Raccontare il mondo delle persone sorde: intervista a Martina Rebecca Romano

27 anni, originaria di Vercelli, Martina Rebecca Romano è LIS Performer al Festival di Sanremo e ha cofondato un social magazine che affronta il tema della sordità in modo ironico e divertente. Con un obiettivo in mente: sensibilizzare le aziende - ma non solo - sui bisogni delle persone sorde

Al Festival di Sanremo l'abbiamo vista interpretare le canzoni in concorso attraverso la lingua dei segni, aiutando a far "sentire" la musica attraverso gesti, espressioni e movimenti a chi non la può udire. Un incarico importante, che ha portato alla luce la sua storia e la sua voglia di abbattere pregiudizi e stereotipi. Ma soprattutto di promuovere la conoscenza sul tema della sordità.

L'impegno per diffondere la conoscenza

Un tema che spesso, per gli udenti, rimane nebuloso, e che Martina Rebecca Romano vuole rendere accessibile a tutti. Come? In primis attraverso i social e il profilo Instagram @Sorde.Zine, un social magazine che si rivolge a udenti e non udenti con post illustrati che fanno informazione sul mondo delle persone sorde. In secundis attraverso il suo lavoro, sia in qualità di LIS Performer che nell'ambito del marketing delle aziende. Perché l'inclusione passa anche da una comunicazione empatica, capace di rivolgersi a tutti senza distinzioni.

Abbiamo chiesto a Martina di raccontarci il suo impegno nel promuovere l'inclusività nei confronti delle persone sorde.

Iniziamo ripercorrendo il tuo passato: come e quando è stato scoperto che non potevi sentire?

Avevo circa due anni, ad accorgersene sono state le maestre dell’asilo nido che non vedevano nessuna reazione agli stimoli acustici. Dopo averlo detto ai miei genitori, a casa fecero un esperimento alzando e abbassando il volume alla televisione. Non vedendo nessuna reazione, mi fecero fare tutti gli esami d’accertamento, scoprendo che sono sorda. La fortuna fu che mio nonno, che lavorava al comune di Vercelli, aveva come collega una donna sorda che gli consigliò la scuola che successivamente frequentai, l’Istituto Comprensivo di Cossato, in provincia di Biella. È una scuola che porta avanti il progetto bilingue - Italiano/Lingua Italiana dei Segni - che prevede l'integrazione tra i bambini sordi e udenti. Oltre a questo percorso scolastico, sono stata seguita da una logopedista per poter parlare. Oggi sono laureata in Marketing, Consumi e Comunicazione all’Università IULM di Milano.

Sei stata anche LIS performer al Festival di Sanremo, oltre che allo Zecchino d’Oro quando eri bambina…

L’amore per la musica me l’ha trasmesso mia mamma: nel tragitto che facevamo tutti i giorni da Vercelli a Biella cercava di farmi “sentire” la musica, traducendola come poteva con la lingua dei segni. Allo Zecchino d’Oro sono andata insieme alla scuola, avevamo creato un piccolo coro e traducevamo tutte le canzoni in concorso allo scopo di promuovere il progetto bilingue di cui facevamo parte. È stata un’esperienza emozionante, magica, che mi ha fatto conoscere tanti personaggi della tv. Invece, negli ultimi due anni, sono andata al Festival di Sanremo: una mia amica, Ilaria Galbusera, mi ha spinta a inviare la candidatura per diventare LIS performer, così ho tradotto alcune canzoni, tra cui una di Noemi che lei stessa poi ha pubblicato su Facebook, e ho inviato i video. Ero convintissima che non mi avrebbero mai presa, e invece un giorno, durante la sessione degli esami, arriva la notizia che avevo passato le selezioni.

Martina Rebecca Romano all'ultimo Festival di Sanremo
Martina Rebecca Romano all'ultimo Festival di Sanremo

Che esperienza è stata?

Bellissima e faticosa: devi tradurre e muoverti contemporaneamente, sorridere alla telecamera e seguire le indicazioni del coreografo e dell’interprete che ti suggerisce i tempi musicali nel caso ci siano dei cambiamenti in diretta. Sono felice di averlo fatto e penso che la figura dei LIS performer diventerà sempre più importante, proprio come succede all’estero, dove spesso salgono sul palco insieme ai cantanti. È un modo di rendere accessibile la musica a tutti, facendola ascoltare con gli occhi.

