Good news/bad news: le notizie dal mondo sul fronte dei diritti civili di settembre 2022
La Scozia è il primo Paese al mondo a fornire gratis gli assorbenti
La Scozia è ufficialmente diventato il primo Paese al mondo in cui gli assorbenti sono gratuiti: da lunedì 15 agosto è entrata in vigore la legge che consente a chiunque ne abbia bisogno di ottenere gratis prodotti per il ciclo mestruale, un provvedimento che il parlamento scozzese aveva già approvato nel novembre del 2020.
Gli assorbenti possono essere chiesti nelle farmacie, nei centri di aggregazione sociale, nei centri giovanili e anche nelle scuole e nelle università, dove erano comunque già offerti gratuitamente da diverso tempo. La proposta di legge era stata presentata dalla parlamentare Monica Lennon, che aveva ricordato come le donne arrivino a spendere sino a 8 sterline al mese per acquistare prodotti indispensabili come quelli per il ciclo: una cifra che per donne e famiglie a basso reddito può incidere in modo notevole sul budget a disposizione.
VEDI ANCHECulturePeriod poverty: cos’è e perché abbattere la Tampox Tax può eliminarlaLennon aveva anche spiegato che offrire gratuitamente gli assorbenti ha anche l’obiettivo di combattere stigma e pregiudizi sulle mestruazioni: «Donne, ragazze e persone che hanno il ciclo non dovrebbero mai sentirsi in imbarazzo e senza dignità per non potersi permettere gli assorbenti», ha sottolineato Lennon parlando di “period poverty”, e cioè quella situazione di indigenza che impedisce di acquistare assorbenti.
A oggi come detto la Scozia è l’unico Paese ad avere reso gratuiti gli assorbenti, mentre altri si sono mossi quantomeno per abbassare l’Iva o per eliminarla del tutto. Canada e Regno Unito fanno parte dei primi, Germania, Francia e Spagna hanno rispettivamente l’Iva al 7, 5,5 e 4%. In Italia invece è al 10%, e questo soltanto da poco, grazie all’ultima legge di bilancio, che ha ridotto l’Iva sui prodotti mestruali dal 22% - il massimo - al 10% appunto.
Chiara Ferragni e la polemica sull’aborto nelle Marche
Ha fatto parecchio discutere, negli ultimi giorni di agosto, la scelta di Chiara Ferragni di intervenire sul tema dell’aborto e dell’obiezione di coscienza in vista delle prossime elezioni. L’imprenditrice digitale su Instagram si è rivolta agli oltre 27 milioni di follower commentando un articolo del Guardian in cui la giornalista, in vista delle imminenti elezioni e della campagna elettorale del centrodestra, discute di come i presidenti di diverse regioni italiane abbiano reso molto difficile l’accesso all’aborto.
Le Marche sono una Regione governata dal centrodestra, e Ferragni da Instagram ha sottolineato che «Fratelli d’Italia ha reso praticamente impossibile abortire nelle Marche, che governa. Una politica che rischia di diventare nazionale se la destra vince le elezioni». Inevitabilmente la dichiarazione ha suscitato un vespaio di polemiche e la reazione di Fratelli d’Italia, che per smentire Ferragni ha citato l’ultima Relazione del ministero della Salute sull’attuazione della legge 194: il 92,9% degli ospedali della regione pratica aborti e dunque l’aborto sarebbe garantito, sottolineano da FdI. La replica però non smentisce, di fatto, quanto sottolineato sia dal Guardina sia dall’influenzar. I dati infatti risalgono al 2020, anno in cui la Regione era ancora governata dal centrosinistra, e si riferisce solo alle strutture in cui sulla carta è possibile accedere all’aborto.
Nulla dice invece sui medici obiettori, quelli cioè che si rifiutano di praticarlo: come fatto notare più volte da molte associazioni che si battono per i diritti delle donne, in molte regioni italiane il tasso di obiezione di coscienza è molto alto, e nelle Marche è del 70%, più alto della media nazionale del 64,6%. Inoltre alla Regione Marche si contesta di non seguire le direttive del ministero della Salute, vietando di praticare l’aborto farmacologico con la pillola Ru 486 nei consultori e limitandone l’uso alle prime 7 settimane di gravidanza. L’Italia ha aggiornato le linee di indirizzo sulla Ru 486 nel 2020, prevedendo l’annullamento dell’obbligo di ricovero in ospedale, l’estensione della prescrizione del farmaco a nove settimane di età gestazionale e la possibilità di somministrazione in consultorio o in ambulatorio. Linee guida che le Marche non hanno recepito.
A Kabul le donne sfidano i talebani e aprono una biblioteca
VEDI ANCHECultureAfghanistan: a un anno dal ritorno dei Talebani, la storia di Parwana, attivista che si batte sui socialA Kabul, la capitale dell’Afghanistan riconquistata poco più di un anno fa dai talebani, un gruppo di donne ha deciso di sfidare i talebani e aprire una biblioteca: un modo per combattere il regime che da mesi ormai continua a erodere i loro diritti, impedendo l’accesso all’istruzione, ai luoghi di lavoro e in generale alla vita pubblica.
