Europa, almeno il 40% di donne nei cda: ma perché servono le quote di genere?

Lo scorso giugno, il Parlamento, il Consiglio e la Commissione Europea hanno raggiunto un accordo sulla direttiva Women on boards sulla parità di genere, con l’obiettivo di aumentare il numero di donne nei consigli di amministrazione delle società quotate

Entro il 2026, le società quotate dovrebbero mirare a garantire che almeno il 40% dei posti di amministratore senza incarichi esecutivi o almeno il 33% dei posti di amministratore con e senza incarichi esecutivi sia occupato da donne, attualmente il sesso sotto-rappresentato.

«Tutti i dati mostrano che la parità di genere ai vertici delle aziende non si ottiene per pura fortuna», ha dichiarato Lara Wolters, l'eurodeputata socialista olandese che ha negoziato la nuova direttiva con i governi dell'UE.

Il punto è proprio questo: le quote di genere servono per riequilibrare una situazione di disparità che, altrimenti, difficilmente si evolverebbe.

Allora perché le quote di genere sono spesso criticate dall’opinione pubblica – o dalle stesse donne -  e non considerate nella loro funzione? Proviamo a capirlo.

Quote di genere: cosa sono e a che cosa servono

Con quote di genere si fa riferimento a quei provvedimenti adottati nei consigli di amministrazione o nelle sedi istituzionali allo scopo di introdurre obbligatoriamente una certa percentuale di persone di un dato genere.

Diversi stati europei le hanno adottate seguendo le direttive UE che richiedono l’introduzione di strumenti in grado di realizzare l'uguaglianza sostanziale tra uomini e donne. L’Italia è tra i Paesi che hanno implementato le quote di genere sia a livello politico sia nei Cda, con la legge Golfo-Mosca del 2011.

Da dove nasce l’esigenza di implementare le quote di genere? Dalla sotto rappresentazione sistemica delle donne nei luoghi decisionali - testimoniata dai dati – e dall’obiettivo di sanare questo gap.

Pur componendo il 60% dei titoli di laurea in Europa, infatti, le presenze femminili nei processi decisionali in ambito economico, in particolare ai massimi livelli, sono ancora molto scarse

La percentuale di donne nei cda in Europa è al 35%, ma solo il 7% delle aziende è guidata da un CEO donna. Uno stallo che è stato registrato dal Gender Diversity Index 2021 (GDI), studio europeo presentato dall’associazione European Women on Boards, che ogni anno analizza la rappresentanza di genere nei consigli di amministrazione e ai vertici aziendali delle più grandi realtà europee.

Quando arrivano ai vertici, però, le donne fanno la differenza anche per le altre donne. Il rapporto rivela, infatti, che le aziende guidate da una ceo hanno il doppio delle donne in posizione apicale (38%) rispetto alla media delle aziende (19%)

Perché si dibatte sulle quote di genere

Il sistema delle quote di genere appare come una “forzatura” o una misura ingiusta che viene introdotta per rendere più giusto un mondo che non lo è: «non voglio essere scelta per il mio genere, ma per le mie capacità» è la stessa argomentazione che viene riportate da diverse donne.

Tutto ciò sarebbe vero in un mondo ideale e giusto e non in una società di per sé viziata da elementi di discriminazione sotto vari profili: dal gender gap in senso verticale (come sbarramento di carriera) ed orizzontale (come ridotta presenza femminile in determinati ambiti professionali) al gender pay gap (come diverso trattamento economico a parità di condizioni lavorative). 

In un contesto già in partenza discriminatorio e culturalmente patriarcale, il merito assume un valore arbitrario: le quote di genere non devono essere intese come una pretesa che lo sostituisca, ma come un’opportunità con cui poter darne dimostrazione, uno strumento che possa consentire la parità di opportunità in una società che non è ancora in grado di garantirla.

In questo senso, le quote di genere permettono alle donne di sfondare il Glass ceiling - “soffitto di vetro” - e accedere ai ruoli decisionali che altrimenti non otterrebbero. Non perché inadatte, ma in quanto donne.

Women On Boards: cosa prevede la direttiva

Più donne ai vertici: la direttiva Women On Boards prevede l’introduzione di procedure trasparenti per le assunzioni in azienda. In questo modo almeno il 40% degli incarichi di amministratore non esecutivo o il 33% di tutti gli incarichi di amministratore saranno occupati da donne.

Il Parlamento ha ottenuto che l'obiettivo sia da rispettare entro il 30 giugno 2026, rispetto alla proposta del Consiglio del 31 dicembre 2027. Nei casi in cui i candidati siano ugualmente qualificati per un posto, la priorità dovrebbe andare al candidato del sesso sottorappresentato.

Le società quotate saranno tenute a fornire informazioni alle autorità competenti una volta all'anno sulla rappresentanza di genere nei loro consigli e, se gli obiettivi non sono stati raggiunti, su come intendono raggiungerli. Le informazioni dovranno essere pubblicate sul sito della società in modo facilmente accessibile. Sono escluse dal campo di applicazione della direttiva le piccole e medie imprese con meno di 250 dipendenti.

La proposta prevede infine sanzioni effettive, dissuasive e proporzionate per le società che non rispettano procedure di nomina aperte e trasparenti

«Questo è un grande giorno per le donne in Europa. È anche un grande giorno per le aziende. Perché più diversità significa più crescita, più innovazione» ha commentato la presidente della Commissione Ursula Von der Leyen: una soddisfazione legata non solo all’obiettivo raggiunto, ma anche alla lunga gestazione del provvedimento.

La presidente della Commissione Ursula Von der Leyen
La presidente della Commissione Ursula Von der Leyen

La Commissione, che aveva posto tale direttiva fra gli obiettivi centrali della sua Strategia dell’Unione per la parità di genere (2020-2025), aveva presentato per la prima volta la sua proposta nel 2012. Il fascicolo era stato poi bloccato in Consiglio per quasi un decennio, fino a quando i ministri del lavoro e degli affari sociali hanno sbloccato il testo lo scorso marzo.

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