Penso che la figura dei LIS performer diventerà sempre più importante, proprio come succede all’estero, dove spesso salgono sul palco insieme ai cantanti

Ora di cosa ti stai occupando?

Ho da poco completato uno stage in L’Oreal, dove mi occupavo di gestione del piano di attivazione marketing a 360° tramite touchpoints sia online che offline, al fine di promuoversi incisivamente nella comunità sorda per il brand NYX Professional Make-up. È stata un’esperienza che mi ha permesso di mettere in pratica gli studi fatti per la mia tesi di laurea, incentrata sulla diversity all’interno dei brand. Quello che mi sono chiesta è se davvero i brand stiano diventando più inclusivi e se il consumatore sordo si senta davvero incluso. Durante lo stage ho avuto modo di lavorare al coinvolgimento dei consumatori sordi soprattutto attraverso i social, per esempio mettendo i sottotitoli ai video oppure coinvolgendo influencer sorde.

E sei riuscita a trovare una risposta alla tua domanda? Quanti brand stanno diventando davvero inclusivi, secondo te?

Tanti brand stanno lavorando sull’inclusione a 360°, ma pochi lo fanno nei confronti delle persone sorde. Ci vorrebbe, secondo me, un processo di empatia nei confronti del consumatore, anche quando si decide come comunicare. Per esempio, ci sono campagne pubblicitarie che puntano su alcuni sensi piuttosto che altri, magari attraverso canzoncine oppure comunicazioni molto visive, escludendo così i consumatori sordi e ciechi. Poi c’è anche un’altra questione: in Italia mancano testimonial sordi di ispirazione. In America, per esempio, c’è il modello Nyle DiMarco, impegnato nel campo dei diritti delle persone sorde. Un punto di riferimento a livello globale. Il mio sogno è quello di poter lavorare al miglioramento della comunicazione dei brand per poter includere i consumatori sordi e per farli sentire inclusi, accolti.

Tanti brand stanno lavorando sull’inclusione a 360°, ma pochi lo fanno nei confronti delle persone sorde

Com’è nata invece l’idea di creare @Sorde.zine?

L’idea è nata da Benedetta Verrotti di Pianella, art director e illustratrice, che si è innamorata di questo nostro mondo senza saperne molto. Così, abbiamo iniziato a fare delle videochiamate durante il lockdown per sviluppare il progetto nel concreto. Abbiamo messo insieme le forze con la speranza di fare un vero lavoro d’inclusione. L'obiettivo è di creare qualcosa di utile anche a livello educativo, sensibilizzando sul tema della sordità. Sorde.zine è un social magazine pensato per chi vuole avvicinarsi al mondo sordo e per chi ne fa già parte. Cerchiamo di dare informazioni utili e comprensibili - attraverso testi e illustrazioni - non solo alle persone sorde, ma anche a chi vuole capirne di più. Il team è composto, oltre che da me e Benedetta, da Francesca Romano, copywriter e project manager (udente) e Micaela Candrilli, social media e community manager (sorda).

Ddl Zan: cos’hai provato quando è naufragato in Senato?

Ho provato una sensazione di lutto. Perché tutelava diritti umani universali, non solo legati alle persone LGBTQI+, come in tanti pensano, ma anche agli etero e i disabili. Stamattina leggevo che negli USA hanno rilasciato il primo passaporto senza genere. In Italia, invece che andare avanti, stiamo andando indietro. Per noi è stato un momento di morte dei nostri diritti.

Ti è capitato di subire discriminazioni?

Sì certo, mi è capitato durante l’infanzia che qualche bambino mi prendesse in giro, ma le discriminazioni sono ovunque, basti pensare alla mascherina - un dispositivo di protezione fondamentale nella lotta alla pandemia - che per noi è una grande barriera comunicativa. Talvolta anche chiedere di abbassare la mascherina non è la migliore delle soluzioni per via della sicurezza, ma spesso e volentieri, anche spiegando di essere sorda, le persone non cambiano metodo di comunicazione quasi come se non sapessero cosa voglia dire. Questo è solo uno dei tanti esempi per far comprendere come spesso non si tenga conto delle nostre esigenze.

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