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Il problema della fila nei bagni per le donne: perché accade e come risolverlo

25-05-2022
Per utilizzare un bagno pubblico, le donne attendono in coda in media 6 minuti e 19 secondi, mentre gli uomini solo 11 secondi. L’anatomia femminile può considerarsi la causa principale del fenomeno anche nel 2022? La risposta ha a che fare con un discorso più ampio sulla progettazione urbanistica: le città, gli spazi pubblici e gli spazi in generale sono stati costruiti a misura d’uomo, compresi i bagni

The Guardian riporta che la quantità di tempo necessaria a una donna per utilizzare la toilette può essere fino a 2,3 volte superiore rispetto a quella di un uomo. Tra le altre cose, il dato è legato a un’evidenza di carattere fisiologico: il genere femminile impiega mediamente 90 secondi, contro i 60 del maschile, a svuotare la vescica

Ma quanto incidono, realisticamente, la conformazione e i bisogni del corpo umano sul tempo di attesa che trascorriamo in coda davanti ai bagni? 

Perché le donne, per utilizzare un gabinetto pubblico, attendono in coda 6 minuti e 19 secondi mentre gli uomini solo 11 secondi? Perchè, nella maggior parte dei casi, il servizio è gratuito per gli uomini ma a pagamento per le donne

Le città ignorano le donne

«Le città, storicamente, sono state pianificate e costruite da uomini mettendo al centro le esigenze degli uomini», ci ha spiegato Azzurra Muzzonigro, architetta e co-founder di Sex & the City, associazione di promozione sociale per l’integrazione della dimensione di genere nelle riflessioni sulla città.

Quando in urbanistica si parla di standard, esso sottende un soggetto neutro che, però, si riferisce automaticamente a un soggetto maschio, bianco, cisgender, benestante, abile e libero da carichi di cura

«Questo è un riflesso dell’ordine sociale che da millenni regge le nostre società e che vede le donne legate alla sfera privata, ancorate allo spazio domestico ad occuparsi del lavoro di cura e gli uomini dominatori indiscussi della sfera e dello spazio pubblico, a loro volta stereotipati nel ruolo di breadwinners, di coloro cioè che hanno la responsabilità della stabilità economica della famiglia» continua Muzzonigro.

Questo stato di cose si riflette nel modo in cui le città sono costruite

«Si pensi, ad esempio, ai bagni pubblici: la loro carenza, malfunzionamento e scarsa igiene incide in maniera più determinante sulla presenza delle donne nello spazio pubblico, più che su quella degli uomini. I maschi possono trovare soluzioni alternative. Per le ragazze, a partire dall’adolescenza, è significativamente più complesso».

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Le donne sono presenti nelle progettazioni urbane? 

«Sebbene resti un grande divario fra il numero di donne laureate in architettura e quante praticano poi effettivamente la professione (a causa perlopiù ancora una volta del lavoro di cura in forma di maternità che incombe sulle loro vite), oggi il numero di donne progettiste è senz’altro aumentato rispetto a qualche decennio fa», approfondisce Muzzonigro. 

«Dico questo non tanto perché città o edifici progettati da donne implichino una via femminile all’architettura che mette le donne automaticamente a proprio agio, quanto perché una donna ha ben presente cosa significhi attraversare la città con un carrello della spesa o un passeggino, non trovare un posto dove allattare o cambiare un bambino o avere paura nelle strade buie di notte».

«Lo scopo, è bene ripeterlo, non è aiutare le donne a svolgere più agevolmente i lavori di cura, ma mettere la cura al centro della progettazione a prescindere dal genere che se ne faccia carico», evidenzia l’architetta.

Esiste un’urbanistica di genere?

«Per urbanistica di genere s’intende incorporare nella pianificazione urbana l’attenzione per le differenze di genere e non: significa progettare spazi che mettano al centro i bisogni non soltanto di donne e minoranze di genere ma di tutti i corpi e soggetti che eccedono il paradigma funzionale che era al centro della pianificazione modernista».

Muzzonigro sottolinea che questa visione è diffusa tra numerose studiose, non solo urbaniste: «Si pensi ad esempio all’antropologa e attivista statunitense Jane Jacobs che già negli anni ‘60 in Vita e morte delle grandi metropoli americane sosteneva l’importanza di mettere al centro della pianificazione i reali usi della città nella vita quotidiana degli abitanti; oppure alla cooperativa di architette e designer Matrix Design Cooperative che dagli anni ‘70 in Gran Bretagna pone l’accento su come l’architettura e la pianificazione non siano pensate per i corpi femminili.

Altri testi più recenti a riguardo sono la Città Femminista della geografa canadese Leslie Kern e Invisibili di Caroline Criado-Perez, in cui l'autrice racconta di come non solo gli spazi ma anche gli oggetti siano progettati intorno a un modello maschile ignorando la presenza delle donne

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Perchè la fila si forma solo davanti ai bagni delle donne e come rimediare?

«Alla base c’è una questione fisica», evidenzia Muzzonigro. «Una donna, per andare al bagno, deve fare alcuni passaggi in più rispetto a un uomo, che comportano anche dei tempi superiori (almeno il doppio) e durante le mestruazioni anche di più. È chiaro quindi che, a parità di persone in fila, il tempo di attesa per le donne è superiore rispetto agli uomini.  Già questo basta a mostrare che a livello di progettazione, 

non si può pensare di destinare ai bagni di donne e uomini gli stessi metri quadri

Oltre ai tempi di permanenza diversi, nei bagni degli uomini la presenza degli orinatoi aumenta ancora di più il numero di utenti simultanei. I bagni delle donne devono essere quindi di più numericamente di quelli degli uomini per far fronte alle differenze nell’uso».

L’esperta si sofferma, poi, su altre due questioni: una è quella di rompere l’identificazione della donna come madre e quindi come colei che deve farsi carico della cura dei figli in ogni situazione. Come?

Ad esempio si potrebbero mettere i fasciatoi anche nel bagno degli uomini per mandare un messaggio chiaro e potente

Esiste a tal proposito una campagna a Milano che si chiama #iocambio e che fa proprio questo. L’altra questione è quella delle minoranze di genere che non si riconoscono in una distinzione binaria: l’argomento è divisivo anche all’interno degli stessi movimenti femministi, ma forse una soluzione condivisibile da tutti potrebbe essere un terzo bagno gender fluid.

Nessun progetto per il ripensamento di spazi urbani a misura di genere

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Ma esistono, in Italia, progetti e fondi dedicati al ripensamento di spazi urbani a misura di genere? «Non ancora», risponde l’architetta. Ad oggi in Italia l’attenzione al genere tuttalpiù dà luogo a interventi puntuali quali l’intitolazione di qualche spazio pubblico a figure femminili che in media in italia non superano il 5% delle intitolazioni totali, ma non esistono ancora azioni amministrative gender mainstreaming come in altre città europee come Vienna e Barcellona che costituiscono dei modelli virtuosi a cui guardare e in cui questa prospettiva ha generato e sta generando spazi inclusivi pensati mettendo al centro i bisogni di chi li usa nella vita quotidiana.

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