Chiara Bucello e Ludovica Billi, le content creator che abbattono (con autoironia) i pregiudizi sulla sordità

Simpaticissime, ironiche e con la battuta sempre pronta: Chiara Bucello e Ludovica Billi sono le content creator che stanno spopolando sui social network grazie ai loro video che fanno chiarezza sulla sordità. Le abbiamo intervistate per ripercorrere la loro storia e per parlare di quanto sul mondo delle persone sorde si sappia ancora troppo poco

Ludovica Billi, 25 anni, fiorentina di nascita e milanese d’elezione, è graphic designer e ha una sordità bilaterale profonda da quando è nata. Chiara Bucello di anni ne ha invece 28, anche lei è graphic designer ed è sorda dalla nascita. Due storie, le loro, che senza saperlo correvano parallele, e che si sono intrecciate proprio grazie ai social.

ero su TikTok quando scoprii un video di Chiara che parlava di sordità. Lo faceva in modo ironico, era la prima volta che vedevo qualcosa del genere, che mi faceva sentire "normale". Mi sono detta: “Ce l’ho anche io l’impianto cocleare”. La contattai su Instagram. Poi mi venne l’idea: “Perché non apriamo una pagina per sensibilizzare e fare informazione sull’argomento?

Da lì iniziò una collaborazione e un'amicizia che ha dato vita a una serie di video che oltre a una risata vogliono stimolare una riflessione su tutti quei gesti e pensieri così poco inclusivi nei confronti delle persone sorde. Video che smascherano gli stereotipi dettati dall'ignoranza su cosa sia, davvero, la sordità. Una caratteristica personale che non fa certo rima con malformazione, né con malattia.

Per diffondere la conoscenza sulla sordità, Chiara e Ludovica hanno fondato il progetto @TheDeaf.Soul, un portale per la comunicazione e l'informazione delle persone con disabilità uditive.

Ormai conosciutissime su Instagram e TikTok, abbiamo chiesto a Chiara e Ludovica di raccontarci come hanno deciso di mettersi in prima linea nell'abbattere i muri del pregiudizio.

Come si è manifestata la vostra sordità?

LB: I miei genitori l'hanno scoperta quando avevo sette mesi. All’età di 7 anni scelsero di percorrere la strada dell’impianto cocleare, un dispositivo elettronico sviluppato per ripristinare l’udito con sordità grave, indicato nei soggetti affetti da sordità profonda, presente dalla nascita oppure acquisita nel corso della vita. Per me è stata la scelta migliore che potessero fare, e il 2004 fu l’anno più bello della mia vita: è stata una grande rinascita.

CB: Quando voglio raccontare la mia storia, dico sempre che le cose migliori sono spontanee, senza filtri, senza spazio e senza tempo. I miei genitori hanno scoperto quando avevo un anno che ero una bambina con sordità profonda e ipoacusia neurosensoriale e autonomica.

Sono nata sorda e nessuno sa perché. Mia madre non ha avuto la rosolia durante la gravidanza, o cose del genere. Non ho avuto malattie gravi nella mia prima infanzia. Quindi, quando sono nata, avevo già un mistero inspiegabile. Come se la sordità fosse destinata a me

Dal primo anno di vita ho portato una protesi, ho iniziato la logopedia e anche la musicoterapia, e dai tre anni ho un impianto cocleare.

Parlare della mia sordità è come rinascere: condividere il mio disagio, le mie paure, la mia ansia mi ha decisamente aperto al mondo

Quali sono stati gli ostacoli maggiori nell'affrontare e accogliere la sordità?

LB: Sono stata vittima di pregiudizi e ignoranza sin da bambina. Alcune persone hanno usato parole e atteggiamenti offensivi riguardo la mia sordità, che mi hanno ferito. Tutto questo succedeva non solamente a scuola, ma anche fuori dalla scuola. Con il tempo ho cominciato a essere più forte, a reagire.

