Collettivo Jane, il gruppo di donne americane che sfidò la legge per garantire l’aborto sicuro

Nel 1968 la telefonata a una studentessa dell'Università di Chicago mise in moto una serie di eventi che portarono alla costituzione di un gruppo clandestino impegnato ad assicurare alle donne un accesso sicuro all'aborto quando era ancora illegale: ecco la storia del Collettivo Jane

Mai come nel 2021 (e in questi inizi 2022) l’aborto è stato un tema dibattuto, sia in termini di diritti sia in termini di accesso a quello che è appunto un diritto, in Italia sancito della legge 194 del 1978. 

Negli ultimi mesi abbiamo visto e letto di Stati decisi a renderlo illegale e inaccessibile - tanto per citare alcuni esempi, il Mississippi e il Texas - altri che hanno invece deciso di lottare per depenalizzarlo ottenendo vittorie importantissime, come San Marino e l’Argentina.

Decisioni prese nel primo caso sulla pelle delle donne, nel secondo per (e da) le donne, che richiamano tempi in cui per garantire la libertà di scelta c’è stato anche chi ha sfidato la legge. È il caso del Collettivo Jane, al centro di ben due produzioni presentate al Sundance Festival, il festival del cinema indipendente andato in scena a fine gennaio tra le montagne dello Utah.

Si tratta di un documentario della Hbo, The Janes, e di un film diretto da Phyllis Nagy con protagoniste Sigourney Weaver ed Elizabeth Banks, Call Jane, presentato anche alla Berlinale. Entrambi si concentrano sulla storia del gruppo di donne che alla fine degli anni ’70 si costituì e si attivò, pur nell’illegalità e sotto traccia, per aiutare migliaia di donne ad abortire in modo sicuro, ripercorrendone la nascita e l’attività nella città di Chicago, Illinois.

Le origini del Collettivo Jane

La storia del Collettivo Jane inizia nel 1965, quando Heather Booth, studentessa dell’Univestità di Chicago, venne a sapere che la sorella di un’amica era rimasta incinta e che quella gravidanza indesiderata era per lei talmente traumatizzante da farle pensare al suicidio. Nell’America di quegli anni l’aborto era ancora illegale, ma toccare con mano la disperazione derivante dall’impossibilità di scegliere spinse Booth prima a interessarsi alla questione, e poi ad attivarsi per aiutare quella ragazza.

Si mise in contatto con il Medical Committee for Human Rights, il Comitato medico per i diritti umani, che a sua volta la mise in contatto con Theodore Roosevelt Mason Howard, leader americano per i diritti civili, imprenditore e chirurgo. Booth mandò l’amica nella sua clinica, aiutando la prima delle migliaia di donne che sarebbero arrivate negli anni successivi. 

Quando si sparse la voce che Booth, oggi 77 anni, era in grado di aiutare le donne ad avere aborti sicuri, il suo telefono divenne incandescente. Sotto lo pseudonimo “Jane”,  la studentessa iniziò a ricevere decine di telefonate nel suo dormitorio del college, tutte da parte di donne che venivano poi indirizzate verso Howard. Quando le chiamate divennero troppe, Booth decise di rivolgersi ad altre attiviste del movimento di liberazione delle donne per formarle adeguatamente e darle una mano. Il Collettivo Jane divenne in poco tempo un punto di riferimento per moltissime donne in cerca di informazioni, nominativi e indirizzi di medici abortisti, che le attiviste del gruppo vagliavano e valutavano prima di consigliare. 

Dalle chiamate al dormitorio al quartier generale in Hyde Park

Una sorta di consultorio nato nell’Hyde Park di Chicago, nel 1969 divenne l’Abortion Counseling Service of Women's Liberation. A quei tempi Booth, che aveva finito il college, aveva incontrato e sposato il marito Paul, anche lui attivista per i diritti umani e civili, ed era incinta.

Il gruppo contava su una decina di membri che promuovevano la loro attività sui giornali studenteschi, invitando le donne che avevano bisogno di aiuto e supporto per interrompere una gravidanza a “Chiamare Jane”, con indicato un numero di telefono.

Al collettivo si rivolgevano principalmente donne che non potevano permettersi di viaggiare verso Paesi in cui l’aborto era legale, e che spesso finivano per sottoporsi a procedure chirurgiche pericolosissime e praticate da sedicenti medici che chiedevano cifre da capogiro per operare in ambienti non sterili. Le donne del collettivo avevano invece selezionato un medico di fiducia, di cui non è mai stata resa nota l’identità. La procedura standard prevedeva dopo un primo contatto un incontro e poi l’accompagnamento in un luogo sicuro per essere sottoposte all’intervento di interruzione della gravidanza.

I costi rimanevano comunque alti, circa 500 dollari per aborto, e le donne del collettivo sfruttarono raccolte fondi per ottenere i soldi necessari a coprire i costi per chi non poteva permetterselo.

La decisione di imparare le procedure per l'interruzione di gravidanza

Questo meccanismo proseguì sino al 1971, quando Booth scoprì che il chirurgo di fiducia cui si rivolgevano per gli aborti non era in realtà un dottore. Dopo lo choc iniziale il gruppo si divise.

Una parte pensava fosse arrivato il momento di chiudere, un’altra parte realizzò che con l’adeguata formazione medica anche loro avrebbero potuto praticare aborti. E così fecero: “Jenny”, una delle fondatrici del collettivo insieme con Booth, imparò le procedure e iniziò a praticare lei stessa gli aborti tagliando nettamente i costi, mentre il gruppo diventava via via più strutturato e contava su un laboratorio per pap test.

La situazione precipitò nel 1972, quando la polizia fece irruzione in uno degli appartamenti a disposizione del collettivo e sette donne che vi lavoravano furono arrestate. Le accuse erano di avere praticate aborti illegali e di cospirazione.

Rilasciate su cauzione, le sette arrestate si affidarono all’avvocata Jo-Anne Wolfson, che adottò per difenderle una strategia risultata vincente: rimandò il più possibile il processo, consapevole che la Corte Suprema stava deliberando sulla storica causa Roe v. Wade, che divenne lo spartiacque negli Stati Uniti sul tema dell’aborto. Quando arrivò la sentenza, che lo depenalizzò, Wolfson riuscì a far ritirare le accuse verso le sette donne del Collettivo arrestate.

La fine del Collettivo Jane e la sua eredità

La legalizzazione dell’aborto segnò la fine del Collettivo. Dal 1968 al 1973 furono almeno 11.000 gli aborti praticati tramite il gruppo, e neppure uno ebbe esiti letali. Un’ostetrica incaricata di effettuare visite dii follow-up per le pazienti del Collettivo dichiarò che lo standard di sicurezza di quegli interventi era paragonabile a quelli operati legalmente nelle cliniche di New York e della California, Stati in cui l’aborto era legale.

Dall’esperienza del Collettivo nacque, nel 1985, Chicago Abortion Fund, un'organizzazione senza scopo di lucro che fornisce referenze mediche e fondi alle donne a basso reddito che necessitano di servizi di aborto sicuro. Tra le fondatrici compare anche Heather Booth, oggi un’attivista per i diritti umani e civili ancora politicamente impegnata su diversi fronti.

Resta poi l'enorme eredità che le donne del Collettivo Jane hanno lasciato agli attivisti per i diritti umani e delle donne, che nel corso degli anni hanno definito la costituzione del gruppo "una chiamata alle armi":

Il cambiamento arriverà se ci organizziamo, e solo se ci organizziamo - è il motto di Heather - Se ci organizziamo possiamo cambiare il mondo. E quando ci siamo organizzate abbiamo cambiato il mondo

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