La Resistenza è donna: la storia (dimenticata) delle partigiane italiane

Trentacinquemila le partigiane inquadrate nelle formazioni combattenti; 20.000 le patriote con funzioni di supporto; 70.000 in tutto le donne organizzate nei Gruppi di difesa; 19 le medaglie d'oro, 17 quelle d'argento; 512 le commissarie di guerra; 683 le donne fucilate o cadute in combattimento; 1750 le donne ferite; 4633 le donne arrestate, torturate e condannate dai tribunali fascisti; 1890 le deportate in Germania. I dati forniti dall’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d'Italia) parlano chiaro: nella storia del 25 aprile, le donne hanno avuto un ruolo di primo piano. Eppure, quella femminile, è una Resistenza taciuta

Non è stato infatti mai raccontato come, durante la guerra, le donne non si siano semplicemente limitate a farsi carico delle responsabilità sociali tradizionalmente maschili. Ma abbiano scelto di schierarsi e combattere, nelle diverse forme possibili, la lotta resistenziale, ribaltando la consueta divisione dei ruoli maschile e femminile.

Donne partigiane: i soggetti imprevisti

Nei libri di storia si accenna appena alla partecipazione delle donne alla Resistenza, sebbene il loro apporto si sia rivelato determinante ai fini di una maggior efficacia dell'organizzazione delle formazioni partigiane, entrando a far parte di diritto nella storia della Liberazione nazionale: le donne si occupavano della stampa e propaganda del pensiero d'opposizione al nazifascismo, attaccando manifesti o facendo volantinaggio, curando collegamenti, informazioni, trasportando e raccogliendo documenti, armi, munizioni, esplosivi, viveri, scarpe o attivando assistenza in ospedale, preparando documenti falsi, rifugi e sistemazioni per i partigiani.

Ma l'azione femminile, oltre alla direzione dettata dalla necessità di dare assistenza ai partigiani, attraverso molteplici attività materiali, si orientava anche politicamente

Numerosissime donne, di ogni estrazione sociale, operaie, studentesse, casalinghe, insegnanti, in città, così come in campagna, organizzarono veri e propri corsi di preparazione politica e tecnica, di specializzazione per l'assistenza sanitaria, per la stampa dei giornali e dei fogli del Comitato di Liberazione Nazionale.

https://www.instagram.com/p/CPTgDk4nqJS/

Nell'autunno del 1943, alcune donne formarono i GDD (Gruppi di Difesa delle Donne e di assistenza ai combattenti): un'organizzazione unitaria "aperta a tutte le donne di ogni ceto sociale e di ogni fede politica e religiosa, che vogliano partecipare all'opera di liberazione della patria e lottare per la propria emancipazione".

Una battaglia doppia, portata avanti su più piani: la storica e accademica Anna Rossi Doria ha sottolineato il tentativo delle donne di trovare un valore fondante nel rapporto con la politica attraverso la valorizzazione pubblica delle capacità femminili tradizionalmente svolte nella sfera privata. La Resistenza delle donne, per questo, ha significato non solo contrapporsi ai modelli femminili proposti dal regime fascista, ma la ricerca della propria libertà.

https://www.instagram.com/p/CPTesdDnXn1/

Un universo simbolico di riferimento nuovo, sancito formalmente dal decreto sull'estensione del diritto di voto per le donne del 1° febbraio 1945. La seconda guerra mondiale ha permesso alle donne di emergere dall'anonimato e le ha trasformate in soggetti storici finalmente visibili. Simbolo del nuovo protagonismo femminile è il famoso "sciopero del pane" del 16 ottobre del 1941.

La protesta scoppiò per la riduzione della razione pro capite di pane, nonostante le rassicurazioni dello stesso Mussolini. Le donne assaltarono un furgoncino della Barilla, formarono un corteo numeroso ed agguerrito che, al grido di "Pane, pane" riempì le strade cittadine ed impegnò le autorità fasciste per tutta la giornata. I documenti ufficiali hanno ridimensionato la partecipazione di massa a questa protesta e, soprattutto, la sua portata politica. Con questa "chiassata" le donne, casalinghe ed operaie, non operarono solo sul fronte delle rivendicazioni materiali, ma espressero tutta la rabbia ed il dissenso popolare contro il regime, la guerra e le restrizioni da essa imposte.

Nel momento in cui decidevano di essere contro il fascismo, esse erano obbligate non solo a schierarsi politicamente, ma anche a rompere oggettivamente con la separatezza della propria tradizionale domesticità per proiettarsi sulla scena pubblica.