Ci ho messo tempo ad accettare la mia disabilità, ma ci sono riuscita: la disabilità che proprio non sopporto ancora è l’ignoranza, che cerco di abbattere con l’arma dell’autoironia attraverso i social

CB: Il mio percorso di crescita attraverso la sordità è stato un po’ altalenante: per lungo tempo ho oscillato tra fasi in cui rifiutavo questa mia caratteristica e altri momenti in cui mi rendevo conto che avere problemi di udito non dipendeva da me, che non dovevo vergognarmi, ma che anzi si trattava di un qualcosa che era un tutt’uno con la mia persona, in un certo senso qualcosa che mi rendeva ciò che sono.

Mi sono ostinata a essere quella che non sono, fino ad accettare il fatto che non avrei mai potuto sconfiggere il nemico, ma avrei potuto amarlo, scoprirlo, farne un punto di forza!

Quando avete iniziato a produrre i vostri video?

Quando ci siamo trasferite a Milano nel novembre 2021. Facciamo sia reel che tiktok sui nostri profili per diffondere e sensibilizzare su questo tipo di disabilità “invisibile” e per abbattere l’ignoranza attraverso i social. Per noi è stata una sfida personale, non ce lo aspettavamo ma è stato un grande successo. 

Quando è nata l’idea di creare invece @thedeaf.soul, il vostro progetto su Instagram? 

Nato più di un anno fa, è un portale per la comunicazione e l’informazione delle persone con disabilità uditive, dove parliamo di tutto ciò che ha a che fare con la sordità. C’è un mondo che vogliamo raccontare in modo positivo e autoironico.

Siamo persone normali e pretendiamo di essere trattate come tali. Perché noi, di diverso, abbiamo solo il modo di affrontare la vita: no al vittimismo e sì alla gioia, all’ironia e alla libertà di vivere con spensieratezza quella che non è altro che una caratteristica, tra le tante, che ci contraddistingue

Della simpatia e della comunicazione scherzosa abbiamo fatto un’arma per rispondere a chi proprio non vuol sentire… e che giudica attraverso stereotipi e pregiudizi. 

Il nostro obiettivo è quello di far comprendere che non è una malformazione a causare problemi uditivi. Noi siamo nate con questa caratteristica e ci abbiamo sempre convissuto senza problemi. Nei nostri occhi, nei gesti e nelle risate abbiamo trovato la complicità giusta per portare avanti una campagna di sensibilizzazione e comunicazione importante, in modo diretto, colorato e auto-ironico. 

Quali sono gli ostacoli quotidiani che devono ancora affrontare le persone sorde, oggi?

Le mascherine hanno creato un grande disagio, perché non ci permettono di leggere il labiale. A un certo punto avevamo pensato di distribuire quelle trasparenti e alcune associazioni si sono mosse, ma non è successo su larga scala. Dal canto nostro, quando il caso lo richiede, facciamo così: specifichiamo che siamo sorde, che bisogna allontanarsi, abbassare la mascherina e parlare normalmente e con chiarezza. Ma resta ancora tutt’oggi il nostro più grande ostacolo da affrontare quotidianamente. 

Linguaggio e inclusività: perché è importante usare le parole giuste? Perché è meglio dire persone sorde e non “non udenti”?

La legge ha ufficialmente cambiato il termine "sordomuto" in "sordo". E non vogliamo neanche essere chiamate "non udenti", perchè quel "non" rende l'espressione negativa. Il politically correct che a tutti noi è entrato ormai nella pelle, ai sordi non piace.

Di cosa vi occupate oggi e cosa vi augurate per il futuro? 

CB: Ci siamo iscritte a un master allo IED - Istituto Europeo Design di Milano. Il mio progetto è entrare a far parte di un team nel ruolo di art director nell'ambito dei social media o per una magazine, mentre Ludovica si focalizza sul mondo della pubblicità e delle strategie di comunicazione visiva e marketing. Il mio progetto per il futuro, chiamiamolo “sogno nel cassetto”, è quello di essere una persona realizzata, sia in ambito lavorativo che personale.

Sogno anche che la sordità non venga più vista come una malformazione ma che diventi un accessorio insolito come gli occhiali da vista!

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