Combattenti, staffette, infiltrate: chi sono le donne della Resistenza (ancora troppo poco riconosciute)

Sono state oltre 70.000 le donne combattenti nella Resistenza, ma sono ancora molte di più quelle che hanno ricoperto ruoli altrettanto significativi, ma scarsamente riconosciuti

Il loro contributo è stato fondamentale per la Liberazione e la lotta al nazifascismo, eppure delle donne della Resistenza, per decenni, si è parlato molto poco, e il ruolo e il valore delle partigiane per lungo tempo non è stato riconosciuto a livello storiografico e istituzionale.

In occasione del 25 Aprile, anniversario della Liberazione d'Italia, è dunque importantissimo ricordare e rendere omaggio alle oltre 70.000 donne partigiane (queste le stime dell’Anpi, al ribasso) che combatterono contro i nazifascisti, in molti modi diversi. La storia infatti insegna che le donne, che non erano sottoposte ai bandi di reclutamento, si impegnarono su base volontaria nella lotta di Liberazione: imbracciando un’arma, portando informazioni e approvvigionamenti, fungendo da collegamento, trasportando armi e munizioni, impegnandosi nell’organizzazione sanitaria e ospedaliera e organizzandosi nei Gruppi di difesa della donna e per l'assistenza ai combattenti, infiltrandosi nelle fila dei nemici. E poi le staffette, giovani donne tra i 16 e i 18 anni che avevano il compito di garantire i collegamenti tra le varie brigate e di mantenere i contatti fra i partigiani e le loro famiglie, complice il loro aspetto che si pensava destasse meno sospetti.

La Resistenza taciuta

Partecipanti attive alla lotta, solo a 35.000 fu riconosciuto lo status di partigiana combattente, mentre 70.000 fecero parte dei Gruppi di difesa della Donna. Altri numeri: 4.653 di loro furono arrestate e torturate, oltre 2.750 vennero deportate in Germania, 2.812 vennero fucilate o impiccate, 1.070 caddero in combattimento, 19 vennero, nel dopoguerra, decorate di Medaglia d'oro al valor militare. Cifre al ribasso, in realtà, perché moltissime testimonianze sono andate perdute. Non è un caso che si parli, oggi, di “Resistenza taciuta”. Per decenni infatti il contributo delle donne alla Resistenza non è stato mai adeguatamente riconosciuto, rimanendo relegato a un ruolo secondario per una visione in cui anche la Lotta di Liberazione veniva "declinata" solo al maschile, e in cui si prendevano in considerazione soltanto i compiti “militari” svolti dalle donne, tralasciando quelli civili, non meno importanti.

«Le donne sono le protagoniste principali, ma non uniche, della Resistenza civile - viene ricordato nel Dizionario della Resistenza - Alcune loro azioni di massa ottengono risultati estremamente concreti e importanti da un punto di vista strategico e politico: si pensi alle donne che, nella Napoli occupata del settembre 1943, impediscono i rastrellamenti degli uomini, facendo letteralmente svuotare i camion tedeschi già pieni, e innescando così la miccia dell'insurrezione cittadina. Si pensi, ancora, alle cittadine di Carrara che, nel luglio 1944, resistono agli ordini di sfollamento totale impedendo ai tedeschi di garantirsi una comoda via di ritirata verso le retrovie della linea Gotica».

Carla Capponi

Tante, dunque, le donne che hanno giocato un ruolo fondamentale nella Resistenza. Tra loro ci sono volti e nomi che restano impressi nella memoria per il loro sacrificio. È il caso, per esempio, di Carla Capponi: nata a Roma il 7 dicembre 1921, è morta a Zagarolo il 23 novembre 2000, e ha ricevuto una Medaglia d'Oro al Valor militare.

