Identità di genere e linguaggio inclusivo: la rivoluzione parte dalle scuole

Monta la richiesta di un linguaggio più inclusivo a livello istituzionale, e aumentano le realtà che adottano regolamenti finalizzati a incentivarne l'uso per rispettare l'identità di genere: i casi in Italia e all'estero

La lotta ai pregiudizi e alle discriminazioni passa anche attraverso l’educazione e la sensibilizzazione sul tema tra i giovanissimi. Che spesso sono anche i primi a chiedere che i diritti vengano non solo riconosciuti, ma anche rispettati, in primis attraverso le parole usate. E se è vero che esistono scuole che sono ancora restie ad adeguare norme e regolamenti a determinate esigenze, crescono sempre di più quelle che le riconoscono. È il caso del liceo classico e musicale Cavour di Torino, che, unico in Italia, ha deciso di modificare la comunicazione istituzionale introducendo un asterisco ogni qualvolta si utilizzino termini genericamente declinati in maschile e femminile.

L’obiettivo è andare oltre gli stereotipi e le convenzioni legate all’identità di genere, e adottare un linguaggio più inclusivo e privo di etichette: con il nuovo regolamento, dalle circolari e dalle comunicazioni rivolte a docenti, corpo studentesco e famiglie, spariscono parole come “studente” e  “studentessa”, “allievo” o “allieva”, “ragazzo” o “ragazza”, sostituite da termini come student*, alliev*,  ragazz*. Stessa cosa per pronomi e aggettivi: la declinazione di genere sparisce, sostituita dall’asterisco, per promuovere la cultura del rispetto e dell'inclusione e combattere le discriminazioni legate all’orientamento sessuale e all’identità di genere.

«L’identità e l'uguaglianza di genere sono elementi a cui attribuiamo un'importanza fondamentale nella nostra comunità scolastica - ha detto il dirigente scolastico Vincenzo Salcone - E il linguaggio che utilizziamo rispecchia questo sentire. L'asterisco specifica che per noi tutti sono uguali a prescindere dalla loro identità e orientamento sessuale».

La campagna del Miur #rispettaledifferenze

L’istituto è uno dei tantissimi che aderiscono a "Noi siamo pari", il progetto avviato dal Miur - Ministero dell'Istruzione per incentivare, supportare e diffondere progetti sui temi dell'inclusione e dell’educazione al rispetto. Proprio all’interno del Piano nazionale per l’educazione al rispetto è stata lanciata la campagna di sensibilizzazione “Rispetta le differenze” che, partendo dall’articolo 3 della Costituzione, ha come obiettivo quello di «affermare con forza l’uguaglianza tra tutte le studentesse e gli studenti e il rispetto delle loro differenze», hanno spiegato dal Miur. Le scuole che aderiscono sono invitate a condividere iniziative e progetti sull’apposita piattaforma, e il liceo Cavour, uno tra i più prestigiosi di Torino, è uno degli istituti che hanno deciso di aderire alla campagna. 

Che il linguaggio e il modo di comunicare debbano evolversi, adattandosi alla necessità di maggiore inclusione e rispetto attraverso le parole usate, è d’altronde un tema al centro di un dibattito che prosegue ormai da anni. Le associazioni da tempo si battono per spingere le istituzioni e i luoghi di formazione a usare un linguaggio più inclusivo e meno stereotipato, sia quando si parla di donne (pensiamo alla declinazione esclusivamente maschile, per esempio, di alcune professioni) sia sul fronte dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere.

La carriera alias all'università e nei licei

Nell’ambito dell’istruzione, numerose università italiane - dalla Ca’ Foscari di Venezia alla Sapienza di Roma - hanno aderito a protocolli per l’attivazione della cosiddetta “carriera alias”, e cioè la possibilità per studenti e studentesse di essere identificati in un genere alternativo a quello di nascita, e di vedersi riconosciuto questo diritto a livello istituzionale. A giugno 2018, stando ai dati diffusi da Universitrans, in Italia su 68 atenei pubblici, 32 offrivano la possibilità di iscriversi adoperando la carriera alias, e 6 atenei offrivano altri strumenti di tutela come, per esempio, il doppio libretto. 

La stessa visione è stata recentemente adottata anche da diversi licei, come il Ripetta di Roma, dove gli studenti - spesso i primi a manifestare per il rispetto dei diritti - hanno siglato un protocollo con la direzione scolastica (il protocollo Alias) che conferisce agli studenti transgender il diritto di scegliere il proprio nome dimostrando di avere intrapreso “un percorso psicologico e/o mediatico, finalizzato ad eventuale rettificazione di attribuzione di sesso e desideri utilizzare un nome diverso da quello anagrafico”.

A Pisa gli studenti degli liceo Dini si sono mobilitati dopo il rifiuto della scuola di consentire a un compagno di classe di avviare la cosiddetta carriera alias come studente e non più come studentessa. Con loro si sono schierati anche alcuni docenti. Sempre a Pisa, dall’inizio dell’anno scolastico in corso chi frequenta il liceo artistico Russoli e vuole essere riconosciuto e denominato con un genere differente rispetto a quello assegnato alla nascita può farlo grazie al regolamento che introduce la carriera alias.

Il caso del Comune di Castelfranco Emilia e del dizionario francese Le Petit Robert

Una rivoluzione culturale che parte dalle scuole, insomma, come d’altronde dovrebbe essere quando si parla di educazione e formazione. E anche alcuni Comuni hanno deciso di adeguarsi: ad aprile ha fatto scalpore la notizia che il Comune di Castelfranco Emilia ha deciso di utilizzare la schwa (“tuttə”), una desinenza neutra, nelle sue comunicazioni.

«Il rispetto e la valorizzazione delle differenze sono principi fondamentali della nostra comunità, e il linguaggio che utilizziamo quotidianamente dovrebbe rispecchiare tali principi - avevano spiegato su Facebook - Ecco perché vogliamo fare maggiore attenzione a come ci esprimiamo: il linguaggio, infatti, non è solo uno strumento per comunicare, ma anche per plasmare il modo in cui pensiamo, agiamo e viviamo le relazioni. Ecco perché abbiamo deciso di adottare un linguaggio più inclusivo: al maschile universale (“tutti”) sostituiremo la schwa (“tuttə”), una desinenza neutra. Questo non significa stravolgere la nostra lingua o le nostre abitudini, significa fare un esercizio di cura e attenzione verso tutte le persone, in modo che si sentano ugualmente rappresentate».

E superando i confini nazionali, recentemente in Francia ha suscitato un acceso dibattito la decisione del dizionario Le Petit Robert di introdurre nelle sue pagine il suffisso "iel”, fusione tra "il" (lui) e "elle" (lei) per promuovere una lingua, parlata e scritta, più inclusiva.

«Il significato della parola 'iel' non può essere compreso semplicemente leggendola - ha spiegato Charles Bimbenet, direttore generale delle dizioni Le Robert, rispondendo alle critiche e al clamore suscitato dall’annuncio - ci è sembrato utile specificarne il significato per coloro che la incontrano, sia che vogliano usarla o… rifiutarla. La missione di Le Robert è osservare e riferire sull'evoluzione di una lingua francese mutevole e diversificata».

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