Federica Gasbarro: “Se le nuove tecnologie salveranno la Terra? Forse. Peccato che nessuno le finanzi”

È il volto italiano delle proteste per l’emergenza climatica. Attivista ambientale e neo biologa, Federica Gasbarro ha rappresentato l’Italia al Youth4Climate per i negoziati della Cop26. Un impegno portato avanti attraverso manifestazioni, libri e conferenze internazionali. Per diffondere la consapevolezza che non esiste un Pianeta B: “Se proviamo a distruggere la Terra, sarà lei a distruggere noi”

Federica Gasbarro, la “Greta” italiana, come l’hanno soprannominata, le radici dell’amore per la natura le ha ben piantate in Abruzzo, dove è nata. È qui che da bambina ha imparato il rispetto per l’ambiente, passeggiando per i territori a tratti incontaminati attorno ad Avezzano, a L’Aquila.

Classe 1995, oggi Federica ha completato il suo percorso di studi in Scienze Biologiche. Nel mezzo ci sono state le manifestazioni di Fridays for Future, di cui è stata portavoce romana per un anno, e la partecipazione a numerose conferenze internazionali, come il primo raduno dei giovani leader dei movimenti per il clima tenutosi presso il palazzo di vetro delle Nazioni Unite a New York nel 2019 e di recente il Youth4Climate, la conferenza dei giovani sul clima tenutasi prima della Cop26, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2021. Qui, Federica ha portato le istanze dei movimenti ambientalisti per frenare il disastro ecologico: il coinvolgimento dei giovani nel dibattito sul clima, l'incremento dei finanziamenti nelle fonti rinnovabili, l'abbandono dei combustibili fossili entro il 2030 e la costruzione di una società più consapevole nei confronti dell'ambiente.

All'attivismo in piazza e nelle sedi istituzionali, Federica ha sempre affiancato una fervente attività di divulgazione culturale sia attraverso i social network - dove su Instagram conta oltre 23k follower - che attraverso la pubblicazione di tre libri di successo: Diario di una striker. Io e Greta per il clima dalle piazze all'ONU (Piemme); Covid-19 e cambiamento climatico. La lotta contro il riscaldamento globale al tempo dell'epidemia (Piemme), e l’ultimo Amici della Terra (Mondadori Electa). E nel settembre di quest’anno, in occasione dell’Earth Day, è stata ricevuta da Papa Francesco. “Ci ha detto di fare rumore”.

Con lei abbiamo parlato di crisi climatica e di transizione ecologica, delle speranze per il futuro e di quello che possiamo fare, nel nostro piccolo, per ridurre il nostro impatto sulla Terra.

Com’è nato il tuo interesse nei confronti dell’ambiente e quando hai deciso di diventare una “striker” manifestando ai Fridays for Future?

Sono cresciuta a contatto con la natura e da piccola facevo molte passeggiate insieme ai miei genitori, che mi hanno sempre educata al rispetto per l’ambiente. Il mio percorso nelle scienze biologiche non è stato però immediato, ed è arrivato soltanto dopo alcuni tentativi di entrare alla facoltà di Medicina e Chirurgia. Fu mia nonna a dirmi: “da piccola ti piaceva tanto la natura, giocavi col microscopio e le provette, perché non dai una possibilità alla biologia?” La ascoltai e mi iscrissi a Scienze Biologiche. Successe che pian piano, mentre studiavo, mi resi conto di quanto il nostro ecosistema sia incredibilmente fragile, di quanto sia in pericolo. In laboratorio avevo di fronte a me scienziati e ricercatori che avevano investito la propria vita per studiare i cambiamenti climatici e per far capire al mondo quanto fosse necessario agire concretamente. Mi venne naturale chiedermi: cosa posso fare, io, nel mio piccolo?  

Così sei scesa in piazza…

Esatto. Nel 2019, facendo alcune ricerche, scoprii il movimento di Greta e cercai di capire se fosse attivo anche a Roma. Lo era giusto da un paio di settimane, erano in pochi e cercavano persone, voci, energie. “Perfetto”, pensai. “Sono una dei vostri”. E nella primavera dello stesso anno, a Roma, ho conosciuto Greta, con cui sono ancora in contatto.

