Bumpy, la font modulabile per ripensare i nostri assunti sul genere

18-07-2022
La nostra società definisce con rigore cosa è “da maschio” e cosa “da femmina”. Succede persino nel campo della tipografia, dove alcune forme delle lettere vengono considerate più o meno virili

Tuttavia, i cosiddetti attributi di genere nel contesto della tipografia sono definiti unicamente sulla base di aspetti culturali. Per contrastare le limitazioni discriminatorie dello stereotipo, la designer italiana Beatrice Caciotti ha progettato una font variabile e modulabile: si chiama Bumpy.

Attributi di genere nella tipografia: un’idea di inizio Novecento

Quella degli attributi di genere è un’idea antica, applicata alla tipografia fin dalle prime fasi della teoria del design. Già William Morris, sul finire del XIX secolo, non tollerava l’estetica dei libri stampati dell’epoca. Tuttavia, nel tentativo di spiegare ciò che non andasse rispetto alla tipografia preindustriale, affermò che le linee moderne erano eccessivamente ornate e leggere: erano, disse, femminili. Il ritorno a forme più pesanti, robuste e scure, avrebbe invece ristabilito il vigore della pagina stampata.

Morris, di fatto, attribuisce a ciò che non apprezza l’idea di debolezza o svogliatezza, e per rendere comprensibile questa associazione la esplicita abbinandola al femminile, in una concezione stereotipica in cui questi concetti sono legati a stretto giro

Ancora prima, il tipografo americano Theodore Low De Vinne era intervenuto in una conferenza sulla stampa con un discorso intitolato “Masculine printing”, e cioè “stampa maschile”. De Vinne spiegò fin da subito che la divisione in maschile e femminile era funzionale a spiegare le differenze tra ciò che approvava, e cioè uno stile di scrittura più leggibile, definito e senza inutili ornamenti, definito maschile, contro uno stile delicato, grazioso, debole: insomma, femminile.

Le affermazioni di De Vinne furono talmente influenti che intorno al 1892 gli è stata dedicata una font che si chiama come lui, la cui creazione è stata attribuita a Gustav F. Schroeder e Nicholas J. Werner: due uomini, appunto.

Ruoli di genere e tipografia

È interessante notare come, quando il genere viene incorporato nelle definizioni in questo modo, riesca non solo a riflettere gli stereotipi, ma finisca per rafforzarli.

L’utilizzo di attributi di genere nel contesto della tipografia, infatti, è unicamente basato su aspetti culturali e non su fondamenti oggettivi: eppure, la forza del ruolo di genere ci porta a impersonarlo. Un esempio è rappresentato dal marketing, nello specifico dal targeting del pubblico

Nel campo del marketing si studiano gli stereotipi di genere per targhettizzare meglio i prodotti
Nel campo del marketing si studiano gli stereotipi di genere per targhettizzare meglio i prodotti

La visual designer italiana Beatrice Caciotti ha infatti notato come i loghi dei giocattoli fossero diversi a seconda della destinazione d’indirizzo: quelli tipicamente commercializzati per le bambine contenevano in prevalenza caratteri scritti a mano e a spirale; quelli per bambini, perlopiù caratteri in grassetto e sans serif.

Nel contesto del marketing, infatti, i designer cercano di comprendere le differenze stereotipiche di genere per poterle sfruttare con finalità di vendita: di fatto, però, le rafforzano.

Bumpy, la font modulabile

La ricerca di Caciotti, invece, considera questi stereotipi obsoleti, negativi e riconducibili ad un rigido binarismo di genere.

Per uscirne, non basta capovolgere gli stereotipi o mescolare gli attributi: occorre superarli, metterli in crisi

È infatti molto difficile non farsi influenzare dalla persistenza dei costrutti della società. Per contrastare le limitazioni di un sistema binario di genere, Beatrice Caciotti ha sviluppato un progetto che aprisse il più possibile lo spettro delle possibilità.

Si tratta di Bumpy Typeface, una famiglia di font variabile e modulabile che non vuole essere discriminatoria ma aprirsi alla scelta, e anzi cerca di liberare chi la usa dalla pressione esterna

Anzi, Bumpy vuole simboleggiare come sia possibile reagire in modo diverso alle pressioni e alle aspettative sociali presenti nel nostro contesto: si va dal Bumpy Rigid, che si adatta e si conforma ad una gabbia geometrica assiale e tagliente, al Bumpy Fluid, dalle forme non convenzionali e fluide. Tra questi poli opposti, c’è la possibilità di trovare il carattere che più ci soddisfa.

Il nome stesso, Bumpy, significa irregolare, ed è stato scelto per rappresentare quanto ciò che consideriamo perfetto o corretto possa essere soggettivo e arbitrario; in più, incarna l’assenza di un genere definito

Gli utilizzi di Bumpy

La creazione di Bumpy ha risposto a un’esigenza vera e propria, e infatti è stato presto utilizzato. Per esempio, per il logo e le titolazioni di Ultraqueer, il catalogo di un progetto multidisciplinare che comprende una mostra vera e propria e una serie di talk.

Il progetto sottotitola Espressioni artistiche metagender, ed è realizzato da TWM Factory nella cornice di Palazzo Merulana a Roma. Lavori di fotografia, illustrazione, video e altre forme artistiche dialogano fra loro indagando la dimensione della queerness, la sex positivity, il corpo non conforme, l’espressività di genere e l’estetica del mostruoso. Il risultato è un dibattito critico che mette in discussione le categorie binarie di genere e orientamento sessuale.

La scelta di Bumpy si è rivelata subito funzionale al progetto, dimostrando fin da subito quanto ci sia bisogno di soluzioni nuove anche in campo tipografico.

Altri percorsi percorribili

Grazie al talento di giovani creativi, il design indipendente si sta occupando sempre di più delle questioni di genere: la graphic designer di Brooklyn Sarah Gephart, per esempio, ha progettato nel 2018 un simbolo neutro dal punto di vista del genere, che può rappresentare sia il maschile che il femminile, o nessuno dei due. Si chiama hypothetical hack, in inglese, e si tratta di un simbolo unisex che iOS può suggerire in automatico al posto del binomio lui o lei, agevolando grandemente la comunicazione in Inglese, una lingua dove i pronomi sono sempre espressi.

Progetti come questi incoraggiano i visual designer a farsi carico del loro ruolo nella creazione delle informazioni e nella modulazione del nostro futuro: le norme sociali e culturali cambiano continuamente, e a volte lo fanno proprio attraverso il design

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