Studentessa di Legge, subito dopo l'8 settembre 1943 partecipò alla Resistenza romana, divenendo presto vice comandante di una formazione operante a Roma e in provincia. Nell'ottobre del 1943 per procurarsi un'arma (i suoi compagni dei GAP gliela negavano, perché preferivano riservare alle donne funzioni di appoggio), rubò la pistola a un milite della Gnr che si trovava vicino a lei in un autobus superaffollato. Nella primavera del 1944 è stata tra gli organizzatori e gli esecutori dell'azione gappista di via Rasella contro un contingente dell'esercito tedesco, azione che fu poi presa dai nazisti a pretesto per la feroce strage delle Fosse Ardeatine.

Riconosciuta partigiana combattente con il grado di capitano, è stata decorata di Medaglia d'Oro al valore militare per aver partecipato, si legge tra l'altro nella motivazione, «alle più eroiche imprese nella caccia senza quartiere che il suo gruppo di avanguardia dava al nemico annidato nella cerchia abitata della città di Roma». Più volte parlamentare del PCI, membro della Commissione Giustizia nei primi anni settanta, ha fatto parte sino alla morte del Comitato di presidenza dell'Anpi.

Stefanina Moro

La vita di Stefanina Moro è stata breve, ma non per questo meno significativa. Nata a Genova il 14 novembre 1927, originaria del quartiere Quezzi, iniziò giovanissima come staffetta per mantenere i collegamenti tra i diversi  gruppi partigiani.

Alla fine di settembre del 1944, fu arrestata da un gruppo di nazifascisti proprio perché sospettata di essere una staffetta. Interrogata e torturata per giorni per spingerla a fare i nomi dei partigiani, la giovanissima Stefanina non parlò mai: morì a 17 anni nell’ospedale di Asti per le torture subite.

Germana Boldrini

Germana Boldrini rientra tra le combattenti della Resistenza. Fu lei che la sera del 7 novembre a Bologna, a soli 17 anni, lanciò il segnale che diede inizio alla battaglia di Porta Lame a Bologna tra partigiani e nazifascisti.

«In quel momento io mi sganciai dai miei compagni di gruppo ed arrivai a Porta Lame, circa un sei-sette minuti prima - racconterà a Liliana Cavani - quando arrivai a Porta Lame, con la mia arma automatica e le bombe a mano, lanciai il fuoco. I miei compagni mi seguirono e ci fu un grande combattimento. Ci furono delle perdite da parte nostra e delle perdite da parte dei tedeschi».

Nilde Iotti

Nata a Reggio Emilia il 10 aprile 1920, morta a Roma il 3 dicembre 1999, Nilde Iotti è stata insegnante, dirigente comunista, prima donna in Italia nominata Presidente della Camera dei deputati. Il padre, un sindacalista socialista che faceva il deviatore alle Ferrovie e che, durante la dittatura, era stato perseguitato dai fascisti, aveva voluto che la figlia studiasse, e Nilde si era laureata in Lettere e Filosofia alla Cattolica di Milano. Per alcuni anni aveva insegnato all'Istituto tecnico industriale di Reggio Emilia, ma la vita di Nilde Iotti come la si conosce ora è iniziata dopo l'8 settembre 1943: a 23 anni entrò nelle file della Resistenza operando nei "Gruppi di difesa della donna" che, anche nella provincia di Reggio, hanno dato un grande contributo alla lotta contro i nazifascisti.

Come ricorda l'Anpi, dopo la Liberazione Iotti è stata nominata segretaria dell'UDI a Reggio Emilia, e nel 1946 viene eletta al Consiglio Comunale come indipendente nelle liste del PCI. Il 2 giugno dello stesso anno è eletta all'assemblea costituente, e nel 1948 è eletta per la prima volta alla Camera dei deputati. È riconfermata per le successive legislature e il 29 giugno 1979 è eletta (al primo scrutinio e prima donna nella storia parlamentare italiana), Presidente della Camera.

Sin dalla Resistenza, Iotti è stata protagonista delle battaglie in difesa delle donne. Nel 1955 è stata la prima firmataria di una proposta di legge per istituire una pensione e un'assicurazione per le casalinghe, Nel 1974 aveva partecipato attivamente alla battaglia referendaria in difesa del divorzio. L'anno dopo promosse la legge sul diritto di famiglia. Nel 1978 contribuì a far approvare la legge sull'aborto.

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