Il tuo percorso da attivista ti ha portato a essere scelta come rappresentante dell’Italia al Youth4Climate in occasione della Cop26. Una tua opinione sull'esito dei negoziati?

Cerco sempre di essere positiva e speranzosa, ma in questo caso non riesco proprio a esserlo. Sono stati fatti certamente dei piccoli passi avanti rispetto alla Cop25 di Madrid ed è stato approvato un taglio della CO2 del 45% entro il 2030. Ma il fatto che abbiano sostituito la parola “eliminazione” con “progressiva riduzione” delle emissioni di CO2 è un segnale estremamente negativo. Poteva andare bene forse 15 anni fa, ma ora no. Perché significa che tutti gli Stati si accomoderanno su questa generica “progressiva riduzione” senza mettere in atto nessuna politica davvero drastica nei confronti delle emissioni. Ma in un certo senso è comprensibile. Nel 2009, i Paesi più ricchi del mondo promisero 100 miliardi all’anno ai Paesi più vulnerabili ed esposti ai cambiamenti climatici, ma questi soldi non si videro mai. Poi non ci lamentiamo, allora, se l’India rifiuta l’abbandono del fossile. Da attivista, quindi, la Cop26 è stato un completo fallimento. Da neo biologa, però, comprendo la difficoltà enorme di far quadrare interessi diversi e tempi tecnici molto lunghi. La transizione ecologica non si può attuare spegnendo un interruttore.

il fatto che alla Cop26 abbiano sostituito la parola “eliminazione” con “progressiva riduzione” delle emissioni di CO2 è un segnale estremamente negativo. Poteva andare bene forse 15 anni fa, ma ora no

Parlando dell’Italia, quanto è veramente fattibile, in tempi brevi, una transizione ecologica che sia sostenibile per tutti?

A questa domanda bisognerebbe rispondere con un’altra domanda: quanto lo vogliamo davvero? Se una completa decarbonizzazione entro il 2030, come richiesto da noi attivisti, può essere considerata troppo ambiziosa, ci sono ampi margini di miglioramento. Il problema, però, è che siamo troppo o ambiziosi e poco concreti, oppure il contrario. Faccio un esempio: l’Italia è tra i Paesi firmatari del BOGA – Beyond Oil and Gas Alliance, l’alleanza globale presieduta da Danimarca e Costa Rica per l’abbandono dei combustibili fossili. La partecipazione al BOGA si basa su tre livelli di responsabilità: il meno vincolante è il livello “Friends”, ed è quello scelto dall’Italia. Ora, è sicuramente un bel segnale che l'Italia sia uno dei 10 Paesi firmatari del BOGA, ma a questo punto perché non vincolarsi più seriamente? Le cose o si fanno bene o è meglio non farle.

è sicuramente un bel segnale che l'Italia sia uno dei 10 Paesi firmatari del BOGA, ma a questo punto perché non vincolarsi più seriamente? Le cose o si fanno bene o è meglio non farle

Al termine della Cop26 è emerso un pensiero di speranza nei confronti delle nuove tecnologie. Se non saremo capaci di salvarci da soli, lo faranno loro?

Forse. Peccato che nessuno le finanzi. Abbiamo visto con il Covid-19 che siamo riusciti a creare un vaccino in tempi record. Se trattassimo la crisi climatica con lo stesso senso di urgenza del Covid, riusciremmo a produrre delle tecnologie in grado, se non di salvarci, almeno di arginare parzialmente il disastro ambientale. Vedo però, frequentando i laboratori, che i fondi sono sempre pochissimi. Un esempio è quello dell’idrogeno verde prodotto dalle microalghe: perché non iniziamo a investire su queste tecnologie? Stesso discorso vale per l’eolico o il fotovoltaico. Si sta facendo ricerca con i tempi delle tartarughe.

Nel tuo libro Covid-19 e cambiamento climatico. La lotta contro il riscaldamento globale al tempo dell'epidemia metti in relazione la pandemia con la crisi climatica. Perché esiste una correlazione?

