Good news/bad news: le notizie dal mondo sul fronte dei diritti civili di novembre 2022
La Russia vuole vietare qualsiasi menzione pubblica degli argomenti LGBTQIA+
Giovedì 27 ottobre la Duma di Stato, la Camera Bassa del Parlamento russo, ha votato all’unanimità una proposta che inasprisce la legge sulla cosiddetta "propaganda omosessuale”. Se approvata dal Consiglio della Federazione e dal presidente Vladimir Putin, il provvedimento vieterebbe del tutto di parlare pubblicamente e di fare menzione degli argomenti LGBTQIA+.
La legge originale sulla cosiddetta “propaganda gay” già vieta di parlare di questo tipo di argomenti ai minori, e l’estensione renderebbe di fatto proibito fare riferimenti a livello generale, includendo anche film e libri: «Potrebbe sembrare che ci sia ancora molta strada da fare prima che questa proposta diventi legge - sottolinea Dilya Gafurova dell’associazione Charitable Foundation Sphere - ma, in questo caso, la situazione potrebbe evolversi molto velocemente e, proprio nei prossimi giorni, le nostre peggiori paure potrebbero diventare realtà: questa nuova legge avrà conseguenze devastanti sulla vita delle persone LGBTQIA+ qui in Russia e le organizzazioni come la nostra potrebbero non essere più in grado di fornire assistenza senza subire ripercussioni».
La cosiddetta "Legge sulla propaganda delle relazioni sessuali non tradizionali tra i minori" è stata adottata in Russia nel 2013. Si tratta di una serie di emendamenti alla legge «sulla protezione dei bambini da informazioni dannose per la loro salute e il loro sviluppo» nel codice dei reati amministrativi, e varie altre leggi.
In Russia, oggi, per "propaganda LGBTQIA+" si può essere multati fino a 100.000 rubli se si è un individuo, e fino a 1 milione di rubli se si è un'associazione. Questo vale anche per i siti web dove, secondo le forze dell'ordine, «si diffonde la propaganda»
Le associazioni che si battono per i diritti della comunità LGBTQIA+ russa hanno ricordato come, a oggi, la legge abbia effetti devastanti da moltissimi punti di vista: gli adolescenti LGBTQIA+ non ricevono alcun aiuto dagli psicologi scolastici e dagli assistenti sociali, perché i professionisti hanno paura di essere accusati di "propaganda”, e molte famiglie LGBTQIA+ vivono nella paura che i figli possano essergli portati via. A questo si aggiunge un numero crescente di minacce e aggressioni ai danni di persone LGBTQIA+ su cui la polizia spesso rifiuta di indagare in modo adeguato.
L’approvazione della proposta prevede che «materiali che promuovono relazioni e/o preferenze sessuali non tradizionali» verranno inclusi nell'elenco delle informazioni vietate, che non dovrebbero essere presenti su Internet, nei mass media, nel cinema e nella pubblicità: «La legge contro la cosiddetta "propaganda gay" rafforza gli atteggiamenti ostili contro le persone LGBTQIA+ e ha conseguenze devastanti sulle vite queer - hanno spiegato le associazioni lanciando una petizione - Dovrebbe essere abrogata una volta per tutte».
Milano dice no alle terapie di conversione
Il Consiglio Comunale di Milano ha infatti approvato una mozione che impegna il sindaco e la giunta a mettere in atto tutte le strategie a disposizione finalizzate al contrasto e la messa al bando delle cosiddette “terapie di conversione“, le controverse “terapie” che promettono di “curare”, proprio come se fosse una malattia, l’orientamento sessuale o l’identità di genere di una persona LGBTQIA+.
La mozione è stata presentata dal consigliere del Pd Michele Albiani, ed è stata approvata con 25 voti a favore, 5 contrari e 4 astenuti. Un segnale forte e una presa di posizione da parte del Comune di Milano in un contesto, quello italiano, in cui non esiste ancora una legge che vieti le terapie di conversione. Cosa che è invece già avvenuta in Francia, Canada, Malta, Brasile, Taiwan, Ecuador e Germania.
VEDI ANCHECultureTerapie di conversione per non eterosessuali: la Francia introduce il reato. E in Italia?Le cosiddette “terapie di conversione” sono condotte quasi sempre da sedicenti esperti che classificano la non eterosessualità e la discontinuità tra sesso e genere una malattia che può essere curata. Nei casi migliori ricorrono alla psicoterapia, nei peggiori impiegano farmaci o addirittura l’elettrochoc, e ci sono anche agghiaccianti testimonianze di stupri, soprattutto sulle donne lesbiche, considerati “terapie d’urto” per “guarire dall’omosessualità”. E poi privazione del cibo, minacce, insulti, umiliazioni e altre violenze considerate “correttive”.
