Malattie invisibili: la storia di Alessia Zurlo, modella con il linfedema che ispira le giovani generazioni

24-05-2023
Abbattere gli stereotipi per essere d'aiuto a chi prova disagio nel mostrarsi com'è davvero: abbiamo chiesto ad Alessia Zurlo di raccontarci la sua vita da modella con il linfedema. Ecco la sua storia

Quanto è difficile provare empatia e validare la sofferenza di una persona che ha una malattia o una disabilità invisibili? Siamo abituati a credere solo in quello che vediamo e spesso la tendenza è quella di sminuire e non riconoscere il dolore di chi ha questo tipo di malattie.

Alessia Zurlo è una delle prime modelle italiane con il linfedema e la si trova su Instagram con il nome Ragazza in gamba. Insieme a lei abbiamo ripercorso la sua storia personale e medica, ma soprattutto siamo andate in profondità nel capire perché è così importante creare consapevolezza su questi temi e aprirsi alla condivisione

Come nasce il profilo di Ragazza in gamba su Instagram? Lo si può considerare il risultato di un lavoro su te stessa?

Sì, quando ho deciso di aprire la pagina è stato un momento di svolta. Ho deciso di tirare fuori il coraggio e raccontarmi. Fin da quando ero una bambina ho questa malattia rara e cronica del sistema linfatico, chiamata linfedema primario, che mi ha portata a vergognarmi di una delle mie due gambe, in cui la linfa non circolava più e ristagnava, creando un edema, un gonfiore. Nessuno all’epoca riuscì a farmi una diagnosi corretta e quindi ci volle del tempo prima di prendere consapevolezza di quello che avevo alla gamba. Poi arrivò la diagnosi e iniziai a pensare che il linfedema alla gamba era un mostro da combattere. Quando io ero una ragazzina alla fine degli anni ’80, primi anni ’90, non c'era internet, non c'erano i social ed è stato è stato faticoso cercare di fare rete.

Ho passato anni a nascondere questa mia imperfezione perché mi sentivo diversa dagli altri e inadeguata

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L’utilizzo dei social media in che modo ti è stato d’aiuto?

Aprire il profilo Instagram per parlarne è stato motivo di riscatto. Mi ha dato la possibilità di incontrare altre persone che vivono la mia stessa situazione, mentre per tanti anni ho vissuto nella solitudine e senza poter condividere quello che mi faceva soffrire. La comunicazione dei social arriva a tutti e tutte ed è anche democratica perché può essere veramente essere alla portata di chiunque. In questo senso, può rappresentare un grande mezzo di conforto e di confronto, se usato positivamente.

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Quali differenze noti, rispetto al passato, dal punto di vista medico, nella cura e nel riconoscimento del linfedema? Per le giovani generazioni è cambiato qualcosa?

Ci sono stati dei passi in avanti da parte della ricerca scientifica, ma credo manchi ancora una formazione adeguata relativa alle patologie linfatiche. Inoltre, c'è molta disomogeneità in Italia per quanto riguarda l'accesso alle cure. Ci sono regioni che offrono più risorse e altre meno.

Il riconoscimento della mia disabilità e del mio handicap è stato caratterizzato da un percorso faticoso e in salita. Per anni ho mascherato minuziosamente quello che ritenevo un problema, investendo molte energie in altri aspetti della vita e nello studio.

Quando una disabilità non è evidente, spesso le persone credono che non ci sia e non capiscono la tua sofferenza

Ti dicono che visto che il tuo aspetto è curato, sei una persona sorridente e fai un bel lavoro, allora non devi stare poi così male e finiscono per crederti una bugiarda. Svalutando così quello che provi e che vivi. Oltre al linfedema, dopo la gravidanza mi ha colpito un'altra malattia cronica autoimmune, che distrugge le articolazioni e provoca molto dolore. Così il mio stato di salute si è aggravato e ha aumentato il senso di ingiustizia e inadeguatezza che mi aveva accompagnato da quando ero una giovane ragazza.

Perché hai provato senso di ingiustizia? E come sei riuscita a trasformarlo in qualcosa di utile?

Per molti anni mi sono sentita arrabbiata nei confronti della mia gamba, che reputavo sbagliata e ho desiderato essere “normale” e avere due gambe uguali. Provavo rabbia, ma anche vergogna. Poi è arrivata la seconda malattia, l’artrite reumatoide e non capivo perché la vita volesse darmi anche questo peso, credevo di aver pagato il mio conto con il linfedema.

Mi sono sentita arrabbiata con la vita e ho continuato a chiedermi: “Perché a me?” “Cos’ho che non va?”

Poi, rielaborando questa sofferenza e aprendomi a quella degli altri, condividendo la mia storia e ascoltando quella di altre persone, mi sono resa conto che ognuno combatte le proprie battaglie. Ho preso consapevolezza di quante difficoltà ci possano essere nella vita, oltre alle mie.