Il tabù delle armi

Non solo nella dimensione di cura e assistenza: come racconta la storica Marina Addis Saba in Partigiane - Le donne della resistenza, la Resistenza delle donne avveniva anche imbracciando le armi. Un’azione politica che si scontrava non solo con l’opposizione tedesca, ma anche con l’iniziale diffidenza dei compagni che consideravano le donne solo come “assistenti” dei partigiani e si rifiutavano di consegnare loro le armi, convinti che non le avrebbero sapute usare.

Giacomo Chilesotti e Berici Hills, Aprile 1945. Vicenza, Museo Del Risorgimento E Della Resistenza
Giacomo Chilesotti e Berici Hills, Aprile 1945. Vicenza, Museo Del Risorgimento E Della Resistenza

«Dopo la fine della guerra, direi a partire dal 1948, c’è stato una specie di silenzio generale sulla resistenza femminile», racconta a Internazionale la storica Simona Lunadei, autrice di molti testi sull’argomento tra cui Storia e memoria. Le lotte delle donne dalla liberazione agli anni 80. Questo perché si cercò di normalizzare il ruolo delle donne, che proprio durante la guerra «avevano sperimentato un’emancipazione di fatto dai ruoli tradizionali», afferma la storica.

Si poteva essere riconosciute come partigiane solo se si aveva partecipato alla lotta armata per almeno tre mesi all’interno di un gruppo organizzato riconosciuto. Dunque, se una donna faceva la staffetta, difficilmente poteva documentare la sua attività partigiana: questo ha significato che pochissime sono state riconosciute come partigiane e sono entrate nel Pantheon della resistenza.

Inoltre, le donne che hanno ricevuto medaglie d’oro al valore per le loro azioni durante la resistenza sono state solo diciannove: Irma Bandiera, Ines Bedeschi, Gina Borellini, Livia Bianchi, Carla Capponi, Cecilia Deganutti, Paola Del Din, Anna Maria Enriquez, Gabriella Degli Esposti Reverberi, Norma Pratelli Parenti, Tina Lorenzoni, Ancilla Marighetto, Clorinda Menguzzato, Irma Marchiani, Rita Rosani, Modesta Rossi Polletti, Virginia Tonelli, Vera Vassalle, Iris Versari, Joyce Lussu.

Alcuni partigiani per le strade di Milano
Alcuni partigiani per le strade di Milano

Nel libro in cui raccoglie le sue memorie, Con cuore di donna, Carla Capponi, figura centrale della resistenza romana, vicecomandante dei Gap (Gruppi di azione patriottica), racconta che i suoi compagni non volevano concederle l’uso della pistola e per questo fu costretta a rubarla su un autobus affollato e anche in questo caso i compagni provarono a sottrargliela.

In un contesto culturale tradizionalista come quello italiano, le donne che esercitavano violenza rimanevano un tabù: riconoscere alle donne la possibilità di esercitare la violenza armata avrebbe significato riconoscere un’uguaglianza di genere

A partire degli anni Novanta, le donne che hanno partecipato direttamente alla resistenza italiana hanno cominciato a parlarne pubblicamente e, anche grazie al lavoro di molte storiche, a essere intervistate e a scrivere delle memorie: ne sono un esempio Libere sempre di Marisa Ombra, Con cuore di donna di Carla Capponi, Portrait di Joyce Lussu, La ragazza di via Orazio di Marisa Musu, Autobiografia di Maria Teresa Regard. Ma, continua Lunadei, «c’è un lavoro che ancora andrebbe fatto: dovremmo ricostruire i fili biografici di queste donne – che in molti casi purtroppo sono già scomparse – per permetterci di raccontare quello che finora è stato taciuto».

Carla Capponi per esempio non è soltanto una donna coraggiosa che riesce a diventare vicecomandante di una divisione dei Gap, è anche una leader che ha organizzato le proteste delle donne nelle borgate romane durante l’occupazione nazista, ma anche dopo, nelle lotte degli anni cinquanta. Carla Capponi è anche questo e forse anche questo va studiato e capito.

Carla Capponi, partigiana e politica italiana.
Carla Capponi, partigiana e politica italiana.

Ancora oggi, capita di frequente – a corollario di eventi e momenti dedicati alla Resistenza – di incappare nell’espressione “con il contributo delle donne alla Resistenza”. Chi mai oserebbe dire: “con il contributo degli uomini alla Resistenza”?

Per questo, la Liberazione rimane un processo sempre in essere: le oppressioni vanno combattute tutte. Oggi come ieri.

Lidia Menapace, staffetta partigiana, politica e saggista italiana, venuta a mancare all'età di 96
Lidia Menapace, staffetta partigiana, politica e saggista italiana, venuta a mancare all'età di 96 anni il 7 dicembre 2020
Riproduzione riservata