Senza giri di boa: il collettivo che racconta la resistenza femminile sul lavoro

La frase pronunciata recentemente dalla stilista Elisabetta Franchi - «Le donne le prendo dopo i quattro giri di boa [matrimonio, figli, divorzio, over 40]. Sono tranquille e lavorano h24» - ha destato numerose critiche e ha dato vita a una campagna social #senzagiridiboa, lanciata da un collettivo di scrittrici e giornaliste che vogliono mantenere vivo il dibattito sulla situazione occupazionale femminile nel nostro Paese attraverso il racconto di testimonianze. Il nodo centrale da cui parte la campagna - poi diventata un libro e uno spettacolo teatrale - è la maternità

I quattro giri di boa secondo Elisabetta Franchi

Riavvolgendo il nastro questo è quello che è successo: a maggio 2022, la stilista e imprenditrice Elisabetta Franchi, durante un convegno organizzato da Il Foglio e Pwc Italia dal titolo“Donne e moda: il barometro 2022”, ha dichiarato davanti alla Ministra per le Pari opportunità e la famiglia, Elena Bonetti: «Io oggi le donne le ho messe perché sono 'anta', questo va detto: comunque ancora ragazze, ma cresciute. Se dovevano sposarsi lo hanno già fatto, se dovevano avere figli, li hanno già fatti, se dovevano separarsi, hanno fatto anche quello… per cui io le prendo che hanno fatto tutti e quattro i giri di boa. Sono lì belle tranquille che lavorano con me affianco h24, questo è importante (…)».

Come nasce il collettivo Senza giri di boa

Da qui nasce Senza giri di boa. A raccontare a The Wom la creazione del collettivo è la giornalista Gaia De Scalzi che da subito precisa: «Di fatto la Franchi ha detto quello che tanti fanno e applicano nella quotidianità senza il coraggio di dirlo. Quindi quello che ha fatto è stato rompere un muro».

La frase di Elisabetta Franchi è stata talmente eclatante, talmente tanto di rottura che non abbiamo potuto tacere, quindi è partito un passaparola che ha portato alla creazione di un gruppo Whatsapp

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Così l’omonimo gruppo si struttura in un collettivo di giornaliste e in 4-5 persone che costituiscono il nucleo fondativo, e nelle ore e nelle settimane seguenti si allarga. Oggi comprende circa venti giornaliste e come dice De Scalzi «Molte di noi si sono conosciute grazie a questa iniziativa che ci ha permesso di creare una rete».

Alla domanda su quale sia la spinta che le ha portate a costituirsi come collettivo De Scalzi non esita: «Io credo che per tutte le donne che lavorano e che hanno in mente di costruirsi un futuro che sia fatto di lavoro, di famiglia, di tempo libero, il modello lavorativo che si applica in Italia non piaccia quasi a nessuno perché oggettivamente solo una donna su 5 è manager. Ancora c'è una disparità di trattamento economico del 19% a parità di ruolo e di titoli di studio. Quindi diciamo che tutte noi sentiamo dentro l'esigenza di cambiare le cose». Le frasi di Elisabetta Franchi sono state solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso.

Il lavoro di Senza giri di boa

Il passaggio successivo, per Senza giri di boa, è stata l’apertura dei canali social associati a un indirizzo mail. A quel punto «sono arrivate tantissime lettere. Abbiamo iniziato a fare dei post con le nostro foto chi al computer, chi mentre allattava, chi con il pancione, raccontando la nostra esperienza con il lavoro, quello che avevamo dovuto passare, gli ostacoli, la disparità di trattamento ed è stato un modo per dire alle altre donne "Non sentitevi sole perché non siete sole"», racconta De Scalzi.

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Siamo giornaliste, il nostro mestiere è quello di divulgare e dare voce alle persone che non hanno voce, raccontando anche il mondo del precariato giornalistico

Un patrimonio di storie

Sono arrivate centinaia di mail. Per arrivare alla stesura del libro è stato fatto un processo di selezione. Come spiega De Scalzi: «avevamo a disposizione un patrimonio di storie, un tesoro da poter raccontare».

Inevitabilmente, con alcune di queste donne si è creato un rapporto molto forte: «tutte quante nel bene o nel male ci siamo rispecchiate nelle loro storie chi per un pezzetto, chi per un altro. Tutte quante abbiamo vissuto lo sconforto lavorativo, la disparità di trattamento».

Il collettivo Senza giri di boa
Il collettivo Senza giri di boa

Ma non si tratta solo di immedesimazione. Simona Berterame, giornalista e socia di Senza giri di boa - che nel frattempo si è costituita come associazione - afferma «io sono stata abbastanza fortunata. Non vuol dire, però, che se non lo vivi sulla tua pelle non devi lottare per determinati diritti».

Una rete solidale tra donne

L’auspicio di Senza giri di boa è «riuscire a dare una mano alle donne. Quindi cerchiamo di fare rete. Sappiamo quali sono i problemi di alcune e laddove possiamo proviamo ad aiutare: una rete solidale tra donne», ci tiene a precisare De Scalzi.

Noi abbiamo prestato il nostro mestiere alle loro storie, alle loro voci, abbiamo raccontato in maniera un po' più sintetica, leggibile le loro storie; ma sono le loro storie

Le testimonianze delle donne lavoratrici, precarie, affermate o sfruttate sono state protette e tutelate dall’anonimato e con nomi di fantasia, poi, però «alcune sono uscite allo scoperto perché le abbiamo volute coinvolgere nelle nostre presentazioni, le abbiamo invitate ai nostri spettacoli teatrali e loro ci hanno sempre seguito con tantissimo affetto. Il loro racconto in prima persona è molto toccante perché si raccontano con semplicità».

Il collettivo Senza giri di boa durante il riadattamento teatrale del libro
Il collettivo Senza giri di boa durante il riadattamento teatrale del libro

Tante storie, diversi format e due obiettivi principali

Dopo la pubblicazione del libro, il collettivo Senza giri di boa è stato invitato a portare in scena, al festival di Internazionale a Ferrara, un riadattamento teatrale. Ripercorrendo le tappe di questi mesi, anche in seguito al successo di pubblico ottenuto, De Scalzi afferma che «quello dello spettacolo teatrale è un format perfetto per presentare un libro, perché la gente attraverso il racconto teatrale è più invogliata ad acquistare un libro, perché si sente immersa nelle storie delle persone».

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Hanno continuato ad andare avanti; lo step successivo è stato il podcast. «Sono degli strumenti diversi, ma alla fine il concetto è di raccontare quelle storie», dice Berterame. Poi aggiunge: «sicuramente vari format vogliono raggiungere tipi di pubblico diversi».

Vogliamo continuare a fare quello che stiamo facendo, cioè a raccontare le storie che ci continuano ad arrivare. L'obiettivo è di fare da cassa di risonanza: quelle donne che non hanno voce gliela restituiamo noi

Tra gli obiettivi non bisogna dimenticare che è importante «sensibilizzare e creare consapevolezza sul tema perché delle volte siamo talmente atrofizzati che magari anche la persona non si rende conto che sta subendo qualcosa di ingiusto», conclude Berterame.

A volte si è talmente inseriti nella bolla che non ci si rende conto dell’abuso che si subisce

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