Andrea, che via via si è data un obiettivo: riportare la filosofia al centro del mondo. Perché è proprio la filosofia a offrirci gli strumenti per vivere consapevolmente all’interno della società, per capire le dinamiche e i meccanismi che la regolano e come questi meccanismi si riverberano sulla nostra interiorità.

Alla base del successo di Tlon – che conta ben 205k follower su Instagram e una community di oltre 210k persone su Facebook – è la capacità di toccare argomenti profondi (e molto poco social) – come la spiritualità, l’infelicità, il dolore, la caduta, la noia – in modo semplice, alla portata di tutti, senza mai banalizzare.

Maura Gancitano, classe 1985, filosofa e scrittrice, insieme ad Andrea Colamedici ha scritto diversi saggi che analizzano vari fenomeni contemporanei, dall’iper-performatività del mondo digitale (La società della performance, Edizioni Tlon, 2018), il business della crescita personale e della pseudo-spiritualità (Tu non sei Dio, Edizioni Tlon, 2016), fino ai modelli a cui le donne sono ancora oggi assoggettate (Liberati della brava bambina, HarperCollins, 2019), per arrivare all'ultimo grande successo Prendila con Filosofia (HarperCollins, 2021), un manuale di esercizi pratici per trovare il cuore di noi stessi. Recentissima, poi, l'uscita de L'alba dei nuovi dei (Mondadori, 2021), un saggio che mette in luce le somiglianze tra l'epoca che ha portato alla nascita della filosofia e quella attuale.

Abbiamo intervistato Maura per parlare di come, con gran sorpresa di tutti, la filosofia stia entrando nelle vite di sempre più persone anche grazie ai social.

Com’è nato Tlon?

È nato in modo molto spontaneo. Io e Andrea ruotiamo attorno al mondo dell'editoria da sempre, addirittura dal liceo, e per qualche tempo abbiamo lavorato per case editrici. A un certo punto, però, ci siamo resi conto che volevamo occuparci soltanto di ciò che amiamo davvero: la filosofia. Volevamo rivolgerci a tutti coloro che, come noi, vogliono approfondire la propria spiritualità e la propria ricerca di sé. Così, nel 2015 abbiamo deciso di licenziarci dai nostri rispettivi lavori e di creare Tlon, organizzando eventi in tutta Italia. Da lì è nata poi la casa editrice e la libreria-teatro di Roma. Il progetto è andato via via strutturandosi e siamo arrivati a scrivere il nostro primo libro, Tu non sei Dio. Per promuoverlo, abbiamo dato il via all’attività social, ed eccoci qui. Dall’esterno sembra che Tlon abbia avuto una crescita lineare, ma non è così. Volevamo semplicemente fare le cose che ci appassionano davvero. Oggi in Tlon siamo 25 persone.

Da chi è composto il vostro pubblico?

All’inizio era composto da persone che ci conoscevano già perché magari aveva partecipato a un nostro evento, poi pian piano l’audience si è ingrandita in modo graduale e organico. Per noi è stato molto importante che le persone commentassero e ci dessero dei feedback. È proprio grazie a loro che abbiamo capito come comunicare temi complessi. Ogni volta che postiamo qualcosa ci chiediamo se sia di facile comprensione, se può essere capito da tutti. In generale si tratta di un pubblico critico nei confronti dei social network, ma non così tanto critico da non esserci.

Ogni volta che postiamo qualcosa ci chiediamo se sia di facile comprensione, se può essere capito da tutti

Il successo di Tlon sui social dimostra che anche qui si può stimolare un dibattito su tematiche profonde e complesse. Vi ha stupito questa cosa?

È strano, perché ci sembra logico che secoli fa i filosofi andassero a parlare in piazza, ma non che oggi la filosofia entri sui social. Ma i social sono, oggi, la stessa piazza dei filosofi di molti secoli fa. Se ci convinciamo che a nessuno importano questi temi, a nessuno poi importeranno davvero. Come Tlon siamo coscienti delle problematiche legate alla presenza sui social, quanto sia spesso faticoso farsi capire, però rimane uno spazio molto importante di incontro. E noi non volevamo lasciare sole quelle persone che sui social vorrebbero qualcos’altro. Per questo pensiamo che sia importante esserci, in una maniera misurata, ovviamente.

Nel vostro saggio La società della Performance. Come uscire dalla caverna (Edizioni Tlon, 2018) affrontate il tema di quella paura di diventare invisibili che permea la nostra presenza nel mondo digitale. Quanto è pervasiva questa paura?

Moltissimo. È una pressione che interessa tutte le generazioni, ma che è molto pericolosa soprattutto per i bambini e gli adolescenti. Se infatti la mia generazione ha avuto modo di strutturare le proprie relazioni anche indipendentemente dal mondo digitale, oggi chi è giovane costruisce la propria identità personale attraverso i social. C’è inoltre l’idea diffusa che si debba per forza avere una presenza online, un’idea che sottopone a un marketing di se stessi continuo, uno stato di ansia da prestazione perenne che non è mai esistito nella storia della società se non forse per alcune categorie come l'aristocrazia o i reali. È un’ansia di massa che genera una serie di problemi importanti. Nel nostro libro abbiamo cercato di raccontare questo processo, ricercandone le radici. Sicuramente la genesi di questo processo si può trovare nella nascita della società di massa e nella conseguente colonizzazione del tempo libero e dei momenti privati. Ciò è successo dall'invenzione della televisione in poi. Oggi usiamo il nostro tempo libero per vedere quello che fanno gli altri, e anche nei rari momenti in cui non lavoriamo, siamo sempre impegnati a produrre qualcosa. Questo non è umanamente possibile. Abbiamo bisogno di uno spazio vuoto, di non fare nulla, di annoiarci. E di non dire a nessuno cosa stiamo facendo.

