Jane Campion

Golden Globe: perché la vittoria di Jane Campion è il riconoscimento che aspettavamo da tempo

La regista neozelandese ha vinto il premio per la miglior regia con Il potere del cane: è dal 1993 che racconta tutta la complessità delle donne, portando alla luce desideri e pulsioni sopiti e nascosti in profondità

Una cerimonia sottotono, niente red carpet e niente dirette televisive o in streaming, e la pandemia di Covid che influisce marginalmente: i Golden Globe 2022, i premi dedicati al cinema e alla televisione che per molti anni hanno rappresentato l’anticamera degli Oscar, sembrano avere perso in parte l’appeal dopo le polemiche contro la Hollywood Foreign Press Association, l’organizzazione che li assegna in base al voto di un centinaio di giornalisti stranieri che ne fanno parte. Accusata di essere una sorta di “gilda” composta da membri anziani e potenti che malvolentieri si aprono al nuovo, e di non rispettare le minoranze, ha provato a correre ai ripari ma a oggi il prestigio dei Golden Globe sembra appannato. Eppure non si può non parlare del fatto che a vincere il premio per la migliore regia, quest’anno, sia stata una regista che sui personaggi femminili, sulla loro complessità e sulla loro forza, ha costruito la carriera: Jane Campion.

A vincere il premio per la migliore regia, quest’anno è stata una regista che sui personaggi femminili, sulla loro complessità e sulla loro forza, ha costruito la carriera

Campion, 67 anni, ha vinto il Golden Globe per la regia di Il potere del cane, che ha anche vinto il premio come miglior film drammatico. È stata lei l’unica ad avere il coraggio di portare sul grande schermo il romanzo di Thomas Savage considerato un capolavoro della narrativa americana, un western scritto nel 1967 e ambientato negli anni ’20 del Novecento che nel corso dei decenni ha attirato moltissimi registi, sceneggiatori e case di produzione senza che se ne facesse mai nulla. La regista neozelandese ha invece deciso di provarci, e alla fine ha vinto.

Le donne (e gli uomini) nei film di Jane Campion

Campion d’altronde sembra la professionista più indicata a portare sul grande schermo i tormenti interiori di un rude ranchero (Benedict Cumberbatch) in lotta con i suoi impulsi più nascosti e le pulsioni più represse. Senza entrare nel dettaglio del film - per evitare spoiler - è sufficiente descrivere brevemente la trama: Phil Burbank è il proprietario, con il fratello, di un ranch nel Montana, quando nella loro vita arrivano la vedova Rose (Kirsten Dunst) e il figlio Peter. Quest'ultimo li prende di mira, iniziando a tormentarli per fuggire da quelli che sono in realtà i suoi demoni. 

Una storia in cui la regista si addentra nella tossicità degli stereotipi sull’essere uomo e comportarsi da uomo, sulla complessità dei sentimenti e delle relazioni, sul "machismo" e la mascolinità tossica, come confermato anche da Benedict Cumberbatch, che ha parlato così del personaggio a Venezia: «La sua tossicità dipende da come è stato cresciuto. Lo capisco e non lo giudico, ma il fatto che non ha redenzione fa parte della sua storia. Comunque un personaggio complesso che è riduttivo considerare solo cattivo». 

Campion non ha mai avuto timore di portare sul grande schermo i luoghi più oscuri della mente. E anche se Il potere del cane è un film prettamente maschile, il suo tocco e la sua visione sono evidenti, così come la volontà di portare sullo schermo le parti più nascoste dei personaggi. La regista d’altronde ha sempre voluto rappresentare le donne evitando ogni genere di stereotipo: mai creature deboli da salvare, ma piene di contrasti e composte da tante sfaccettature, forti e allo stesso tempo fragili, indipendenti ma disposte a sacrificarsi per amore, perfette nelle loro imperfezioni. Spesso distruttive e distruttrici, loro malgrado.

