petizione endometriosi

Endometriosi, la prima petizione popolare in Italia per chiedere misure di tutela più efficaci

In Italia, circa 3 milioni di donne in età riproduttiva soffrono di endometriosi, una malattia cronica per la quale lo Stato non prevede tutele lavorative adeguate o esenzioni sanitarie sufficienti. La petizione popolare lanciata dalla paziente e attivista reggiana Sara Beltrami a inizio marzo è pronta a cambiare le cose

«Ho sempre sofferto tantissimo di dolori mestruali, soprattutto da ragazzina. A 24 anni è arrivata la diagnosi e subito dopo l’operazione», racconta Sara Beltrami, che da circa dieci anni è un’attivista per i diritti delle persone con endometriosi, una malattia cronica che colpisce circa 180 milioni di donne in tutto il mondo e 15 milioni all’interno dell’Unione Europea.

«Volevo cambiare le cose e fare in modo che nessun’altra ragazza provasse le stesse cose che avevo provato io», racconta Beltrami, che dopo l’operazione si è avvicinata al mondo delle associazioni.

È grazie ai loro sforzi, infatti, se negli ultimi dieci anni l’endometriosi ha smesso di essere una condizione semisconosciuta e ampiamente sottovalutata sia in Italia che nel resto d’Europa. Ancora oggi però, alcuni falsi miti sono duri a morire:

«Il primo è di sicuro ‘fai un figlio e ti passa’. Ce lo siamo sentite dire tutte, purtroppo. Un altro grande classico è ‘il dolore è normale’, specialmente durante le mestruazioni. E poi l’ultimo, uno dei peggiori: ‘di endometriosi si guarisce’. L'endometriosi è una malattia cronica per definizione, il che non esclude il fatto che si possa stare bene, o addirittura meglio, purché non si abbassi la guardia, si effettuino le visite di controllo nei centri specializzati e si seguano percorsi terapeutici personalizzati».

spiega Beltrami. Dal suo punto di vista, però, il cambiamento sistemico non può passare solamente dalla sensibilizzazione.

«Queste associazioni sono nate quasi vent’anni fa, quando c’era bisogno di dare un supporto immediato alle pazienti che non avevano idea di quali fossero i centri specializzati a cui rivolgersi o quali fossero i percorsi consigliati per raggiungere il benessere psicofisico. Ora serve fare un passo in più e arrivare a una presa di coscienza sociale e istituzionale», racconta Beltrami, che per questo motivo a inizio marzo ha lanciato la prima petizione popolare in Italia per chiedere al governo misure di tutela più efficaci per le persone con endometriosi.

Un’iniziativa sull'endometriosi unica nel suo genere

L’idea di questa petizione nasce dalla mia esperienza non sempre positiva con le istituzioni. Si sono accumulate tantissime proposte di legge sull’endometriosi negli anni, sia a livello regionale che nazionale. In molti casi, si tratta più che altro di grandi slogan e titoli sui giornali

spiega l’attivista, che per scrivere il testo della sua petizione ha studiato con cura l’iter legislativo di queste iniziative. La maggior parte di queste non proponeva nessun cambiamento concreto ed era stata scritta senza coinvolgere attiviste e associazioni nei tavoli di lavoro. Il risultato è stato che nelle regioni in cui queste leggi alla fine sono approvate per le donne con endometriosi non è cambiato nulla e «la sfiducia delle persone nella politica non ha fatto che aumentare», commenta Beltrami.

«Da lì ho capito l’importanza di un’iniziativa dal basso con cui la stessa cittadinanza potesse costringere le istituzioni a prendere coscienza di questo tema. All’inizio pensavo a una proposta europea, ma poi ho visto l’esempio della campagna sulla Tampon Tax e i suoi risultati e ho pensato che un percorso simile potesse funzionare anche per l’endometriosi».

Ma la vera forza dell’iniziativa di Beltrami non viene solo dal coinvolgimento in prima persona dei cittadini, che solo nel comune di Reggio Emilia hanno già firmato in più di 500, superando di gran lunga le 300 firme necessarie per attivare la mozione popolare.

Il vero vantaggio è che il testo della mozione è studiato per essere riprodotto da qualsiasi comune italiano, che in caso di approvazione della petizione ha l’obbligo di inviare una segnalazione al Ministero della Salute.

L’obiettivo è quindi accumulare quante più segnalazioni possibili per arrivare tra qualche anno a quasi costringere il governo a prendere delle decisioni.

Beltrami infatti ragiona sul lungo periodo, ispirandosi sempre alla lotta per l’abbassamento dell’IVA sugli assorbenti che ha dato i primi risultati dopo almeno tre anni di tentativi e campagne di sensibilizzazione.