La maggior parte dei mali che affliggono l’uomo sono zoonosi, ovvero malattie trasmesse dagli animali all’uomo. Finché i vettori di questi virus sono animali selvatici che restano nel loro habitat indisturbati va tutto bene, ma nel momento in cui l’uomo invade questi spazi, il virus fa il salto di specie. Si tratta di virus che mutano molto velocemente e che, a causa della globalizzazione e dell’alta densità delle metropoli contemporanee, può provocare pandemie come quella del Covid. La degenerazione dei rapporti tra uomo e ambiente è alla base di questo tipo di zoonosi. C’è poi il problema dello scioglimento dei ghiacciai. Attualmente non sappiamo quali forme di vita siano rimaste intrappolate nel Permafrost. Si pensa alle spore, capaci di sopravvivere a temperature bassissime. Non è impossibile che una volta che questi ghiacciai si scioglieranno, emergeranno dei patogeni dannosi per l’uomo. L’esempio del Coronavirus è emblematico nel farci capire quanto siamo esposti a questo tipo di virus. Ma è difficile far capire che finché ci prendiamo cura della Terra, la Terra si prende cura di noi. Se la vogliamo distruggere, distruggerà noi. È molto semplice: è tutto collegato.

Attualmente non sappiamo quali forme di vita siano rimaste intrappolate nel Permafrost. Si pensa alle spore, capaci di sopravvivere a temperature bassissime. Non è impossibile che una volta che questi ghiacciai si scioglieranno, emergeranno dei patogeni dannosi per l’uomo

C’è stato un momento, durante il primo lockdown, in cui abbiamo pensato di aver capito la lezione. Di poter fare meno di tante cose, e che le città, senza traffico e smog, sono più vivibili e belle. Ora sembra tutto tornato come prima, se non peggio. Sbaglio?

Purtroppo no. Secondo uno studio del Global Carbon Project, le emissioni del CO2 equivalente del 2021 sono tornate ai livelli del 2019. La pandemia non ci ha fatto capire nulla. Io speravo che si tornasse a una normalità diversa, con qualche consapevolezza in più. E invece no. Abbiamo avuto l’opportunità di renderci conto che per vivere bene basta poco, acquistando e consumando meno, ma non l’abbiamo sfruttata. E mi disgusta sapere che, per esempio, alcune notissime aziende di vendite online mandino in discarica o negli inceneritori i resi e le merci invendute. Ciò significa che migliaia e migliaia di capi e di oggetti nuovi vengono distrutti appena dopo essere stati prodotti. È uno spreco sconvolgente. Penso che fino a quando non ci troveremo con l’acqua alla gola, non lo capiremo mai.

mi disgusta sapere che alcune notissime aziende di vendite online mandino in discarica i resi e le merci invendute. Ciò significa che migliaia e migliaia di capi e di oggetti nuovi vengono distrutti appena dopo essere stati prodotti. È uno spreco sconvolgente

Nel nostro piccolo, però, ci insegni che possiamo fare tanto. Quali sono alcune cose semplici che dovremmo fare per ridurre il nostro impatto sulla terra?

Innanzitutto informarci. Basta guardare qualche documentario oppure leggere i bollettini delle Nazioni Unite o dell’Organizzazione Metereologica Mondiale per comprendere la gravità della situazione. Poi sarà impossibile tornare alla vita di prima. Consiglierei anche di ridurre la carne, poiché si tratta di una delle industrie più inquinanti. Non c’è bisogno di diventare vegetariani o vegani, basta iniziare a ridurre il consumo a una-due volte a settimane. Già questo farebbe la differenza. Poi muoversi il più possibile a piedi o con i mezzi, riducendo i viaggi in aereo. Infine, approfittare degli ecobonus per riconvertire la propria casa.

Il tuo libro Amici della Terra si rivolge ai bambini. Cosa servirebbe per educarli correttamente (e seriamente) al rispetto per la Terra?

Innanzitutto ci vorrebbero più ore di educazione ambientale. E poi una cosa semplice: insegnare ai bambini che l’azione è la prima strada per il cambiamento. I bambini sono i futuri ministri, i futuri attivisti, i futuri amministratori delegati delle aziende. Formare loro all’educazione ambientale è la via maestra per un futuro migliore.

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