Secondo il Consiglio internazionale per la riabilitazione delle vittime di tortura, chi mette in pratica queste “tecniche” sono solitamente professionisti della salute, organizzazioni religiose, curatori tradizionali spesso chiamati a intervenire dalle famiglie o dalle comunità in cui vive la persona che ne diventa vittima. E che si ritrova a fare i conti con pesantissime ricadute psicologiche, dalla perdita di autostima alla depressione passando per ansia, attacchi di panico, isolamento sociale, senso di colpa, vergogna, disfunzioni sessuali e pensieri suicidi.
Le accuse di molestie sessuali nella Royal Navy
La Royal Navy, la marina militare britannica, finisce nell’occhio del ciclone per una serie di denunce su presunti abusi e molestie sessuali ai danni di alcune militari impegnate a bordo dei sottomarini.
Il caso è scoppiato dopo le denunce che alcune donne hanno affidato al Daily Mail.
Le testimonianze condivise parlano di liste compilate dai membri maschi dell'equipaggio per stabilire l'ordine in cui le donne sarebbero state violentate in caso di affondamento del sottomarino, di aggressioni sessuali da parte di ufficiali di rango superiore nel sonno, di pugni, intimidazioni, soprusi e bullismo
Sir Ben Key, il “First Sea Lord” della Royal Navy - e cioè il capo di Stato Maggiore della marina militare britannica - ha definito le denunce «ripugnanti» e ordinato un’indagine interna, sottolineando che «le molestie sessuali non hanno posto nella Royal Navy e non saranno tollerate» e che «chiunque venga ritenuto colpevole sarà considerato responsabile».
...E le accuse di abusi psicologici nel mondo della ginnastica ritmica italiana
Nei giorni in cui la Royal Navy fa i conti con le accuse relative ad abusi sessuali, in Italia è la Federazione Ginnastica d’Italia a ritrovarsi nel bel mezzo della bufera, questa volta per le denunce di bullismo e abuso psicologico arrivate a mezzo stampa da alcune atlete della ginnastica ritmica. Le prime a rompere il silenzio sulle umiliazioni, le pressioni e le costrizioni cui sono state sottoposte principalmente per mantenere il peso ritenuto adeguato alle competizioni nella ritmica sono state Nina Corradini, Anna Basta e Giulia Galtarossa, campionesse azzurre che hanno deciso di parlare pubblicamente del calvario subìto all’Accademia di Desio. Pochi giorni dopo, due atlete bresciane hanno presentato un esposto in procura per presunti maltrattamenti psicologici subiti dagli allenatori.
La reazione della Federazione Ginnastica d’Italia è arrivata il 5 novembre, con una nota del presidente Gherardo Tecchi: «Tutto ciò non può e non deve più accadere. Sono arrabbiato, deluso, amareggiato, e vi posso assicurare che la Federazione tutta sta già collaborando in modo aperto e trasparente con la Procura, al fine di fare piena luce su quanto accaduto - ha scritto Tecchi - La nostra Federazione, come sapete, è un ente morale: la salute delle persone è imprescindibile, é al centro di tutto il progetto sportivo ed è il punto di partenza per arrivare ai successi che abbiamo in passato conseguito insieme».
«Sono pienamente d’accordo con il ministro per lo Sport e i giovani, Andrea Abodi, nel dire che nessuna medaglia vale il benessere di una persona - ha aggiunto Tecchi - E, ve lo dico chiaramente, non sono disposto ad alcun compromesso o scorciatoia quando in ballo ci sono la salute e la felicità delle nostre allieve e dei nostri allievi».
Il primo provvedimento adottato per dare seguito alla dichiarazione è stato quello di firmare una delibera presidenziale di urgenza per nominare il vice presidente Valter Peroni commissario straordinario per il Centro di Desio e commissariarlo: «A lui sarà affidata la completa gestione del centro».
Tokyo riconosce ufficialmente le unioni civili
A partire da novembre, il governo metropolitano di Tokyo ha iniziato a rilasciare certificati di unione civile a persone dello stesso sesso che vivono, lavorano o studiano nella capitale giapponese.
La misura era prevista già dal maggio stesso da un disegno di legge presentato dalla governatrice Yuriko Koike, ratificata poi nei mesi successivi. Si tratta di un’importante presa di posizione da parte dell’amministrazione di Tokyo, tenuto conto del fatto che il Giappone è l’unico Paese membro del G7 in cui il matrimonio omosessuale resta vietato e dove le unioni civili a livello nazionale non sono riconosciute.
Il provvedimento consente alle coppie l’accesso ad alcuni servizi pubblici relativi all'alloggio e alla salute, prevedendo la possibilità di visite specialistiche al partner ricoverato, o all'assistenza sociale. Anche i figli potranno essere inseriti nella registrazione della coppia.
«Spero che in questo modo si accelereranno gli sforzi per creare una società in cui i diritti delle minoranze sessuali possano essere protetti», ha detto nel corso di una conferenza stampa Soyoka Yamamoto. L’obiettivo è trasformare Tokyo in un esempio virtuoso per tutto il Giappone, e far sì che l’intero Paese adotti lo stesso modello.