«La pandemia ci ha insegnato che è fondamentale essere proattivi nella gestione sanitaria. Per come viene gestita oggi, l’endometriosi è un grande spreco di tempo e denaro sia delle pazienti che delle istituzioni», aggiunge Beltrami, che ha basato il testo della mozione su evidenze scientifiche sul tempo medio di diagnosi per le persone con endometriosi e sulla normalizzazione del dolore femminile.

Cosa chiede il testo della petizione?

«Di fatto si firma due volte: una petizione per il proprio comune e una per la regione, ma il testo è lo stesso», spiega Beltrami, che con la sua iniziativa chiede:

  • Campagne informative strutturate che coinvolgano Istituti Superiori e ASL. Come spiega l’attivista infatti, «L’80% delle donne con endometriosi inizia ad avere sintomi durante l’adolescenza. Ma il ritardo diagnostico dei casi di endometriosi è di quasi 7 anni ed è dovuto in larga parte a una serie di credenze sociali sul dolore femminile»
  • Coinvolgimento ai tavoli di lavoro di persone competenti: non solo attiviste e pazienti, ma anche medici e professionisti specializzati;
  • Una revisione delle tabelle di invalidità e l’esenzione del ticket per spese sanitarie. «Nel 2017 l’Italia ha riconosciuto l’endometriosi come una malattia invalidante. È stato un grande passo avanti, che ha portato all’attivazione di una serie di esenzioni che di fatto però sono riservate alle pazienti con endometriosi grave e sono disponibili solo per prestazioni che in molti casi sono secondarie», spiega Beltrami. «In questo modo non si investe nella prevenzione, si discrimina chi non ha fatto un intervento chirurgico (che è tra l’altro sconsigliato dalle linee guida internazionali, salvo casi molto gravi in cui l’endometriosi può, ad esempio, compromettere la funzionalità di organi vitali), non si distingue tra centri specializzati e non si tiene conto dell’impatto effettivo del dolore sulla vita quotidiana delle pazienti», aggiunge.
  • Garanzia del diritto al lavoro per persone con endometriosi attraverso l’istituzione di tutele lavorative mirate, come il congedo mestruale, la possibilità di lavorare da remoto e l’aumento dei permessi per malattia;
  • Il monitoraggio e l’implementazione di percorsi diagnostico-terapeutici (PDTA). «Molte pazienti sono costrette a vagare per mesi, se non anni, nel labirinto della sanità prima di trovare il percorso adatto a loro. Con i PDTA, che oggi sono attivi solo in Emilia-Romagna e Lombardia, le pazienti sono prese in carico fin dai primi sintomi e indirizzate verso i centri specializzati in base alla gravità della malattia», spiega l’autrice della petizione;
  • Lo snellimento delle liste di attesa post-covid. «La pandemia ha davvero esasperato le condizioni delle donne con endometriosi. Raccolgo testimonianze di donne che devono scegliere tra pagare affitto o i farmaci»

Cosa fare per sostenere la petizione?

«Abbiamo già depositato le firme al comune di Reggio Emilia e a breve verrà convocata la commissione. In caso di voto favorevole, il mio comune sarà il primo a inviare una segnalazione ministeriale ufficiale. Mi sembra di aver avviato questa campagna da un sacco di tempo e invece in meno di un mese sono successe tutte queste cose e stiamo già lanciando l’iniziativa in altri tre comuni emiliani, sono davvero molto soddisfatta!», racconta Beltrami. A livello regionale, invece, la raccolta ha già quasi raggiunto duemila firme in un solo mese, ma continuerà fino a metà del mese di maggio.

«Oltre a venire a firmare, il mio consiglio è attivarsi per coinvolgere il proprio comune. Per farlo, basta individuare un consigliere o un funzionario in grado di validare le firme e contattarmi per ricevere tutta l’assistenza necessaria. Poi si passa alla raccolta delle firme, che non si fa solo nei banchetti in piazza: ogni occasione è buona, dagli aperitivi con le amiche alle cene aziendali», spiega l’attivista, precisando che il confronto con alcune campagne del passato è impressionante:

«Dieci anni fa, quando facevamo i banchetti informativi eravamo noi a fermare la gente per dare i volantini. Ora le persone leggono ‘endometriosi’ e si avvicinano subito per firmare. Lo fanno anche le persone che non ce l’hanno, a dimostrazione del fatto che l’endometriosi non è più considerata alla stregua di un semplice mal di pancia.

È una presa di coscienza di cui la politica dovrà tenere conto

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