Campion non ha mai avuto timore di portare sul grande schermo i luoghi più oscuri della mente. E anche se Il potere del cane è un film prettamente maschile, il suo tocco e la sua visione sono evidenti

Da “Lezioni di Piano” a “Bright Star”

«Oggi le donne devono da un lato pensare alla propria indipendenza e dall’altro affrontare il fatto che le loro vite sono orientate a soddisfare il modello romantico con cui sono state cresciute», ha detto Campion in un’intervista, una frase che ben descrive i personaggi femminili dei suoi film. Basti pensare ad Ada (Holly Hunter), la nobildonna scozzese, muta, protagonista del triangolo amoroso di Lezioni di piano: promessa sposa di Alistair Stewart, ricco possidente terriero che non neppure conosce, approda in Nuova Zelanda con la figlioletta e l’amato pianoforte, con cui comunica con il mondo. Appena arrivata conosce il socio del futuro marito, George Baines, burbero inglese naturalizzato maori che si invaghisce di lei e le chiede di insegnargli a suonare il piano usandolo come scusa per rivederla. In quel mondo sconosciuto Ada è costretta dagli uomini che la circondano a condividere se stessa e la sua passione, ma finisce per cedere all’amore che sente nascere verso Baines, arrivando a un passo dalla tragedia. Un’altra storia di desideri inconfessabili e pulsioni profonde, un’altra protagonista femminile che eclissa quelli maschili e che la fa diventare la prima donna a vincere la Palma d’Oro a Cannes. Con Hunter, Campion tornerà a lavorare anche in futuro, e soprattutto svilupperà un rapporto di amicizia che terrà anche nel corso degli anni successivi e che dura ancora oggi.

Tre anni dopo Lezioni di Piano, nel 1996, Campion torna a raccontare la storia di una donna, e di un amore, tormentati: Nicole Kidman è Isabel Archer in Ritratto di signora, tratto dal romanzo di Henry James. Nel film Campion accompagna gli spettatori nella vita di una giovane donna che nella seconda metà dell’800 si ribella al destino che già era stato scritto per lei e lotta per la libertà, pur pagandola a caro prezzo. La critica accoglie il film in modo tiepido, ma la regista si conferma una voce fondamentale per parlare alle donne e di donne. Anche Holy Smoke, uscito nel 1999, con convince la critica, ma la torbida storia tra Kate Winslet, giovane donna che si unisce a una setta in India, e Harvey Keitel, l’uomo che ha il compito di “deprogrammarla”, lascia comunque il segno.

Inevitabile che le attrici desiderino lavorare con Campion, mettendosi anche alla prova con personaggi che poco hanno a che fare con quelli che interpretano di solito. È il caso di Meg Ryan, che per lavorare con la regista neozelandese si cala nei panni di un’innocua insegnante che si ritrova al centro di un omicidio e di una oscura e passionale relazione con il detective che se ne occupa: il film è In the cut, e la performance di Ryan viene penalizzata dal fatto di avere sempre rivestito il ruolo di "fidanzatina d’America", risultando a detta dei critici poco credibile in un thriller. Anche nella scelta di Ryan come protagonista, però, Campion implicitamente lancia un messaggio: basta stereotipi. 

Meg Ryan Jane Campion
Meg Ryan e Jane Campion con Mark Ruffallo alla prima di "In the Cut"

Si arriva poi al 2009: nei cinema esce Bright Star, film che racconta gli ultimi anni di vita del poeta britannico John Keats. Il film non ruota però intorno a lui ma intorno a Fanny Brawne (Abbie Cornish), la donna di cui il poeta si innamorò perdutamente. Figlia di una ricca famiglia della borghesia, Fanny lottò contro tutto e tutti per stare vicina a Keats, un’altra donna disposta a combattere per ciò che desidera, pur consapevole di quanto possa rivelarsi dannoso. 

Dal 2009 al 2020 Campion resta lontana dal cinema, ma si concede una breve incursione nel mondo della tv dirigendo una straordinaria Elizabeth Moss in Top of the Lake: la serie racconta la storia della detective Robin Griffin, tormentata da un passato difficile e da un trauma e alle prese con la scomparsa di una dodicenne incinta. Questa volta il giudizio è unanime: la regista ha colto nel segno, affrontando con maestria temi come la violenza sessuale e la maternità.

Il potere del cane, adesso, apre nuove strade. Campion con questo film ha già vinto il Leone d’Argento per la migliore regia al Festival di Venezia, e in molti la danno come favorita agli Oscar. Si tratterebbe, nel caso, della terza donna a portarsi a casa la statuetta: prima di lei ci sono riuscite solo Kathryn Bigelow nel 2010 con The Hurt Locker e lo scorso anno Chloé Zhao con Nomadland. Per capire se anche Campion si aggiungerà alla (brevissima) lista bisogna attendere domenica 27 marzo, giorno della 94esima cerimonia degli Oscar.

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