C’è l’idea diffusa che si debba per forza avere una presenza online, un’idea che sottopone a un marketing di se stessi continuo, uno stato di ansia da prestazione perenne che non è mai esistito nella storia della società

Quello del passaggio al mondo digitale è anche un tema che avete trattato nel vostro ultimo libro, L’Alba dei nuovi dei (Mondadori).

Esatto. Parla del tempo che viviamo facendo un parallelismo con l’origine della filosofia. Da alcuni anni osserviamo che quello che succede ai giorni nostri ha dei punti in comune con ciò che è accaduto con la nascita della filosofia. Abbiamo cercato di raccontarlo, e in particolare ci siamo soffermati sul passaggio dall’oralità alla scrittura, e oggi dalla scrittura al digitale, un passaggio ricco di insidie. Parliamo anche del Metaverso, una condizione che potrebbe essere bellissima ma anche un infermo. Ricordiamoci che il termine Metaverso è stato coniato da Neal Stephenson in Snow Crash (1992), libro di fantascienza cyberpunk che raccontava un mondo distopico. Volevamo capire dove siamo adesso attraverso le lenti del passato, con lo scopo di suscitare una riflessione.

Spesso, parlando di filosofia, fate riferimento alla volontà di indagare la propria spiritualità. Quali punti in comune hanno filosofia e spiritualità e in che modo il concetto di spiritualità viene frainteso?

Qualcuno sostiene che la storia della filosofia e quella della spiritualità siano state unite fino a un certo punto della storia, basti pensare a certe figure di filosofi-sciamani dell’antichità. In generale si può fare questo accostamento soprattutto nella filosofia antica. La spiritualità è un interrogarsi, così come la filosofia. Ci troviamo in un periodo storico di emergenza e impoverimento spirituale, però è proprio nei momenti di crisi che è più facile chiedersi: qual è il senso di tutto questo? Mariana Caplan dice che in Occidente negli ultimi secoli abbiamo perso la cultura e l’educazione spirituale. Spesso ci limitiamo a recitare qualche preghiera che ci hanno insegnato da bambini, oppure neanche quella. Ci sono invece culture, come quella indiana, in cui certi sguardi sul mondo sono naturali. La nostra è sempre più un’educazione che non ci fornisce la strada. Ed è così che in un momento di disorientamento ci chiediamo: e ora? Che strada posso percorrere? È molto difficile capire quale percorso intraprendere al di là delle religioni, che spesso sono piene di condizionamenti sociali. È un tema di cui dovremmo parlare di più, perché questa emergenza è uno dei frutti della società in cui viviamo.

Come ci può aiutare la filosofia?

La filosofia ci dà degli spunti e degli esercizi per aiutarci a ragionare e a riconoscere quello che non sappiamo come essere umani. È un interrogarsi su di sé per scoprire la meraviglia, lo stupore e l’orrore e la tragicità di stare al mondo. La filosofia ci aiuta anche a trovare delle risposte non soltanto razionali, ci aiuta a immaginare il futuro. È un atteggiamento, un modo di guardare il mondo che sottende una capacità di meravigliarsi e di alimentare il dubbio.

Un altro tema che ti appassiona è quello dell’empowernment femminile. Recentemente hai scritto la prefazione del libro Le regine della filosofia (Edizioni Tlon) a cura di Lisa Whiting e Rebecca Buxton, e  nel 2019 hai scritto Liberati della brava bambina. Otto storie per fiorire (Harper Collins). Quali modelli limitano ancora oggi le donne?

Oggi essere donna significa poter fare delle scelte che qualche decennio fa erano impensabili per esempio nel campo del lavoro e della sessualità. Dall’altro lato, però abbiamo un carico enorme di responsabilità. Siamo sicuramente più libere, ma ci viene anche chiesto uno sforzo molto più grande. Prendiamo l’esempio di una madre: oggi può lavorare, certo, ma le viene anche chiesto di fare tutto. Non solo di essere una brava madre, ma anche una professionista impeccabile, una donna perfetta. C’è una performatività esagerata nei confronti delle donne. Molti discorsi hanno aumentato la sensibilità nei confronti di queste tematiche, ma rimane comunque una pressione sociale e un esaurimento mentale a carico delle donne che da un certo punto di vista è più alto di prima. Dovremmo iniziare a chiederci come svincolarci da un certo modello di pensiero. Perché se noi donne dobbiamo dimostrare di essere produttive sotto tutti i punti di vista, non siamo certo più libere, anzi. È un momento in cui dovremmo rivendicare quello che non abbiamo voglia di fare, come ad esempio il bisogno di prendere la vita con più leggerezza, di prenderci del tempo vuoto per noi. Prendersi del tempo per sé è fondamentale per stare bene, senza l’obbligo di dover performare.

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