Durante il confronto con altre persone, nonostante il mio profondo dolore, ho iniziato a domandarmi se sarei stata in grado di sopportare quello che provavo gli altri. Questo mi ha permesso di ridimensionare il mio dolore e ho cominciato a chiedermi cosa io potessi farne di utile, invece che continuare a esserne una vittima.

La condivisione per me è stato un potente strumento di accettazione, oggi di questo mio dolore posso farne qualcosa, mettendolo al servizio degli altri

Spero possa essere d'aiuto e di ispirazione, oltre a infondere un po’ di coraggio a chi ha vissuto quello che ho vissuto io. 

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Cosa rappresenta per te oggi la diversità?

Se prima mi sentivo inadeguata rispetto agli standard proposti dalla società, oggi ho capito che rappresenta una ricchezza e un'opportunità e mi ha permesso di entrare in contatto con tantissime persone e di conoscere le loro storie, di esserne affascinata per il coraggio che hanno dimostrato nell’affrontare le loro difficoltà e di essere a mia volta incoraggiante io per loro. 

Se fossi rimasta chiusa nel mio nel mio mondo senza espormi e senza trovare il coraggio di raccontarmi, mi sarebbe mancato un punto di vista diverso dal mio. Nel momento in cui sono riuscita ad accettare la mia malattia, ho iniziato a guarire

Ti va di raccontarci la tua collaborazione con Imperfetta Project?

Quando ero bambina avevo due sogni, uno era quella di diventare medico e l’altra frequentare il mondo della moda. Per quanto riguarda il primo sogno, non sono diventata medico, ma paziente e ho avuto modo di conoscere la medicina dall'altro punto di vista. Invece, per quanto riguarda fare la modella, ci sto lavorando. Grazie a Imperfetta Project mi sono riavvicinata al mondo della moda, da cui mi ero allontanata proprio a causa della gamba, diventando oggi la prima modella italiana con il linfedema. Con coraggio poso davanti agli obiettivi dei fotografi e delle fotografe, raccontandomi e facendo conoscere questa patologia rara, affinché chi ne soffre non si senta più sola come mi sono sentita io.

Con la maturità che ho raggiunto, più che una modella, vorrei essere un modello di ispirazione

Infatti, l’agenzia di cui faccio parte chiama le proprie modelle muse per questo motivo. Spero di poter ispirare altre persone che non si sentono rappresentate a causa di uno stereotipo di bellezza perfetta e irraggiungibile con cui siamo cresciuti e cresciute. In realtà la bellezza è dentro ciascuno di noi e ognuno è prezioso con la sua unicità. 

Il progetto di Imperfetta mette al centro la verità e l'autenticità della bellezza che ciascuno di noi ha

A proposito del trasformare la sofferenza in una risorsa utile, per noi e per gli altri, ci sono altre realtà che supporti?

Mi sono impegnata in maniera attiva in un'associazione no profit di persone affette da linfedema primario, che si chiama Lymphido. L’associazione è nata da un gruppo di genitori di bambini affetti da linfedema, motivati dalla necessità di condividere quello che stavano vivendo e creare valore. Ora la realtà è cresciuta e oltre ai bambini abbiamo accolto gli adulti portatori di diversi tipi di linfedema, come quelli secondari.

Ho deciso di impegnarmi con questa associazione perché sono una paziente esperta e posso mettere la mia esperienza di lunga data al servizio dei più giovani e dei loro genitori, che hanno bisogno di sapere come gestire nella quotidianità un linfedema. C'è l'aspetto medico, ma c'è poi anche tutta l'aspetto di vita pratica che un medico non ti può insegnare.

Cosa vuol dire vivere con un linfedema nella quotidianità?

Vuol dire alzarsi tutte le mattine, togliere un bendaggio che hai tenuto tutta la notte e indossare una calza elastica. Nel mio caso prende dai piedi fino alla schiena. Sono calze contenitive fatte su misura, tra l'altro sono anche molto costose e non tutte le regioni in Italia te le fanno avere gratuitamente. Faccio anche vedere ai bambini e alle bambine come faccio un auto-bendaggio e come mi prendo cura di me.

Aiutando i bambini e le bambine che hanno questa malattia rara è un po’ come se aiutassi la me di tanti anni fa e i miei genitori

Ogni linfedema è un caso specifico ed ha le sue peculiarità, però in linea generale ci sono alcuni limiti che questa malattia ti impone per ragioni pratiche, come la stanchezza con cui convivere, l'attenzione da porre a tagli, infezioni, traumi e il fatto che non si può prendere il sole direttamente sulla pelle. E poi la cura quotidiana, con terapie specifiche, contenzioni e bendaggi compressivi. 

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