«Abbiamo aperto la biblioteca con due scopi: primo, per quelle ragazze che non possono andare a scuola e secondo, per quelle donne che hanno perso il lavoro», ha spiegato alla Reuters Zhulia Parsi, una delle fondatrici della biblioteca. Nella biblioteca sono disponibili oltre 1.000 tra romanzi e saggi, quasi tutti donati da insegnanti, poeti e autori alla Crystal Bayat Foundation, un'organizzazione afghana per i diritti delle donne che ha contribuito alla creazione della biblioteca.
«Con l'apertura di questa biblioteca, vogliamo mostrare la resistenza delle donne ai gruppi che sono contro le donne - ha aggiunto Laila Baseem, attivista e una delle fondatrici della biblioteca delle donne - contro la presenza delle donne e contro le attività delle donne, che se chiudono i cancelli delle scuole, se impongono restrizioni educative o se ignorano una generazione, devono sapere che le donne afghane sono donne che si sono alfabetizzate, conoscono se stesse e hanno la capacità di definirsi nella società».
In Russia vietata la diffusione di “libri Lgbtqia+”
La Roskomnadzor, l’autorità per le comunicazioni della Russia, ha chiesto all’Unione Russa del Libro di fermare la distribuzione di testi che, secondo l’ente che si occupa di censura, promuoverebbero “relazioni sessuali non tradizionali”.
A riportarlo è la testata online indipendente Meduza, una notizia che conferma la crescente erosione dei diritti della comunità LGBTQIA+ nel Paese. Si moltiplicano intanto le manifestazioni organizzate proprio per difendere questi diritti, la cui minaccia principale è da anni ormai la legge che punisce ufficialmente la promozione tra i minori di quelle che vengono definite “relazioni sessuali non tradizionali”. Una legge bocciata dalla Corte europea dei diritti dell'Uomo, perché discriminatoria e lesiva del diritto alla libertà d'espressione.
«In Russia e nelle repubbliche della federazione russa la discriminazione delle persone LGBTQIA+ è senza tregua, anche a causa di una legislazione discriminatoria nei loro confronti - aveva sottolineato ormai qualche anno fa Amnesty International, impegnata nel chiedere l’abolizione di questa legge - Una legge russa vieta la cosiddetta propaganda tra i minori e punisce alcuni gesti con il solo intento di limitare la libertà di espressione delle persone LGBTQIA+. Toccare il fondo schiena può essere molto rischioso: la legge contro la propaganda omosessuale prevede fino a 15 giorni di carcere per questo semplice gesto. Una semplice dimostrazione di affetto può diventare un reato: se perseguita, le persone accusate rischiano una multa salata: fino a 5.000 rubli».
Le elezioni e il voto delle persone transgender
In vista delle elezioni del 25 settembre torna d’attualità la questione del voto per le persone transgender e non binarie, che in molti casi rinunceranno ad andare a votare - e a esercitare, così, un diritto costituzionale - per evitare di essere sottoposte a un coming out forzato. Questo perché in Italia una legge del 1967 stabilisce che le liste elettorali siano suddivise per genere, e spesso nei seggi le file sono separate per uomini e donne. Il che significa una discriminazione che non tiene conto dell’identità di genere della persona che esercita il diritto di voto, ma soltanto di quanto può essere scritto su documenti che in molti casi non sono ancora stati rettificati.
Proprio in vista del voto, dunque, il Gruppo Trans di Bologna ha rilanciato la campagna “Io sono io voto”, diffusa nel 2017, che chiede al ministero degli Interni e alla presidenza del Consiglio dei ministri di cambiare le procedure di voto «per l’ottenimento di seggi elettorali accessibili, inclusivi e rispettosi per le identità Trans*».
«Le attuali procedure di accesso ai seggi elettorali non tengono conto della complessità delle vite delle persone transgender - spiegano i promotori della campagna - Migliaia di persone aventi diritto di voto in questo momento in Italia non sono in possesso di documenti conformi alla propria identità, questo a causa dell’ormai obsoleta legge 164 del 1982 che regola in Italia il processo di rettifica anagrafica dei documenti e richiede alle persone lunghi tempi della burocrazia nei tribunali italiani per poter ottenere un documento che le riconosca nei propri rapporti sociali quotidiani. Essendo espressamente richiesto di collocarsi in una lista, fila o presso un registro “distinto per uomini e donne”, a seconda del mero sesso anagrafico indicato sul documento, si costringono di fatto le persone transgender a violare la propria privacy in pubblici contesti non preparati ad accogliere un coming out, con l’evidente risultato di comprometterne la partecipazione democratica alla vita pubblica».